INTERVISTA ad Andrea Pedrinelli e Susanna Parigi: “il Saltimbanco e la luna” che ricordano Jannacci

Lui, Andrea Pedrinelli, giornalista, appassionato di musica e, in particolare, di Enzo Janacci; lei, Susanna Parigi, musicista e compositrice classica. In nome della musica, tre anni fa si incontrano e decidono di creare “Il Saltimbanco e la Luna”, un concerto teatrale che ripercorre le tappe dell’imponente repertorio di Enzo Jannacci. Pedrinelli e Parigi si lanciano in questa sfida con umiltà, dedizione, coraggio. Il loro scopo non è infatti quello di glorificare lo scomparso Jannacci, né di commemorarlo nostalgicamente: “Il Saltimbanco e la Luna”, al contrario, è la rappresentazione in forma teatrale di una personalità irripetibile, artistica e umana. Perché, come diceva Enzo “essere artisti vuol dire provare ad offrire alla gente anche i nostri limiti”.

Il vostro spettacolo “Il Saltimbanco e la Luna” è nato nel 2011. Quando il progetto ha preso forma, quindi, il grande Enzo era ancora vivo. Cosa vi disse, a proposito della vostra iniziativa?

A.P.: L’idea è nata dalla mia rabbia di giornalista nel constatare che l’opera di Enzo non era conosciuta a sufficienza. Avevo parlato con lui, sapevo quali erano i pezzi che più amava del suo repertorio. Susanna è stata straordinaria ad accettare la sfida, molto umile, coraggiosa. Quando abbiamo capito che il progetto poteva nascere, abbiamo mandato una lettera ad Enzo – che stava già molto male – in cui gli spiegavamo cosa volevamo comunicare e quali erano i brani su cui stavamo  lavorando. Lui ci ha detto che era molto gratificato e commosso. Evidentemente avevamo centrato i pezzi che veramente amava, e ci ha dato la sua benedizione. A noi non serviva altro: non mi interessava e non mi interessa neppure adesso avere un riconoscimento ufficiale. Il nostro spettacolo è una cosa piccola, onesta, libera: ciò che mi interessava è che lui sapesse che esistevamo e che ciò non gli desse fastidio. E fortunatamente è stato così. Anche se avrei voluto fargliela vedere e per pochi mesi non ci siamo riusciti.

Pedrinelli, lei racconta della volta in cui Jannacci le disse «guardi, Pedrinelli, è necessario che ci sia chi, da saltimbanco, vive». Cosa intendeva?

A.P.: Per Jannacci il saltimbanco era il mestiere dello spettacolo. Secondo lui c’era bisogno di chi, usando i linguaggi teoricamente più facili della musica, delle canzoni ma anche della tv, cercasse di far arrivare alla gente riflessioni che di solito la gente, nella propria vita quotidiana, non si fanno o non si possono fare. Il saltimbanco ha questo compito, a costo di essere scomodo, di essere solo, come capitato molte anche ad Enzo. La frase completa dell’intervista è:  «c’è bisogno di chi da saltimbanco vive… e muore». E la sua vita è stata proprio questo.

Per comporre il vostro spettacolo, avete fatto un lavoro filologico…

A.P.: Sì, è stato un lavoro lunghissimo. Io volevo rispettare l’opera di Jannacci al millesimo. Volevamo essere sicuri di dire le cose giuste, mettere in scena le canzoni in maniera tale che non venissero interpretate come karaoke, revival o sfruttamento commerciale. Da questo lavoro è quindi nato un libro. Abbiamo impiegato tre anni per portare in scena lo spettacolo e per questo non siamo riusciti a farlo vedere ad Enzo. Siamo andati piano proprio per cercare di non sbagliare la misura: l’idea è quella di considerare la canzone d’autore come patrimonio culturale. Questo spettacolo voglio che viva anche fra trent’anni e quindi non volevo sbagliare niente. Volevo essere sicuro che tutto sia adeguatamente pensato, calibrato, provato con il pubblico. Per questo c’abbiamo messo tanto tempo. Lo scopo non è quello di dire “Enzo Jannacci era un mito”, ma quello di dire “Enzo  Jannacci è stato uno che ha detto delle cose e noi le teniamo vive” perché è un artista che merita di essere considerato un classico, senza bisogno di farne la glorificazione. Qui voglio ricordare l’uomo, il cantante e l’autore in una certa maniera, soppesando le frasi.

La discografia del Saltimbanco milanese è immensa: autore di quasi trenta dischi, ha duettato con nomi altrettanto importanti della musica italiana. Per completare il vostro cd – che contiene anche tre brani di Susanna Parigi – avete dovuto operare un’importante selezione. Qual è stato il criterio in base al quale avete scartato, necessariamente, certi brani e tenuto altri? Qual è il filo conduttore che li lega?

A. P.: Enzo è sempre stato uno che denunciava cose forti, ma alla gente è arrivato solo il suo lato più comico, quasi clownesco –  molti giornali, quando è morto, hanno scritto “il grande clown” -. Non conoscevano in realtà il suo repertorio. Avendo puntato sulle canzoni del cuore, abbiamo puntato in realtà su testi impegnati. Anche perché Susanna non è un’attrice comica, per cui la comicità di Jannacci  – perlopiù in milanese – era difficile da rendere con un’artista dello spessore di Susanna. Abbiamo quindi trovato un equilibrio: Susanna si fa carico delle emozioni forti dei contenuti delle canzoni, io racconto invece i contenuti dell’uomo, introducendoli secondo le modalità dello spettacolo, in una maniera divertente e leggera.

S. P.: Abbiamo ascoltato tutto. Volevamo far conoscere uno Jannacci che non tutti avessero sentito. Abbiamo quindi scelto le canzoni che ci sembravano importanti nel suo repertorio, ma che allo stesso tempo rappresentassero lo Jannacci uomo. Insomma, non soltanto l’autore e il cantautore, ma anche in qualche modo la sua vita privata. Poi è una scoperta continua vedere, nei suoi testi, quanto c’è di attuale. La nostra intenzione era infatti quella di portare questo spettacolo nelle scuole.

A.P.: Sì, io ho scelto Susanna per la sua purezza come artista e per la sua bravura tecnica di cantante ed esecutrice al pianoforte. Poi, ascoltando le canzoni di Jannacci con lei, ci siamo resi conto che molti temi che Enzo aveva toccato sono gli stessi che Susanna ha affrontato nel suo percorso di cantautrice. Ci è sembrato un segno del destino! Ci è sembrato bello che alcune cose venissero dette da lei, al femminile. Tra queste cose vi è l’amore, di cui Jannacci ha parlato poco perché era un uomo molto timido, sensibile, tanto che un giorno disse: «Io dell’amore non voglio scrivere perché l’amore può far soffrire». Siccome, però, l’amore è importante, di questo sentimento parla Susanna, visto che lei ha scritto canzoni di un certo tipo, di una certa qualità letteraria, che però si sposano in maniera pazzesca con quello che aveva detto e scritto Enzo.

S.P: Con Andrea ci siamo resi conto che c’erano davvero tanti temi in comune: l’attenzione alle parole, la storia e la memoria, i valori famigliari. Io ho una voce molto diversa da Enzo. Lui era davvero una persona emozionante. Ci ho pensato tanto prima di mettermi in gioco e di iniziare a lavorare sulle canzoni.

So che non esistono spartiti delle canzoni di Enzo Jannacci. Lei, Susanna, come ha fatto a riarrangiarle per pianoforte? Come ha organizzato il suo lavoro?

S. P.: È stato difficile. Dovevo costruire un arrangiamento che fosse vicino al mio mondo ma che non offendesse il suo. Abbiamo trovato una insospettabile affinità riguardo ai testi delle canzoni; sul mondo musicale ho invece dovuto lavorare molto.

Musicultura è un festival che unisce tutte le forme del fare spettacolo. La protagonista è la musica, ma intorno ad essa ruotano la letteratura, la poesia, la recitazione, le arti visive. Che valore hanno, oggi, festival del genere?

A. P.: Io credo che i festival oggi abbiano valore nella misura in cui abbiano una coerenza di fondo. E devo dire che unire sperimentazione come quella dell’omaggio dei radio.string,quartet,vienna ai Weather Report a, per esempio, Mango, significa essere attenti al fatto che l’arte ha tante sfaccettature. La musica in particolare non è soltanto la canzone d’autore, il jazz, o la canzone che arriva al grande pubblico. Tutto questo era nell’intento di Enzo, che voleva parlare alla gente e per questo accettava la televisione, per questo è andato a Sanremo, per questo faceva il cabaret. Io credo che un festival abbia due strade: andare incontro al pubblico di massa, o impegnarsi a mescolare le cose, cercare la qualità dappertutto, senza snobismi.