INTERVISTA – Marco Ciriello: l’anima del calcio come strumento per comprendere la realtà

Marco Ciriello , scrittore e giornalista, presenta a Musicultura il suo ultimo romanzo Per favore non dite niente, liberamente ispirato alla storia di Cesare Prandelli. Protagonista è Marco, ex calciatore diventato allenatore, che lascia la panchina per assistere la moglie Carla malata di cancro, immergendosi a fondo nella parte sommersa della sua vita, tralasciando il chiasso dei giornali e della tifoseria, che diventa solo un rumore di sottofondo. Cesare Prandelli, attuale allenatore della Nazionale, nel 2004 lasciò la direzione tecnica della Roma a causa della grave malattia della moglie Manuela, dichiarando: «Era lei la mia priorità. Molti si sorpresero […] Il calcio a volte ha paura della normalità».

Per favore non dite niente è una storia raccontata al maschile declinata al femminile, con una donna che istruisce alla dolcezza e alla delicatezza il suo compagno. Quanto una persona può imparare ed apprendere da colui o colei che le sta accanto?

Sicuramente molto, nella vita di coppia si ha una sorta di scambio: si sceglie di vivere con altre persone per avere un mondo che non è il nostro e per crearne un altro insieme, con l’apporto di due culture, esperienze ed educazioni sentimentali differenti.

Questo è sicuramente un romanzo sul dolore, di cui ciascuno può avere esperienza nella propria vita, come la morte per cancro di una persona che ti sta accanto. Pensi che la vera anima di uno sport nazionale come il calcio possa istruire i giovani all’affrontare il dolore e la realtà?

In realtà può istruire, e ciò dipende dagli educatori, dagli allenatori, dalle squadre, ma principalmente dalle famiglie di provenienza. Nel calcio ci sono stati moltissimi dolori, alcuni affrontati bene, altri male, tra tutti ricordo Morosini, calciatore morto sul campo di cui la storia e l’esempio non sono stati ancora ben recepiti.

Nel romanzo Carla si ammala e Marco sceglie di dedicarsi solo a lei. Questo non può che ricordare una storia vera, quella del commissario tecnico della Nazionale italiana, Cesare Prandelli, e infatti ne è liberamente ispirata. Quanto veramente c’è di Prandelli nel tuo romanzo?

Innanzittuto c’è il linguaggio di Prandelli, la sua medietà e delicatezza sia nell’affrontare la storia con la moglie, sia nell’allenare che nell’accogliere i calciatori. Pensiamo ad esempio al rapporto quasi paterno che cerca di instaurare con Balotelli.
Prandelli sembra aver trovato il linguaggio per far diventare i suoi ragazzi calciatori e nello stesso tempo uomini.

E’ nota la storia della diffida firmata dall’ufficio legale della federcalcio, forse più del tema di cui si occupa il romanzo. Come hai affermato, la lettera della Figc è la chiara dimostrazione che il libro non è stato letto nemmeno da Prandelli. Come è stato interpretato, secondo te, ciò che è solo un atto d’amore per il calcio, per lo sport e per una storia che ha colpito tutti?

E’ stata interpretata male, come del resto fa sempre il potere in Italia. La Figc è un potere, quello del calcio, che prima ti da un calcio in faccia e poi ti chiede cosa volevi.
Penso che non leggendo il libro e diffidandolo, abbiano fatto indubbiamente una brutta figura, Prandelli compreso. Non hanno capito il messaggio, rimanendo lontanissimi dal linguaggio della letteratura e delle narrazione dell’occidente. Penso che col tempo, e leggendo il libro, si capirà che questa è una storia qualunque che ha dato vita ad un libro pieno di delicatezza, proprio perchè ne era piena.

Da anni musicultura rappresenta la fusione tra la musica e molteplici forme d’arte, compresa la scrittura, che riveste un ruolo fondamentale. Come un autore può esprimere al meglio le proprie idee e i propri pensieri?

Trovando il linguaggio più adatto per lui. C’è chi lo fa con la musica, io lo faccio con la scrittura, dove c’è comunque suono. Nei precedenti libri ho usato diverse lingue, una addirittura inventata. Un metadialetto pieno di musica e sonorità, proprio perchè avevo bisogno di restituire un mondo pieno di culture differenti, soprattutto quelle africane. In questo libro, invece, avevo bisogno di moltissimo silenzio, tanto che mi sono ispirato a Mahler ed al silenzio che c’è nelle sue opere.