INTERVISTA – “Da questa parte del mare”, l’ultimo regalo di Gianmaria Testa: a La Controra di Musicultura, Giuseppe Battiston ricorda lo chansonnier piemontese

«Sono molto felice di essere qui con voi. Per lui. Con lui»: sono queste le uniche, semplici, ma intense parole con cui Giuseppe Battiston ha presentato il reading del libro Da questa parte del mare, l’ultimo regalo di Gianmaria Testa. Non ha voluto aggiungere altro, lasciando spazio alla lettura dei pensieri che il cantautore piemontese ha regalato nella sua opera letteraria.

L’attore friulano ha pensato ad un’introduzione essenziale, “senza far rumore”, discreta così come lo era il suo amico Gianmaria che, nell’arco della sua carriera, ha lasciato, con delicatezza, la sua impronta nella musica d’autore, partendo proprio dal palco del Premio Città di Recanati. In occasione de La Controra di Musicultura, Giuseppe Battiston ha voluto ricordare la voce e le parole di Gianmaria Testa, con l’intento di farlo rivivere nella memoria di un pubblico che lo ha da sempre amato. Un compito importante, di cui lo chansonnier piemontese ne sarebbe stato orgoglioso, felice.

All’evento, che si è svolto nel cortile di Palazzo Conventati, hanno partecipato il Patron di Musicultura Piero Cesanelli, il giornalista e conduttore radiofonico John Vignola, e la moglie – nonché manager di Gianmaria Testa – Paola Farinetti che, in conclusione del suo intervento, si è rivolta, emozionata, al pubblico di Musicultura e, con l’affetto di madre, a suo figlio: «Come afferma un famoso proverbio, “nella vita, per essere uomo, bisogna fare tre cose: avere un bambino, scrivere un libro e piantare un albero”. Beh, Gianmaria ha avuto ben tre figli, ha scritto un libro e di alberi ne ha piantati molti, le cui radici sono forti, ed io le sento». Ed una di queste radici affonda nel terreno di Musicultura: un terreno sul quale Battiston, lo scorso pomeriggio, ha letto con e per il suo amico Gianmaria Da questa parte del mare, tenendosi stretto all’albero della loro amicizia. Ai rami forti e deboli.

Giuseppe Battiston vanta illustri collaborazioni in campo cinematografico e teatrale. Proprio il teatro, infatti, è stato da subito il suo trampolino di lancio, inaugurando un percorso sempre più in ascesa: nel 1986 ha vinto il premio UBU come miglior attore non protagonista per la rappresentazione Petito Strenge e pochi anni dopo, sul palcoscenico di un teatro, è stato notato dal regista Silvio Soldini, che lo ha scritturato per Un’anima divisaPane e tulipani, Chiedimi se sono felice, Agata e la tempesta, L’uomo perfetto,  Apnea, Amore, bugie e calcetto, Figli delle stelle, Bar sport e, l’ultimo, Perfetti sconosciuti, per la regia di Paolo Genovese: questi sono solo alcuni tra i film in cui l’attore ha recitato e che lo hanno reso noto ai più, ma – considerata la sua anima da sperimentatore artistico – si potrebbero ricordare molte altre interpretazioni.

Lungo il suo percorso artistico, ad un certo punto, ha avuto il piacere di conoscere e lavorare con Gianmaria Testa, con il quale sono nate un’amicizia e collaborazioni in ambito teatrale.

Ci siamo conosciuti un po’ di anni fa in una chiesa di Bari. Lui venne a suonare accompagnato da Erri De Luca. Dopo quel primo incontro, ci siamo visti più volte ed abbiamo iniziato a frequentarci. Dalla sintonia umana è nato il desiderio di fare qualcosa insieme e così abbiamo lavorato a due spettacoli, “18 mila giorni – Il pitone” e “Italy”. Probabilmente ne avremmo fatti anche altri. Sarebbe stato molto bello!

Sarebbe interessante poter ricordare Gianmaria con un verso di una sua canzone, un aneddoto oppure un ricordo che la lega al cantautore.

Di aneddoti ne ho tanti, ma sono un po’ intimi. Ho il ricordo di esperienze bellissime, con Gian: facevamo lunghi viaggi in macchina. I nostri progetti nascevano dalle riflessioni sul mondo. Una caratteristica era il suo essere solitario, ma anche una persona sempre connessa al mondo e a tutto ciò che succedeva. Le sue canzoni sono le testimonianze più forti di questo suo impegno e della sua presenza sempre molto discreta, che io considero una virtù enorme. Ecco, appunto, ricordo la grande discrezione che caratterizzava Gian, a livello umano, artistico, professionale, che poi si sente nel modo in cui canta, si vede nelle sue fotografie, come è ben evidente nella mostra che Musicultura ha allestito per omaggiarlo. Gian era una persona che diceva il suo pensiero senza gridarlo: questa è una grande lezione.

Una finalità, nonché speranza, tra le tante, di Da questa parte del mare, potrebbe essere quello di far conoscere i valori intellettuali ed emotivi di testi, così da poterli restituire, al pubblico, vivi e da vivere. È un grande compito il suo, dunque: quali sono state le prime riflessioni scaturite dalle iniziali letture e ascolti di Gianmaria Testa?

Preferisco ricordare Gian proprio con le sue parole. Nel libro Da questa parte del mare ho ritrovato molte cose che ci siamo raccontati nel corso degli anni: il suo impegno, il suo sguardo, da come partisse dal suo piccolissimo mondo della campagna cuneese e come quel mondo, appunto, fosse un pretesto per guardare tutti gli altri con gli stessi occhi. Ha iniziato scrivendo sugli extracomunitari per arrivare alla famiglia. In Da questa parte del mare ci sono i viaggi, i ricordi, il tempo che passa, le cose che cambiano.

Molti artisti che partecipano al Festival di Musicultura considerano Gianmaria Testa come punto di riferimento artistico. E lei, quale attore ha considerato preponderante nella sua formazione? In altri termini, chi era il suo “idolo”?

In realtà non avevo punti di riferimento, ma solo voglia di fare, di crescere a livello artistico. Di certo ci son stati grandi attori che mi affascinavano moltissimo, quelli con cui poi ho lavorato. Venivo da Udine e non ero stato molto a contatto con teatro di “un certo tipo”. Andai a vedere uno spettacolo di Santagata  e Morganti e rimasi folgorato dal loro mondo. Ho avuto la fortuna di lavorare prima con Morganti, poi con Santagata, con cui ho fatto una lunghissima parte del mio percorso teatrale. Non sono miti, certo: proprio come Gianmaria era una figura discreta e di certo non era Jimi Hendrix, così Santagata non è Strehler, ma comunque un artista che ha costruito il suo percorso in maniera autorale, ed è questa la lezione più importante che mi ha trasmesso.