INTERVISTA – Alessandro Carrera racconta Bob Dylan a La Controra di Musicultura

“Non basterebbe una vita per raccontare l’estro artistico di Bob Dylan: se non canta, scrive canzoni; se non scrive canzoni, dipinge e se non dipinge, fa qualche strana scultura”: così Alessandro Carrera parla dell’artista vincitore del Premio Nobel della letteratura 2016. Il viaggio dello scrittore e traduttore dei testi di Dylan ha inizio molti anni fa; negli anni ha ricoperto l’incarico di docente di Letteratura italiana e Culture del Mondo alla University of Houston e si è distinto soprattutto per i tanti riconoscimenti che gli sono stati assegnati: il Premio Montale per la poesia nel 1993, il Premio Loaria per il racconto nel 1998 e il Premio Bertolucci per la critica letteraria nel 2006. La redazione Sciuscià incontrato Carrera in occasione dell’evento de La Controra, di cui è stato protagonista a La Controra.

Bob Dylan è conosciuto al grande pubblico come il musicista che, con il suo stile innovativo, portò la canzone di protesta ad affacciarsi nel panorama musicale. Secondo lei, l’artista è più musicista o più poeta?

La commissione di Stoccolma ha conferito il Nobel a Dylan per le innovazioni che il cantautore ha portato nella tradizione della musica americana. E’ chiaro che le canzoni dell’artista sono da considerarsi poesie.

“Una canzone deve essere abbastanza eroica da dare l’impressione di avere fermato il tempo” scrivi in La Voce di Bob Dylan. Qual è la canzone dell’artista che incarna maggiormente questa definizione? Perché?

Mi viene in mente una canzone del 1975 che si intitola Tangled Up in Blue, in cui Dylan ha cercato una forma di composizione insolita: è un brano di 7 strofe, in cui viene raccontata una storia lineare; analizzando i suoi versi, si nota che non c’è una vera e propria successione cronologica dei fatti. Questa scelta intenzionale ha avuto come obiettivo era quello di scrivere un brano che somigliasse a un quadro, non si avverte la sensazione che il tempo scorra tra la prima strofa e l’ultima.

Da Time Out of Mind in poi, notiamo un’inversione di tendenza stilistica nella scrittura testuale che, lei stesso, definisce “alto manierismo”. Che cosa intende con l’espressione e quali sono i tratti salienti di questa nuova fase artistica dell’autore?

Dal punto di vista musicale, Dylan usa molto poco lo stile rock e pone le sue basi stilistiche principalmente nel blues, nella ballata e nella canzone leggera da salotto. Dal punto di vista testuale, da Time Out of Mind in poi, invece di scrivere canzoni che raccontano fatti, il cantautore ha iniziato a costruire delle architetture intorno a delle parole; è il caso, questo, di Mississipi, il cui testo si costruisce totalmente intorno al titolo della stessa.

Che ruolo riveste, nell’industria culturale americana degli anni ‘60, la figura di Bob Dylan?

L’importanza di Bob Dylan sta nell’aver cambiato il panorama musicale come, prima di lui, avevano fatto i Beatles, i Rolling Stones e Jimi Hendrix; fu il primo a introdurre il folk revival e, passando successivamente alla musica rock, dimostrò come il genere rappresentasse un contenitore fluido, dove poter immergere contenuti molto complessi. In questo senso, il cantautore americano ha spianato la strada a tutte le rivoluzioni musicali, che sarebbero poi avvenute a partire dagli anni ’60 in poi.