INTERVISTA – La Controra di Musicultura ospita Alessio Bertallot: le opportunità della “radio 2.0”

Cosa è cambiato dal punto di vista di chi lavora nel sistema mediatico, ossia di chi sta “nel mezzo”, nel modo di fruire la musica? L’incontro de La Controra del 20 giugno, “Ascoltare musica oggi: nuove frontiere tecnologiche”, ha visto come protagonista Alessio Bertallot, DJ famoso per il suo programma “B-Side”, per i suoi contributi a Rai 5, ma soprattutto per essere uno sperimentatore nell’ambito della radiofonia, tanto da riuscire a cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie a chi fa della divulgazione musicale il suo mestiere.

Sono ormai 4 anni che il tuo “Casa Bertallot”, programma radiofonico in streaming, è ospitato dalla piattaforma web-radio Spreaker. Che bilancio puoi fare di quest’esperienza? Che riscontro hai avuto da parte del pubblico?

Vedo Spreaker, come molti altri servizi radiofonici in streaming, come uno strumento neutro, ed è quello che, secondo me, gli dà un valore aggiunto. La web-radio, in generale, funziona molto bene in determinate situazioni mentre per altri contesti non è adatta. Per me ha funzionato, anche se per motivi che non sono esattamente quelli canonici: è stato un modo molto efficace per promuovere le mie idee e per mantenermi attivo come divulgatore della musica in un territorio totalmente indipendente. C’è da dire che in Italia non esiste ancora, in questo ambito, un modello di business generalmente applicato: i grandi investitori continuano a finanziare quasi esclusivamente i media tradizionali. In aggiunta, gli utenti non pagano perché non si capisce come e quanto sarebbe giusto farli pagare. È un mondo ancora in formazione, per certi aspetti.

Nelle tue trasmissioni radiofoniche (hai condotto per molti anni “B-Side” su radio DeeJay), televisive e online hai sempre cercato di portare alla ribalta generi musicali di nicchia. Come funziona la tua ricerca delle novità musicali? Ti servi dei nuovi servizi di musica digitali per scoprire nuovi artisti?

In realtà, per scovare nuova musica, uso ogni mezzo a disposizione. Devo cercare dappertutto perché c’è sempre qualcosa che sfugge agli schemi. Quando ho iniziato a lavorare a radio DeeJay, era forse più semplice indirizzare gli sforzi in un’unica direzione, che poi era quella di, sostanzialmente, andare nei luoghi dove la musica veniva prodotta e prelevare direttamente i dischi da chi li faceva. Adesso è cambiato tutto: bisogna tenere sotto controllo un’enorme quantità di materiale, per cui, se è vero che non hai da affrontare un viaggio per recarti in loco, devi districarti tra un sacco di “fuffa” inutile, ossia devi ascoltare molta musica che non vale assolutamente niente, che viene prodotta con estrema facilità ma che con altrettanta facilità svanisce. Se prima ero un DJ, un disc jockey, ora sono un selctor, faccio da filtro. In passato ero colui che andava all’estero e fisicamente portava la musica in Italia, parlando di dischi esteri, oppure andavo in giro per l’Italia in cerca di musicisti – tra l’altro, da Musicultura, spesso ho pescato. Adesso scelgo da tutto quello che è a disposizione.

Il ruolo del DJ sembra, sempre di più, che venga sostituito dagli algoritmi di Spotify e dai “video suggeriti” di YouTube. Quanto è vera quest’affermazione? I nuovi media aiutano anche i “non esperti” a trovare musica da ascoltare fuori dalle logiche mainstream?

Gli algoritmi sono dei DJ virtuali che producono contenuti correlati, in alcuni casi anche molto azzeccati, ma che però hanno un limite: quello di non avere una visione culturale della musica. Esistono dei sistemi che cercano di tenere conto di questa visione culturale, ma è comunque un atteggiamento, una funzionalità parziale e riduttiva: può accontentare solamente gli ascoltatori che “si accontentano”. Chi vuole approfondire, chi cerca un approccio culturale alla musica andrà sempre a cercare “l’elemento umanistico”, che tendenzialmente non viene riprodotto da questi sistemi. Chi non ha particolari esigenze dal punto di vista dell’approfondimento musicale, si accontenta dei contenuti correlati di You Tube, delle tracce in streaming di qualsiasi piattaforma, di musica di qualità scadente e persino di video caricati in rete con crediti sbagliati. Se si abbandona questa esplorazione della musica estremamente superficiale, si entra in un territorio dove bisogna intervenire esattamente come si interviene in qualsiasi ambito culturale: con una consapevolezza d’approccio. Ci devi mettere tu del tuo, della fatica tua per far sì che quella cosa valga di più di quello che vale per gli altri. Senza fatica, non si ottiene nessun risultato importante.

Dal 2015 sei il direttore artistico della piattaforma di streaming musicale Tim Music. Cosa significa gestire una piattaforma di musica on demand? È possibile (e auspicabile) un’integrazione tra i vecchi media (in questo caso la radio) e i nuovi media digitali?

Innanzitutto, per correttezza, ti dico che non sono più il direttore artistico di Tim Music: l’ho abbandonata per un nuovo progetto che sta per nascere, che presumibilmente sarà operativo da luglio e che sarà anch’esso una piattaforma di musica in streaming. La cosa fondamentale da capire quando di occupi della direzione artistica di un servizio di questo genere è che ti rivolgi ad un pubblico estremamente eterogeneo: ci sono sia gli appassionati della musica che piace a te, sia chi ha gusti completamente differenti dai tuoi, ma di cui bisogna comunque tener conto. Non faccio il mio programma radiofonico personale, cerco di fornire un servizio musicale per tutti, che tenga conto della musica a 360 gradi. Per riuscire in questo scopo, bisogna curare molto le modalità di ascolto piuttosto che la musica che viene ascoltata. Per questo ho escogitato un’ibridazione che incorporasse alle funzionalità della piattaforma gli elementi umanistici della divulgazione musicale: ho inserito contributi di esperti all’interno dell’applicazione, interviste ai musicisti, interventi vocali, playlist curate, segnalate agli utenti per l’importanza che hanno attraverso elementi che ricordano quelli di un programma radiofonico. Ho inserito l’elemento “voce” in una piattaforma in streaming e voce significa anche testo. Aver avuto l’esperienza di Tim Music e quindi aver capito che questo tipo di editoriale ha avuto un effetto estremamente promuovente della musica, mi fa pensare che quella sia la forma giusta: abbiamo raddoppiato, quasi triplicato gli ascolti della piattaforma. Ho dedotto che le persone abbiano un sincero bisogno di musica e di approfondimento, più di quanto normalmente si pensi. Forse bisogna solamente trovare un modo caldo di fargliela arrivare.