INTERVISTA – “Volevo fare la rockstar, ma poi sono diventato poeta”: Guido Catalano a Musicultura

La missione di Guido Catalano è sicuramente ambiziosa, quanto interessante: vuole rendere il mondo della poesia alla portata di tutti. La sua viene chiamata “poesia performativa”, l’unione, cioè, tra versi liberi e spettacolo. Guido Catalano, con i reading nei diversi locali italiani e attraverso i suoi profili social, dove vanta un certo seguito, è riuscito a farsi conoscere anche dal pubblico generalista. Il suo ultimo romanzo è uscito quest’anno e s’intitola “Ogni volta che mi baci muore un nazista”; è raccolta di poesie che lo ha portato anche qui, nel cuore delle Marche.

Guido Catalano si è esibito per il pubblico de La Controra, domenica 25 giugno, in Piazza Cesare Battisti, in attesa di salire, poi, sul palco dello Sferisterio per la finalissima di Musicultura 2017. Quanto segue è quello che emerso dalla chiacchierata tra il poeta e la redazione di Sciuscià.

Il tuo successo è nato attraverso i social network, i reading in giro per vari locali italiani e anche grazie ai poetry slam. Cosa ne pensi di quest’ultimo tipo di evento che sta emergendo in Italia?

Amo il poetry slam. Ho iniziato ad occuparmene circa quindici anni fa, organizzandone diversi a Torino e a Milano. Trovo che sia un ottimo modo per i giovani e per tutte le persone che hanno iniziato da poco per farsi largo soprattutto nel mondo della cosiddetta “poesia performativa”. Tra l’altro, grazie al poetry slam ho avuto la possibilità di conoscere dei miei colleghi, con i quali continuo tuttora sono amico; la poetry slam ha, come suo punto a favore, il fatto che risenta forte di una componente sociale.

Tra i temi più trattati all’interno delle tue poesie spicca l’amore, che spesso però si ritrova in meccanismi d’incomunicabilità. Come possiamo curare questo morbo tipico della società odierna? Sono davvero cambiate le relazioni amorose oggi?

Sicuramente le relazioni di oggi sono molto diverse da quelle di ieri, soprattutto grazie alla tecnologia, che ha i suoi effetti positivi e quelli negativi: possiamo comunicare in modi e in tempi che prima erano impensabili, ma allo stesso tempo abbiamo l’occasione di rimanere sempre in contatto, ma con il rischio di vederci sempre meno di persona. Io sono favorevole all’utilizzo dei social, ad esempio, all’interno delle dinamiche amorose, come il corteggiamento, ma sempre nell’ottica dell’incontro. Il miglior modo per superare questa incomunicabilità è proprio il vedersi fisicamente, secondo me.

Oltre ad avere molto seguito, hai anche ricevuto diverse critiche. In che modo reagisci ai commenti negativi? Ti hanno mai fatto pensare di smettere di scrivere?

Al contrario, mi danno energia. Esistono, secondo me, due tipi di commenti negativi: da una parte c’è la critica costruttiva, che va accettata perché serve a migliorarsi, mentre dall’altra, soprattutto nel mondo dei social, c’è l’insulto dei cosiddetti haters. Io ne ho abbastanza di questi, ne sono consapevole, ma spesso li accolgo con ironia. Sono arrivato a pensare che se non ricevi dei commenti negativi dal pubblico, significa che sei conosciuto solamente da famigliari, amici e conoscenti, che continueranno a dirti che sei bravissimo, sempre e comunque. Quando inizi ad uscire da questa cerchia, in mare aperto, le cose cambiano. Inoltre io faccio una cosa insolita: prendo la poesia e la rendo spettacolo, usando un registro comico o ironico. Non è un’arte per tutti.

Tra i molti commenti nel tuo blog per Il Fatto Quotidiano, un utente ha scritto: “Guido Catalano parla di noi con noi”. Questa frase potrebbe sintetizzare il fine delle tue poesie?

Direi proprio di sì e posso dirti che mi sento anche fortunato per questo motivo. Secondo me, per chi scrive è fondamentale riuscire ad identificare il proprio pubblico con le storie che racconta. Io poi parlo sempre di storie personali, che mi riguardano in prima persona; sapere di esser riuscito a far identificare i lettori nel senso dei miei racconti, per me è un ottimo traguardo.

Musicultura è il Festival della canzone popolare: che rapporto hai con la musica d’autore? Ti supporta nella scrittura delle tue poesie?

La musica è fondamentale per me. Io volevo fare la rockstar, non il poeta. Anzi, le mie prime poesie erano inizialmente testi di canzoni, che poi sono cambiati con il passare del tempo. Ho sempre collaborato con i musicisti e strumentisti. Ad esempio, il mio primo reading, che ho fatto diciassette anni fa, era accompagnato da un’esibizione di musica live. Trovo che la canzone d’autore sia poi una fonte d’ispirazione preziosa: i testi di brani italiani sono sempre stati degli ottimi spunti per le mie composizioni, come ad esempio Margherita di Riccardo Cocciante.