INTERVISTA. Dori Ghezzi a La Controra: “Fabrizio ha avuto ragione nel credere a Musicultura”

Nonostante sia così semplice nella forma, “Lui, io, noi” è un titolo per nulla scontato; queste tre parole, infatti, racchiudono tre mondi, diversi ma intrecciati. L’autrice è, assieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, Dori Ghezzi, il cui primo accorgimento, scrivendo il libro, è stato quello di non dipanare una tale aggrovigliata matassa di rapporti umani ma, al contrario, lasciarne intatta la bellezza e la complessità.

Tra le pagine rivive un grandissimo uomo che ha significato tanto per molti, non solo per chi con lui ha condiviso i momenti più importanti: Fabrizio De André è stata una figura di riferimento per intere generazioni e continua ad esserlo, sulla scia dei valori che ha sempre vissuto, prima che cantato. Di questo ci parla, con una tenerezza luminosa, Dori Ghezzi, la sua straordinaria compagna.

“Lui, io, noi” è una raccolta degli incontri e dei momenti più significativi della vostra vita insieme, scritta con Giordano Meacci e Francesca Serafini, gli sceneggiatori del film “Principe Libero”. Come è nata l’idea di realizzare un libro a più voci?

Non è nata da me, come non è stata una mia idea la realizzazione del film; per anni non ho voluto approcciarmi ad opere del genere. Tuttavia, quando mi sono trovata di fronte Francesca e Giordano, mi sono convinta che era il momento per farlo e che avevo trovato le persone giuste. Insieme abbiamo parlato del libro dopo il film, dal quale alcuni anni fa è partito il progetto.

Dopo l’uscita del film “Principe Libero”, oltre ai tanti apprezzamenti, sono state espresse diverse perplessità su quello che non era stato raccontato. Considerato che, naturalmente, in una produzione del genere tagli e leggeri adattamenti sono inevitabili, quale scena, nel ricordo di Fabrizio, sceglierebbe di girare, immaginandosi lei dietro alla macchina da presa?

Ho sposato questo tipo di film per far conoscere alla gente il Fabrizio giovane e creativo del primo periodo della sua vita, nonché la sua formazione. Mi è mancata molto la sua parte fanciullesca, quando da bambino viveva a Revignano D’Asti, in campagna. Proprio questa sua fase ha giustificato tutte le decisioni che ha preso successivamente, come la scelta di abitare in Sardegna; purtroppo non è stato possibile mostrare questo periodo della sua infanzia, nonostante fosse già presente nella sceneggiatura. Il resto, soprattutto quel taglio a fine anni ’80, è stato voluto, anche perché è da lì che comincia il momento più noto della vita di Fabrizio. È stata fatta una scelta drastica, poiché non è stato possibile prendere tutto in considerazione: puntare sulla sua attività creativa o sul suo essere uomo, sulla sua umanità.

Ironicamente Fabrizio diceva che avrebbe voluto vivere come un moderno Oblomov, il personaggio letterario ottocentesco, celebre per la sua indolenza. Voleva così rimarcare la sua pigrizia-attiva che lo portava a chiudersi in camera per ore, circondato dalle letture più disparate. È vero che in questi momenti appuntava citazioni e suggestioni su fogli sparsi, e che quelle diventavano poi le sue canzoni?

È vero, lo ha sempre fatto. Quando aveva l’urgenza di memorizzare qualcosa, a prescindere da dove si trovava, la prima cosa che gli capitava sottomano diventava la sua pagina. Così ho trovato molti suoi appunti, scritti dove capitava. Ho cercato di raccogliere il possibile, perché per me era prezioso tutto di Fabrizio. Per quanto riguarda Oblomov, posso dire che mi sento anch’io come lui: ognuno di noi, proprio perché ha una vita sempre più convulsa, quando è a casa ha bisogno di lasciarsi andare, magari sul letto; così capitava a lui, che rimaneva lì ore e ore. Non tutto quello che scriveva in questi momenti rientrava comunque nelle sue canzoni. Magari in qualche caso erano scritti mirati, perché stava già lavorando su un tema; altre volte erano semplicemente delle riflessioni istintive riguardo ciò che stava leggendo.

Lei si è spesa, anche attraverso la Fondazione Fabrizio De André, per divulgare e far conoscere la figura e la poetica di Fabrizio. Anche in considerazione dell’anniversario dei 20 anni dalla sua scomparsa, quali sono i prossimi progetti della fondazione?

Non ci consideriamo artefici, come fondazione, di aver mantenuto in vita Fabrizio, perché lo ha fatto semplicemente lui, da solo. Spesso seguiamo soltanto delle iniziative che altri ci propongono. Ovviamente per il ventennale dalla sua scomparsa sono previste alcune manifestazioni in tutta Italia. Quello che mi colpisce maggiormente però è vedere come l’11 gennaio, il giorno del compleanno di Fabrizio, nascano nelle maggiori piazze italiane degli incontri spontanei durante i quali si canta e si suona per ore in sua memoria. Io non ho mai voluto partecipare a questi progetti per non interrompere la loro magia.

Fabrizio fu uno tra i primi firmatari del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, allora Premio Città di Recanati. Cosa lo spinse ad aderire a quel nuovo progetto? Ci racconta un aneddoto di quelle giornate a Recanati? Un’ultima curiosità: Leopardi era tra i poeti amati da Fabrizio?

Considerando che Fabrizio era sempre molto schivo, lui deve aver nutrito una grande fiducia per il nuovo premio che stava nascendo. Ha avuto ragione nel credere a Musicultura, un festival importante per l’Italia, che ha dato inizio alla ricerca di talenti orientati anche sull’aspetto letterario della canzone. Mi ricordo che ne ero anch’io coinvolta in prima persona, perché quando arrivava questa “montagna” di pezzi da ascoltare, lo facevamo insieme per giornate intere. Per quanto riguarda la poesia, diciamo che era più orientato verso quella francese, anche se sicuramente apprezzava altrettanto i grandi della letteratura italiana, come Leopardi.