“Musicultura mi ha dato tutto”: è con queste parole che Francesca Romana Perrotta si è presentata al pubblico de La Controra, questa volta in veste di ospite della XXIX edizione del concorso.
L’artista pugliese ha partecipato ben tre volte al Festival, conquistando sempre un posto tra gli otto vincitori. “L’ora di mezzo” è il suo nuovo album: un disco, questo, in cui le protagoniste sono donne della letteratura e della storia, tutte incomprese o dimenticate. La cara amica del festival ha regalato al pubblico di Musicutura uno spettacolo agli Antichi Forni di Macerata e un’intervista alla redazione di Sciuscià.
Ha iniziato a fartsi conoscere al pubblico a 18 anni, formando la band ‘Zeroincondotta’, che poi ha lasciato per intraprendere la carriera da solista. Cosa le manca del lavoro di gruppo? Qual è l’aspetto della sua professione che le piace di più?
Sono ormai anni che collaboro con gli stessi musicisti, sia in studio che dal vivo. Ho sempre avuto bisogno di essere circondata da una band: non riuscirei mai a collaborare con turnisti che vanno e vengono. Cerco dunque persone che sposino il senso delle mie canzoni e che amino esibirsi al mio fianco. I live rappresentano infatti tutto ciò che preferisco della mia professione. Molti artisti dicono che senza il contatto con il pubblico non riuscirebbero a vivere; io invece sto bene lontana dal palco ma, allo stesso tempo, mi rendo conto che quando mi esibisco riesco a tirar fuori la parte più irrazionale ed emotiva di me.
Nel settembre del 2017 è uscito il suo terzo album, “L’ora di mezzo”, in cui canta di donne dimenticate dalla storia e della letteratura. C’è una figura femminile a cui si senti più vicina nella personalità e nel carattere?
Mi piacerebbe rivedermi in Penelope, perché è una donna sicura di sé. Ma in realtà mi sento vicina, per la personalità e per il carattere, ad Elena di Troia, una figura femminile che è entrata nella vita di altri per poi andarsene.
Ha vinto numerosi premi e collaborato con molti artisti: quanto reputa importante confrontarsi con i colleghi e condividere il suo lavoro con altri professionisti della musica? Con chi le piacerebbe collaborare in futuro?
I grandi artisti con cui ho collaborato, in particolar modo Cristiano De André e Pacifico, mi hanno insegnato aspetti fondamentali del mestiere: stare sul palco, sperimentare modi differenti di realizzare una canzone in base al contesto o alla natura stessa del brano, fare un soundcheck e altri aspetti tecnici rilevanti. Per quanto riguarda la scrittura dei pezzi, invece, il vero insegnamento l’ho ricevuto quando ero bambina, studiando la musica classica, che è il genere più rock in assoluto, perché è completo e apre la mente. In futuro mi piacerebbe esibirmi con artisti carismatici come Vasco o Gianna Nannini; oppure sarebbe interessante collaborare con Mimosa, tra i vincitori di Musicultura nel 2016, con cui condivido la medesima visione della musica.
Ha partecipato tre volte al Festival, aggiudicandosi sempre un posto nella rosa degli otto vincitori; adesso torna in qualità di ospite de La Controra: come vive quest’esperienza? Che importanza ha avuto Musicultura nella sua carriera?
Musicultura mi ha dato tutto, sin da quando ho partecipato per la prima volta nel 2007. È il Festival adatto a me, anche nelle scomodità che possono verificarsi, come suonare in una location differente a causa del maltempo. Mi rivedo molto nelle idee artistiche che promuove il concorso. È per questo che mi piacerebbe, prima o poi, far parte della giuria.
Lei, che dunque ha vissuto più volte le serate conclusive del Festival calcando il palco dello Sferisterio, in prospettiva della finale che consigli si sente di dare ai vincitori?
Nei tre anni in cui ho partecipato a Musicultura sono stata una pessima vincitrice perché, col senno di poi, avrei potuto dare di più. Consiglio agli otto vincitori di non essere competitivi ma di puntare sulle proprie energie e di presentarle sul palco. È necessario esibirsi cantando e suonando con libertà, senza guardare alla rivalità artistica in sé.