INTERVISTA – “La musica ha gli stessi stilemi della letteratura”: Enrico Pandiani a La Controra di Musicultura

Enrico Pandiani inizia la sua carriera nel mondo editoriale curando l’infografica del quotidiano La Stampa. Segue poi un apprendistato di narratore, sceneggiando e scrivendo fumetti presso le riviste Il Mago e Orient Express.
L’anno del suo esordio come scrittore è il 2009, con Les Italiens, a cui seguiranno altri romanzi per la saga del commissario Jean-Pierre Mordenti. Pandiani è tra i fondatori dell’associazione Torinoir e la sua carriera l’ha reso uno dei migliori autori italiani di romanzi polizieschi. Ospite de La Controra, si racconta così alla redazione di Sciuscià.

“Un giorno di festa”, “Lezioni di tenebra”, “Les italiens” sono solo alcuni dei suoi romanzi gialli più famosi. In questo genere letterario la suspance e l’effetto sorpresa sono fondamentali. Quanto vale anche per la musica il saper costruire una trama che incolli l’ascoltatore alla canzone o all’album?

Penso che sia esattamente la stessa cosa perché un brano musicale, come un libro, è una storia; quindi più la storia è interessante e va a colpire chi l’ascolta, facendo scattare certe cose, più viene apprezzata. Per questo ci sono canzoni più belle e canzoni più brutte. A volte è il testo, a volte è la musica. Vedevo l’altro giorno un film che si chiama La corsa della lepre, un film francese degli anni ‘70 in cui c’è la scena iniziale senza suono, con un treno che arriva in stazione e questo zingaro che suona una melodia con un flauto. Quella melodia lì ha reso il tutto affascinante. Secondo me la musica ha gli stessi stilemi della letteratura. Le note sono quello che colpisce chi la ascolta.

La nostra vita, soprattutto durante la pandemia, è diventata sempre più digitalizzata; anche la lettura, grazie ad audiolibri ed ebook, sembra seguire questa strada. Come vede questo cambiamento?

Io penso che in Italia il problema non sia tanto che cosa legge la gente, ma proprio il fatto che la gente non legge. Solamente il 20% delle persone legge più di un libro all’anno e questo per me è drammatico. Si rispecchia in tutto quello che succede nel nostro Paese: nell’intolleranza e nell’ignoranza. Alla fine l’importante è leggere, se volete leggere sugli e-book, leggete pure lì. Ma soprattutto, comprate i libri dai librai e non su Amazon.

Ha lavorato a lungo come grafico editoriale, illustratore e sceneggiatore di storie a fumetti. L’immagine oggi è tutto. E se non è tutto, è decisamente molto. Quanto secondo lei questo discorso vale anche per la musica? Dalla copertina del singolo o dell’album, all’architettura del palco o all’estetica dell’artista, quant’è importante quel che vedono i nostri occhi?

Senz’altro è molto importante. Io, nella mia vita, ho spesso comprato libri e dischi anche solo per le loro copertine e poi finiva che magari nemmeno mi piacevano per il loro contenuto. Quanto alla musica, mentre l’ascolti ti crea delle immagini, quindi è suggestione. E più la musica è capace di suggestionare e di far passare per la testa di una persona una serie di immagini, più è efficace, idem per i libri. Per esempio, odio le copertine dove c’è un viso riconoscibile perché la grandissima forza della letteratura è che se in dieci leggiamo lo stesso libro, probabilmente ci immaginiamo dieci personaggi principali diversi. Se invece metto la stessa faccia sulla copertina, tutta questa magia decade. Quindi l’immagine è importante perché è forse giustamente la prima cosa che si vede.

Nella scrittura di un romanzo spesso si arriva a quelle che lei ha definito “storie collaterali”. Quanto sono importanti, per lei che è un autore, le interpretazioni e, appunto, le storie collaterali che fanno emergere i suoi lettori?

Diciamo che le storie collaterali sono l’anima vera di un romanzo, perché sono un po’ come la struttura che tira su tutto quanto. I protagonisti hanno un ruolo principale ma senza tutto il resto la storia finisce lì; invece le storie collaterali, i rapporti e le relazioni che si creano, sono la vera struttura che copre un romanzo.
Più riesci a convincere un lettore di quello che hai scritto e a coinvolgerlo, più sei riuscito nel tuo lavoro. Ogni tanto ti capita di incontrare qualcuno che ti parla dei personaggi come se li avesse incontrati dieci minuti prima e questo mi lascia a bocca aperta perché vuol dire che se prima non esistevano, adesso invece esistono, anche se sono personaggi di fantasia; è così che la gente può viverli come se fossero veri.
È una magia, magari non sempre ti riesce, però la insegui in continuazione. 

Si parla sempre più del “politicamente corretto”, anzi in molti si lamentano del fatto che non si possa dire niente senza urtare la sensibilità di qualcuno. Per lei che è uno scrittore, quanto sono importanti e quanto pesano effettivamente le parole? Fino a che punto ci si può spingere senza oltrepassare il limite?

Io sono contrario al politically correct. Sono abbastanza refrattario e penso che ci si debba comportare come si preferisce. Se una donna mi chiede di chiamarla “avvocata”, la chiamo così. Non lo scriverei mai su un mio romanzo visto che non mi piace l’ipocrisia. Penso che alla fine questo politically correct sia un’ipocrisia perché continuiamo a pensare come prima ma diciamo la cosa in maniera diversa perché pensiamo che non offenda nessuno. Ad esempio, sappiamo che “l’operatore ecologico” è in realtà uno spazzino, per cui non è che se lo chiamiamo “operatore ecologico” non è più uno spazzino, infatti continuiamo a considerarlo come tale. Questa è per me un’ipocrisia che andrebbe sempre evitata.