INTERVISTA: AMARA A RECANATI PER MUSICULTURA 2022

L’artista ospite della prima delle due serate a Recanati per il concerto dei 18 finalisti di Musicultura

Lungo e nutrito di esperienze è il percorso artistico di Amara: ha partecipato alla quinta edizione del programma Amici di Maria De Filippi, preso parte a SanremoLab e Area Sanremo, calcato il palco dell’Ariston in occasione del Festival della Canzone italiana nel 2015 col brano “Credo”. Autrice di molti testi del panorama musicale nostrano, collabora con artisti del calibro di Fiorella Mannoia, Simone Cristicchi, Ornella Vanoni, Emma; pubblica singoli e album di successo facendo dell’introspezione e della riflessione sulla condizione umana i suoi tratti distintivi.
Arrivata a Recanati come ospite della prima serata del concerto dei finalisti di Musicultura, si racconta alla redazione di “Sciuscià” in un misto di ricordi e riflessioni sui sentimenti che animano la vita.

Partiamo dal lontano 2005, quando sei stata ammessa alla scuola di Amici di Maria De Filippi mantenendo un posto fino alla fase finale del programma. A distanza di anni, come ricordi quell’esperienza?

Sicuramente la ricordo con tenerezza. Oggi, col senno di poi, è bello fare il punto della situazione e capire come ogni seme abbia un tempo per la sua evoluzione. Quello era un tempo di aspettativa verso me stessa; era qualcosa che ho voluto fortemente e prima di riuscire a entrare ho fatto tanti provini per raggiungere il mio obiettivo. La cosa bellissima che mi ha insegnato quell’esperienza è stata di riuscire a capire, a un certo punto, quale dovesse essere la mia reale strada: l’idea che avevo prima di fare il programma non era la stessa di quando sono uscita. Quindi è un ricordo tenero e sono molto felice di averlo sperimentato, sì.

Quest’anno, invece, sei ospite sul palco di Musicultura 2022 a Recanati; guardandoti intorno cosa ti colpisce di più dell’atmosfera che si crea in un contesto simile?

Dell’ambiente in sé mi colpisce la considerazione per la parte artigianale della musica e per chi la fabbrica, questa attenzione ai cantautori che io nel mio cammino ho scoperto soltanto in una seconda fase. Mi rendo conto che per la musica in generale quello del cantautore, o quello dell’autore – perché si può anche scrivere e far cantare ad altri –, è un ruolo fondamentale per generare l’idea che permette al brano di esistere. Credo che Musicultura sia proprio la casa dell’attenzione verso questo aspetto.
Poi, avendole vissute anch’io prima di riuscire a fare tutto quello che oggi ancora faccio, mi colpiscono la tensione dei ragazzi, l’adrenalina, l’emozione, la paura ma anche la forza che porta alla determinazione nel fare ciò che si vuole.

La tua firma caratterizza numerosi testi della musica italiana, talvolta in collaborazioni occasionali, in altri casi in veri e propri sodalizi artistici. Umanamente, cosa cerchi nelle persone con cui collabori? Come senti di essere entrata in simbiosi con l’altra parte durante la scrittura?

Bellissima questa domanda. Normalmente io non scrivo sotto richiesta, il mio approccio alla canzone è semplicemente “vomitare” – lo chiamo “vomito” perché è davvero qualcosa di presente interiormente che deve uscire. È sempre una fotografia della mia vita personale, e la magia della musica fa sì che un mio pensiero si accomuni a un aspetto della vita di un’altra persona che a sua volta si sente raccontata, in qualche modo. È bello perché fa capire quanto gli esseri umani siano simbiotici tra loro: qualcosa che succede a uno è successo sicuramente a qualcun altro. È difficile poi riuscire a raccontare con delle formule di scrittura immediate ciò che ci succede, capire il problema e trovare subito la soluzione. Quando scrivo, le mie canzoni non sono mai velocissime, durano tanto tempo, tanti mesi e a volte anche anni, perché magari nel momento in cui vengo percossa o attraversata da un sentimento non sono ancora arrivata alla sua soluzione. Solo in un secondo momento quello che ho citato tempo prima trova una conclusione. Quindi, cosa cerco negli artisti che interpretano le mie canzoni? Quella forma di verità, perché credo la canzone abbia bisogno solamente di un’introspezione reale, altrimenti non la si può raccontare con la forza di cui necessita.

Meraviglioso brano, uno dei tanti, scritto con la Mannoia è “Padroni di niente”. Nel testo si ripetono più volte i versi quando penso di voler cambiare il mondo, poi succede che è lui che invece cambia me: come ti ha cambiato il mondo, l’esperienza delle cose del mondo, crescendo?

Mi ha cambiato tantissimo. Il mio nome racconta proprio questo: mi chiamo Amara perché, a un certo punto, ho fatto pace con una serie di frustrazioni, pregiudizi o giudizi che avevo verso me stessa, di cui però mi avevano caricata anche gli altri; ho fatto pace con la mia persona in un risveglio interiore, un cammino molto personale in cui si superano alcuni limiti insormontabili. E quando appunto ti risvegli, comprendi come tutto quello che prima costituiva un problema in quel momento diventa niente; le uniche cose reali e importanti dell’esistenza sono l’armonia, la serenità e il contatto con te stesso. La perfezione esiste soltanto se tu ti sai vedere tale, l’unicità è qualcosa di indiscutibile perché ogni essere è unico a modo suo. Anziché rifiutare le amarezze del mio percorso io ho deciso di omaggiarle, tanto che ho scelto di chiamarmi Amara, indosso tutto. Io sono, mi sento, una donna migliore e un essere migliore grazie a tutte quelle esperienze.

Per concludere, hai definito il tuo percorso artistico-cantautorale come la ‘missione’ che caratterizza la tua vita: passando dal singolare all’universale, quale pensi sia moralmente la missione dell’uomo nel mondo?

Si lega un po’ a quello che ho detto prima. Finché ti ricerchi al di fuori di te stai sbagliando strada, sei fuori dal programma della missione. Questa è la mia forma-pensiero: ogni essere umano è il risultato di un connubio genealogico materno e paterno, arriva da quell’alchimia e ha la possibilità di risolvere tutto ciò che gli antenati non sono riusciti a fare. C’è un carico di responsabilità enorme. Credo che, a livello di priorità, si dovrebbe prendere consapevolezza delle memorie dei geni, le memorie cellulari, per poi arrivare a capire la propria identità. Io chi sono? è la domanda che ci accompagna fino alla morte, e ogni volta che troviamo una piccola risposta la aggiungiamo al piccolo puzzle perché non basta un’esistenza per capire interamente quello che siamo. L’unica cosa che dovrebbe fare ogni individuo è raggiungere se stesso in quel centro che è semplicemente l’umiltà di raccontarsi e riuscire a essere totalmente quello che è, senza sovrastrutture. Questo dovrebbe essere l’obiettivo.