INTERVISTA: ENRICO RUGGERI A RECANATI PER MUSICULTURA 2022

Una vita da cantare: Enrico Ruggeri si racconta alla redazione di Sciuscià

Enrico Ruggeri è un artista poliedrico: è cantautore, scrittore e conduttore televisivo e radiofonico, nonché una colonna portante della musica italiana. In quarant’anni di carriera e continua sperimentazione, ha sempre mantenuto fede ad alcuni punti saldi: la purezza del suono, che ritiene debba essere contaminato il meno possibile dalla tecnologia, la condivisione, in un continuo oscillare tra cessione e appropriazione del vissuto delle canzoni, e la centralità della musica, che va perseguita come priorità e mai come alternativa.

Come nella vita, anche al Concerto dei finalisti di Recanati 2022 ha prestato la sua voce alla musicalità della parola sia in metrica, sul palco, che in prosa, attraverso quest’intervista.

La tua ultima fatica discografica è l’album, La rivoluzione (2022). Ti va di parlarci della sua genesi e del perché hai scelto di raccontare proprio di una rivoluzione?

La genesi di quest’album è stata particolare. Dopo i primi 37 album pubblicati in quarant’anni, quasi uno all’anno, per quest’ultimo abbiamo aspettato tre anni, un po’ per via della pandemia e un po’ perché abbiamo sfruttato al massimo le potenzialità del mio studio. Ci trovavamo lì e trascorrevamo intere giornate a lavorare, poi magari ci fermavamo e ricominciavamo. Abbiamo lavorato a un sacco di brani con calma, poiché c’era tanto tempo a disposizione. Insomma, La rivoluzione è un disco molto curato e suonato dal vivo, utilizzando il computer solo come registratore e senza plug-in, Auto-Tune e tutti i dispositivi con cui si fanno i dischi oggi. Credo sia, dal punto di vista sonoro, il mio album migliore.

La tua discografia, lo abbiamo detto, è decisamente nutrita. Ma alle spalle hai anche la pubblicazione di diversi libri. Da dove nasce l’esigenza di scrivere in prosa nella forma romanzo?

La canzone è un modo meraviglioso per esprimersi, però porta con sé una serie di paletti da rispettare e limitazioni alla libera espressione artistica: ha solitamente una durata massima di tre o quattro minuti e bisogna fare i conti con la musica, la ritmica, la metrica, la musicalità della parola. Un romanzo, invece, può essere lungo cento, mille o più pagine. Di solito, quando finisco di scriverne uno, quasi mi dispiace dover abbandonare i protagonisti. Il romanzo è un’avventura molto più libera e complessa: puoi cambiarlo in corso d’opera e, mentre scrivi, vivi con lui.

La tua carriera è contrassegnata da una ricca produzione da solista, in gruppo con i Decibel e come interprete di classici riscritti (vedi l’EP Una storia da cantare, 2020). Spesso hai anche lasciato reinterpretare i tuoi brani ad altri (vedi l’album Le Canzoni ai Testimoni, 2012). Che valore ha per te la testimonianza vocale di un vissuto non proprio?

Ha un grande valore. La canzone, in realtà, è di chi la canta. Ci sono canzoni che assumono varie forme a seconda di chi le canta e se ne fa “portavoce”. A me è capitato sia come autore – per esempio con Quello che le donne non dicono o con Il mare d’inverno, cantata da Loredana Bertè e da tanti altri – sia come interprete. Se lasci cantare una tua canzone a qualcun altro, devi tenere a mente questo ed essere pronto a “cederla”. Viceversa, se sei tu a cantare canzoni di altri, come mi è più volte capitato, devi sforzarti di immaginare che la canzone sia stata scritta un minuto prima e di dimenticare, pur nel rispetto dell’originale, che sia stata cantata da Battisti o da De André.

Sei un artista poliedrico e a tutto tondo: avresti mai immaginato un’altra vita al di fuori del mondo dell’arte e dello spettacolo?

No, in realtà io ho sempre detto che la vita premia quelli che non hanno un piano B. Io il piano B non ce l’avevo: anche se studiavo – mi sono iscritto a legge giusto per non far arrabbiare troppo i miei genitori – sentivo che prima o poi mi sarei mosso nella musica o nella comunicazione. Quello mi piaceva fare. Poi, magari, sarei finito a fare il giornalista o il fonico, ma sapevo che il mio futuro sarebbe stato all’interno del mondo della musica.

Veniamo infine alla tua ormai consolidata collaborazione con Musicultura. Sei membro stabile del Comitato Artistico di Garanzia e hai condotto il Festival per tre anni consecutivi, dal 2019 al 2021. Ora, in occasione del concerto di presentazione dei 18 finalisti, torni come ospite. Ecco, che consiglio daresti agli artisti in concorso per questa edizione?

Innanzitutto, faccio loro i miei complimenti, sono tutti molto bravi! Musicultura mi sembra il più serio e prestigioso dei vari concorsi canori. Il mio consiglio per gli artisti di quest’edizione riguarda, naturalmente, la personalità. Arrivano da qualche parte solo quelli che in qualche modo vanno a colmare un vuoto nella scena musicale attuale. Bisogna tentare di proporre cose fresche e nuove, che non sono state già fatte. Nel farlo, la riconoscibilità della voce gioca un ruolo importante. Non è semplice, però il tentativo dev’essere questo.