Intervista: Roberto Piumini ospite a La Controra 2022

Suoni, poesie e racconti a La Controra con Roberto Piumini

Roberto Piumini ha sempre giocato con i suoni, le parole, i racconti. È stato, all’inizio della sua carriera, insegnante di lettere e attore teatrale. La scrittura è arrivata quasi naturalmente, nel 1978: da allora ha pubblicato moltissimi libri di fiabe, filastrocche e testi teatrali, diventando uno dei nomi più importanti della letteratura per l’infanzia. E non solo: perché dagli anni ’90 ha anche scritto romanzi, racconti e poemi per i più grandi.

Ieri ha messo un po’ di quelle storie in valigia e le ha portate a Macerata, per la Controra di Musicultura. Nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi Borgetti, assieme a Nadio Marenco che lo ha accompagnato con la sua fisarmonica, ha letto ad alta voce le avventure de “Il Piegatore di lenzuoli”. Noi della redazione di Sciuscià l’abbiamo intervistato, per conoscere meglio il suo percorso artistico, le sue idee sul mestiere di scrivere, le sue ispirazioni. Ecco cosa ci ha raccontato:

Partiamo così, a bruciapelo: come nasce una filastrocca?

La filastrocca nasce dal gioco: il gioco delle parole e del senso, e il gioco dei suoni. È qualcosa che origina nella parte ludica e fonosimbolica della nostra mente, dalla voglia di creare e poi di condividere con gli altri. “Altri” che in questo caso sono i bambini. In un primo momento la filastrocca appartiene solo a chi la scrive, ma fa presto a diventare divertimento, coralità, danza e movimento, voglia di partecipare insieme. È un materiale verbale dinamico.

Ha tradotto poemi di Browning, i Sonetti e il Macbeth di Shakespeare. Come si integra il suo lavoro di traduttore con quello di scrittore per l’infanzia?

Il mio lavoro di traduttore è una sorta di “prolungamento ludico” della mia attività di poeta. Ma senza la responsabilità di narrare e di inventare. Con la traduzione ho la possibilità di far dilatare al massimo l’intervento del mio linguaggio e della mia capacità di costruire e di creare. Di mestiere non faccio il traduttore, però quando traduco mi informo sul campo semantico usato dall’autore, faccio una sorta di “perizia investigativa” sulla metrica, studio la lingua, le metafore. Però non mi dimentico mai di essere anche un poeta, quindi cerco di creare delle versioni che siano comunque fedeli, ma più godibili e con più canto.

Ha lavorato al fianco di diversi musicisti per la realizzazione di libri su autori, strumenti e stili musicali. Com’è nata l’idea di queste collaborazioni?

Diversi decenni fa Bruno Lauzi, cantautore della gloriosa epoca del cantautorato italiano, mi fece iscrivere alla SIAE. Aveva visto e apprezzato alcuni dei miei testi, e voleva a tutti i costi che io diventassi autore musicale per potermi coinvolgere in un progetto. La cosa alla fine non avvenne, il progetto non fu mai realizzato, ma io rimasi comunque formalmente un autore. Quando cominciai a girare per le scuole e per le biblioteche per fare spettacoli sui miei testi accompagnato da musicisti scoprii che non avevo nessuna difficoltà a scrivere canzoni. È un’attività che mi diverte tantissimo, proprio come mi diverte fare traduzioni. Credo che in entrambi i casi, infatti, ci sia una parte poetica preesistente; quindi posso rivolgermi con più attenzione al mio campo specifico: quello delle parole. Le considero entrambe attività “defaticanti”. Il che può sembrare strano, perché una traduzione come quella del “Paradiso Perduto” mi ha occupato circa un anno e mezzo. Ma è un gioco: un gioco che si fa con qualcosa detto già da altri o che sta per essere detto da altri, e io cerco di giocare nel miglior modo possibile.

Che valore attribuisce alla poesia quando afferma che “partecipa al colloquio del mondo, anche quando è un canto solitario”?

Attribuisco alla poesia un valore antropologico. È senz’altro l’atto espressivo più profondo e più legato alla memoria, al desiderio, all’esperienza, all’identità. È quello che più di ogni altra cosa richiama una risposta nell’altro.

Da oltre trent’anni Musicultura accoglie moltissimi giovani cantautori. Parliamo di musica d’autore in cui ognuno esprime una parte di sé, del proprio animo. Quali sono le sue impressioni a proposito?

Posso parlare dei miei gusti personali, perché non sono un ascoltatore per così dire “qualificato”. Mi piacciono i cantautori che non scrivono con un eccesso di letteratura, ma che lavorano sull’espressività. Preferisco i cantautori che non vogliono essere troppo letterati, insomma. Quelli che trovano il giusto equilibrio, senza esagerare nel profetarsi poeti.