La musica come “occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita”. L’intervista a Simone Matteuzzi, finalista di Musicultura.

Simone Matteuzzi, ventiduenne cantautore milanese, racconta alla Redazione del Festival come nascono le sue canzoni, navigando attraverso un’eterogeneità di stili alla ricerca del più adatto a esprimere la sua complessa soggettività. Il brano Ipersensibile, che gli ha aperto la strada tra i finalisti di Musicultura, esprime le difficoltà emotive nel cercare di vivere l’amore e relazionarsi con gli altri in un mondo che sottopone le persone a crescenti pressione e competitività.

Leggo nella tua biografia che hai già vinto nel 2018 il premio per cantautori della Fondazione Estro Musicale di Milano e nel 2022 il Premio “Ricerca e Contaminazione” della Pino Daniele Trust Onlus. Come stai vivendo l’esperienza di Musicultura e cosa rappresenta la partecipazione a questo festival nel tuo
percorso?
La partecipazione a Musicultura rappresenta una tappa importante nel mio percorso umano e artistico. Era da anni che sbirciavo timidamente le attività di Musicultura con grande stima e interesse, ma – forse come subendo una sorta di timore reverenziale – non avevo mai osato avvicinarmici, mettermi in gioco. Ora che ne ho avuto il coraggio si sta dimostrando un’esperienza fondamentale per la mia crescita. Mi emoziona molto far parte di un Festival in cui è posta così tanta attenzione alla canzone, e più in generale alla musica, come fatto culturale imprescindibile. Guardando “dall’alto” il mio percorso, mi sembra che l’opportunità di Musicultura si ponga in perfetta consequenzialità con le esperienze fatte finora; è un altro grande passo in avanti verso la costruzione di ciò che è per me la canzone: un’occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita, di ricerca concreta di se stessi e degli altri.

Sempre nella tua biografia hai dichiarato di esserti innamorato della black music, dei Pink Floyd, di Miles Davis e di Franco Battiato. In che modo questi artisti hanno influenzato il tuo percorso musicale?
Penso che la diversità in tutto ciò che ho ascoltato e assorbito negli anni sia alla base della mia “formazione” musicale. Vedo nell’accostamento di elementi differenti e nella loro pacifica convivenza la mia cifra artistica. Per descrivere la complessa architettura di una soggettività umana non penso sia sufficiente un solo stile musicale; per questo, nella mia musica confluisce naturalmente tutto ciò di cui mi sono innamorato e quello che rappresenta per me. Sono debitore alla black music, all’art-rock e al jazz: studiando la varietà di queste musiche negli anni ho imparato che con i suoni si può giocare, che il “sound” può parlare. Di conseguenza, l’accostamento di più sound, anche quasi ossimorici, in un solo brano può dipingere uno stato d’animo più articolato, complesso. Al contempo, mi sento emotivamente legatissimo al cantautorato italiano, particolarmente al lavoro di Dalla e Battiato, un esempio vivo di cultura nel senso più ampio del termine, che abbraccia la vita sotto ogni suo aspetto, saltellando con leggerezza dalla visione
spirituale a quella comica, giocosa.

Ipersensibile è il brano selezionato dalla Giuria di Musicultura. Sul sito della tua etichetta Zebra Sound leggiamo che “nasce in una fredda notte di sconforto provinciale e racconta la difficoltà emotiva del relazionarsi con persone e ambienti di una società sempre più performante”. Quali sono le difficoltà che un ventenne deve affrontare nella società di oggi?
Ipersensibile è arrivata come un vomito nevrotico dopo una lunga e sofferta nausea. Racconta appunto il disagio e la pressione che si avvertono quando ci si rende conto di essere inadatti. Nella mia esperienza di vita di giovane artista sento spesso questa pressione, anche nell’universo dell’arte, che talvolta sembra
ingiustamente fagocitato dalla forma mentis turbocapitalista che governa il mondo. L’ansia di dover arrivare o dover dimostrare di essere “meglio di” permea l’ambito creativo tanto quanto quello relazionale, sembra di dover avere sempre qualcosa da dire, di non poter accogliere il silenzio, la lentezza, che io reputo sacri. Talvolta questo turbinìo, avvertito in particolare modo in una città come Milano, sembra farcelo dimenticare riducendoci a degli esseri cinici e impauriti, per l’appunto ipersensibili ma coperti da una corazza di agitata indifferenza. Penso che l’intreccio di parole, suoni, velocità e impressioni che costituisce Ipersensibile descriva al meglio, almeno per quello che è il mio sentire, queste difficoltà emotive e cerchi in
qualche modo anche di esorcizzarle.

Durante le Audizioni Live di Musicultura hai presentato anche Zanzare, un pezzo, molto diverso da Ipersensibile, che racconta un sentimento più intimo e timido. In che modo vivi quello che hai definito come “dissidio interiore”?
Penso che ogni canzone tratti l’amore a modo suo. Se Ipersensibile racconta un “amore” davanti al quale si frappone uno scudo di negazione, cinismo e resistenza passiva, Zanzare accoglie l’amore e le difficoltà che si possono avere con esso. Non la definirei comunque una canzone “positiva”, persiste appunto un forte dissidio interiore, ma in questo caso viene espresso con più dolcezza, come infatti suggerisce la musica.
Ipersensibile non accoglie la situazione di sofferenza, la accetta con tragicità, dannazione; Zanzare, invece, apre uno spiraglio alla comprensione, alla tenerezza che può trasparire anche dalle situazioni più drammatiche. Come a dire: io sono così, la realtà che ci circonda è così, possiamo mettere nero su bianco i nostri dissidi e guardarli in faccia stando assieme anziché dannarci di una nevrotica solitudine. Proprio per questo il ritornello finale assume un aspetto corale, quasi liturgico, comunitario, e penso che questa sia la risposta migliore con cui accogliere ogni avvenimento: farlo insieme.

Rimaniamo in tema di Audizioni Live: in quell’occasione hai accompagnato la tua voce con la chitarra acustica, ma sui tuoi account social ti vediamo alle prese con diversi strumenti musicali. In che modo scegli quelli con cui accompagnare i tuoi brani?
Se potessi mi accompagnerei sempre con ogni strumento! Quello che ho avuto modo di studiare più approfonditamente negli anni è il pianoforte, ma per passione ed esigenza imbraccio spesso anche chitarra e basso. Proprio per questo motivo, non c’è una vera e propria scelta dello strumento da utilizzare per accompagnarmi dal vivo: penso ognuno di essi sia un mezzo per esprimere la propria umanità come lo è la musica in senso più ampio. Ho sempre amato sin da bambino giocare coi suoni e con le parole; più mezzi si hanno per fare questo gioco più sarà divertente. Ogni suono è un’opportunità e la tecnologia, il processing e la sintesi digitale dei suoni allargano queste opportunità pressoché all’infinito. Suono diversi strumenti
proprio per questo, per tuffarmi in questo sconfinato mare di opportunità con cui posso esprimere quello che sono e che scoprirò di essere.