L’arte della condivisione: Ron a La Controra 2023

Un pomeriggio in compagnia di Ron raccontato dalla Redazione Universitaria

La Controra 2023 inizia con uno dei maggiori interpreti della canzone italiana. Accolto dall’affetto di un pubblico intergenerazionale, Ron ripercorre i suoi straordinari 53 anni di carriera rispondendo alle domande della redazione universitaria Sciuscià. Teatro, cinema, conduzione, composizione, canzone, cantautorato: nella sua vita Rosalino Cellammare si è dedicato a tante, se non a tutte, le arti dello spettacolo, senza mai rinnegare il suo istinto, rimanendo fedele a se stesso con autenticità, nella convinzione che semplicità e umanità siano la chiave per vivere l’arte.

La prima domanda posta dagli studenti non può che affrontare il tema della formazione, non solo come percorso di apprendimento lineare ma anche come sperimentazione, perché, precisa Ron, non c’è talento senza formazione. «Il talento puro è una fiamma che non si estingue mai, è capace di sviluppare un’energia fortissima. Chi ha questo dono meraviglioso può fare tutto, anche i talent show. In questi contesti l’importante non è arrivare, ma buttar fuori una personalità, anche solo con un gesto. Sono queste le cose che segnano davvero la vita di un artista».

Per fare in modo che ciò accada, servono delle proposte concrete. Una città per cantare non è solo una canzone, è anche la scuola di musica che Ron ha avviato nel 2010 per quei giovani talenti che vogliono conoscere, imparare e sperimentare la propria musica e i propri pezzi, in un contesto di collaborazione. La dimensione corale è, senza dubbio, il punto di forza di questo progetto e del suo ideatore, il cui lavoro, negli anni, si è contraddistinto per la capacità di mettere insieme anime diverse. «Ho sempre pensato – afferma ai microfoni di Sciuscià – che per la musica sia essenziale la magia che si crea quando le persone cantano insieme. Questa sensazione, per capirla, bisogna provarla. Non mi sono mai emozionato così tanto come quando, di fronte a una platea ammutolita, con Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori e Pino Daniele ci siamo sentiti ‘spogli’. La nostra voce lavorava per noi: eravamo riusciti a mostrare la nostra anima».

Dalle parole sincere di sua madre – «Fallo, ma fallo bene» – alla realizzazione di un sogno, tanti sono i ricordi che riaffiorano, che hanno il sapore di quella vita intensa, ma lontana, vissuta da una generazione di artisti che ormai sfugge alla maggior parte dei giovani. «Ora è difficile ascoltare cose grandi come montagne, come quelle che scrivevano Dalla, De André e Battisti. Io credo che tutti abbiamo bisogno di farci travolgere dalla forza spaventosa dei grandi autori del passato, di imparare chi sono stati e come sono stati. I nostri giovani non conoscono quello che è stato prima di loro, gli manca una vera e propria cultura musicale, la capacità di riuscire a trovare se stessi nelle parole di questi grandi».

Dietro ogni parola e ogni nota, prosegue, c’è sempre una storia. La formula per una buona canzone è partire da se stessi, da chi siamo e da ciò che sentiamo: «La buona canzone è quella che ti assomiglia», che affonda nelle tue radici e rispecchia ciò che hai dentro, la tua terra e la tua famiglia. «Una volta c’erano dei bellissimi pezzi che avevano il potere della semplicità», proprio ciò che negli ultimi anni, aggiunge, ha perso la musica italiana. Nonostante questo, ammette di avere grande fiducia nelle nuove generazioni. Seppure i giovani, spiega, sempre più spesso subiscano le conseguenze «di una visione sbagliata del nostro lavoro. Manca qualcuno che li ascolti e li guidi, che gli dica che sono sulla strada giusta, senza una telecamera puntata in faccia».

Ron, premiazione agli alti meriti artistici – Musicultura 2023

Dagli anni Settanta a oggi spesso quelle telecamere hanno inquadrato Ron, il personaggio, lasciando un po’ nell’ombra la persona, quel Rosalino che da qualche tempo è rinato. «Io credo che nel suo essere schifoso e devastante, il Covid, nel mio caso, sia servito. Come tutti mi sono ritrovato chiuso in casa, solo. In quel silenzio, in quell’ampolla in cui vivevamo, sono riuscito a tirare fuori qualcosa», il disco Sono un figlio.

È stato un silenzio pieno e creativo, lo stesso che – dice al termine dell’incontro – ha ritrovato a Macerata. «Sono rimasto strabiliato da questa città. Qui, per la prima volta dopo tanto tempo, ho ritrovato il silenzio». Un silenzio particolare: il silenzio di chi ascolta. E una città che ascolta, in fondo, è proprio “una città per cantare”.