“Svestire le canzoni per renderle vive” – Ermal Meta a Musicultura 2023

L’intervista al cantautore e allo GnuQuartet che lo ha accompagnato sul palco

Non è la sua prima volta come ospite di Musicultura. E infatti Ermal Meta racconta del suo legame con il Festival ai microfoni di Rai Radio 1 già nell’incontro pomeridiano in Piazza Mazzini per La Controra. Poi l’esibizione durante la seconda serata finale allo Sferisterio con i musicisti dello GnuQuartet. Sale sul palco intonando Un tempo piccolo, omaggio al maestro Franco Califano; dopo, regala al pubblico le sue Piccola anima e Mi salvi chi può addobbate di viola, violino, violoncello e flauto. Prima di questa magia, la sua intervista alla redazione di Sciuscià. Dopo due anni torna a calcare il palco di Musicultura, questa volta in compagnia dello GnuQuartet. 

Il vostro è un sodalizio artistico nato nel 2019, un “amore a prima vista” che vi ha portato in tour. Cosa vi ha spinto a riproporre la collaborazione come ospiti del Festival?

EM: È l’amore.
GQ: Sì è l’amore, insieme si crea ogni volta un’alchimia particolare grazie alla quale il meccanismo funziona, si mettono in moto energie che ci danno molta soddisfazione.
EM: Come esempio dico questo: ieri in una quarantina di minuti di prove, compresi di pausa, avevamo terminato. Sì, siamo partiti insieme in tour nel 2019 ed è stato bellissimo, è un piacere musicale suonare con loro, un piacere per le orecchie, non c’è altro modo di spiegarlo. Da amante della musica e musicista, posso consigliare a tutti del nostro mestiere di provare l’esperienza meravigliosa di condividere un palco con lo GnuQuartet.

Ecco, voi dello GnuQuartet vi siete esibiti nei teatri più suggestivi d’Italia, vestendo le canzoni di Ermal Meta con note di viola, violino, violoncello e flauto. Come scegliete il taglio giusto per ogni brano?

GQ: Ci siamo lasciati ispirare dai brani; abbiamo prima costruito degli arrangiamenti per poi provarli insieme. È stato un modo per portare a galla elementi e aspetti delle canzoni che rimanevano nascosti nella versione radiofonica. Ci siamo goduti la voce di Ermal e la sua musicalità in un modo che va al di fuori dei confini più stretti del beat o della ritmica, che solitamente non può crescere e diminuire durante un brano. Ci siamo presi degli spazi per lavorare con lui come un camerista, è il nostro musicista da camera. Con la voce però!

EM: È questa la cosa che mi ha colpito immediatamente del lavoro fatto insieme: hanno spogliato le mie canzoni, in realtà riempiendole, lasciando risalire ritmiche e suoni soffocati da alcuni confini musicali che normalmente si rispettano. Ho ascoltato delle canzoni nude, ma vivissime, a tal punto quasi da non riconoscerle.
Lui (Raffaele) se lo ricorda bene: la nostra prima prova è stata surreale perché ero talmente incantato nel riscoprire i miei lavori da non ricordare come suonarli. Mi sentivo un impostore addirittura, ascoltavo canzoni scritte da me ma completamente nuove.

Lei, Ermal, in diverse occasioni ha regalato al pubblico interpretazioni di brani che hanno fatto la storia del cantautorato italiano; ricordiamo tra tutti Amara terra mia di Domenico Modugno e Caruso di Lucio Dalla. Cosa cerca di trasmettere con la rilettura di questi brani?

Cerco di trasmettere l’emozione che attraversa me in primis. La mia è un’emozione fisica – veri e propri brividi – che mi permette di abbandonare la paura iniziale e comunicare con l’altra parte, senza aspettarmi che la persona che ho di fronte provi le mie stesse cose. Ognuno ha una sua intenzione, una sua spiritualità legata a questi grandi testi, talmente grandi che non possono non suscitare ricordi profondi. La stessa cosa, come dicevo, è accaduta con lo GnuQuartet. Il nostro sodalizio è stato, ed è, così bello proprio perché questi musicisti cercano di estrapolare l’emotività insita nelle canzoni che suoniamo insieme. La bellezza della musica è proprio questa:guardare cento volte la stessa cosa e notarla sempre nuova, perché cambia con te. La canzone diventa ciò che tu sei in quel momento. Non ci sono trucchi, c’è solo magia.

L’esibizione

Non solo musica. Lo scorso anno è stato pubblicato il suo romanzo Domani e per sempre, recentemente proposto al Premio Strega. È la storia di Kajan, un ragazzo che vive l’occupazione tedesca dell’Albania durante la Seconda guerra mondiale: la scoperta della musica gli dona una speranza in un momento fortemente tragico. Questo potere salvifico della musica si può leggere anche in relazione agli eventi contemporanei?

In relazione a tutto quello che sta accadendo nel mondo in questi anni, penso che la musica non possa salvare vite in senso strettamente fisico, ma sono convinto che possa salvare una parte della vita e guarire delle parti della nostra persona. Il romanzo che ho scritto, naturalmente, è ambientato in un periodo storico molto diverso, che va dalla Seconda Guerra Mondiale alle soglie degli anni Novanta, con la fine del regime albanese dopo la caduta del Muro di Berlino. Credo che nel nostro tempo la musica sia un bisbiglio di pace, che però rischia di non essere udibile nel frastuono delle armi.

Ha un profondo rapporto con la sua terra d’origine. La presenza albanese in Italia è molto forte, come dimostra la lunga tradizione della cultura arbëreshë – una contaminazione italo-albanese che si è radicata in alcune regioni del nostro Paese a partire dal Quattrocento. Conosce e partecipa alla vita di queste comunità?

Conosco molto bene la storia degli arbëreshë, anche se mi dispiace non poter partecipare attivamente alla loro vita per ragioni geografiche: io vivo tra Bari e Milano e queste comunità si trovano principalmente tra Calabria, Sicilia, Abruzzo e Molise. Invito tutti a scoprire la storia che ha spinto gli albanesi a lasciare la propria terra e ad arrivare in Italia perché è molto interessante: è una vicenda strettamente legata alle gesta di Giorgio Castriota Scanderbeg, eroe nazionale albanese, che ha riunito i principati e si è opposto per venticinque anni all’invasione ottomana. La storia del principe Scanderbeg è incredibile: fu rapito dai Turchi quando era bambino e divenne uno dei generali più stimati dal sultano, finché all’età di quarant’anni raccolse ventimila fedelissimi e resistette per anni all’assedio di oltre duecentocinquantamila uomini. Purtroppo, alla morte di Scanderbeg i principati si divisero e gli ottomani riuscirono a invadere l’Albania: in molti fuggirono e approdarono in Italia dove diedero vita alle comunità arbëreshë.