«In movimento mi sento particolarmente vivo»: “I mirabolanti racconti di Tommi Scerd”

La redazione Sciuscià intervista i finalisti di Musicultura 2024

Tommaso Montarino, in arte Tommi Scerd, è giovane bresciano – nomade di destinazione, però – che con il suo brano Mela 5 si è aggiudicato un posto tra i diciotto finalisti della XXXV edizione di Musicultura. Dice di cacciarsi spesso in situazioni assurde, è stravagante, sempre in cerca di nuove avventure e di sfumature in cui muoversi in diagonale, costantemente in viaggio. E tutti questi elementi sembrano essere racchiusi nel titolo del suo primo album, I Mirabolanti Racconti di Tommi Scerd. Proviamo a farcene anticipare qualcuno con questa intervista. 

Partiamo dalla tua nota biografica, nella quale scrivi: “Tommi Scerd vi racconterà di essere un cantautore e potrebbe anche convincere alcuni di voi. Non credetegli, perché questo ragazzo non sa niente, né chi è e nemmeno che sta facendo”. Sembra quasi tu voglia scappare dalla consapevolezza di te. Perché?

La musica funziona quando ci si diverte, ma c’è anche da dire che per funzionare deve rispettare molti parametri, spesso poco divertenti. In questo ambito, infatti, bisogna sapere chi si è e cosa si sta proponendo, quale genere, quale target, con quali tempistiche pubblicare e chi tenersi vicino nel farlo. Toglie tanto divertimento, quindi non appena trovo una sfumatura in cui posso muovermi in diagonale io lo faccio, compresa la bio. E poi a pensarci bene lo penso davvero.

Genova è la città in cui vivi. Ed è la città di Fabrizio De André, primo firmatario del Comitato Artistico di Musicultura, di Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi. Muovere in un contesto così importante per il panorama musicale italiano ha in qualche maniera influito sulla tua scelta di essere un cantautore?

Mi sono trasferito a Genova da Bologna due/tre anni fa: sono originario di Brescia, ma nomade di destinazione. Sicuramente con la mia ragazza siamo finiti proprio lì e non da un’altra parte anche per l’atmosfera che si respira, che è legata alla storia musicale della città e che ha nutrito le canzoni a sua volta.

Genova, ancora: è lì che sei stato cameriere tra i vicoli e – faccio appello di nuovo alla tua bio – “apprendista di vita di strada di un uomo che viveva su una bicicletta”. È un’immagine molto bella, che restituisce il quadro di un vissuto volutamente intenso. Come quel vissuto entra nella tua musica? Bussa, chiede permesso o si fa largo con prepotenza? 

Mi caccio spesso in situazioni assurde, per curiosità, per sfida, per sfortuna. Provo emozioni forti e faccio ragionamenti che mi piace poter condividere. Le mie canzoni sono state per molto tempo autobiografiche e di autoanalisi; il mio vissuto le ha attirate verso me e io mi son lasciato guidare a mia volta in tante occasioni.

“Io non ho più suole, dovrei cambiarmi le scarpe, sembro distante ma guarda, non parlarmene di ritornare a casa”, scrivi in Mela 5, brano che ti è valso l’ingresso nella rosa dei 18 finalisti di Musicultura. Hai viaggiato molto, tanto da consumare le scarpe, e sembra tu non abbia alcuna intenzione di fermarti. Parti per sola sete di conoscenza, per osservare il genere umano nella sua interezza, o è altro che ti porta a non riuscire a star fermo in un posto?

È una serie di fattori che non saprei riassumere con nitidezza. L’effetto percepibile alla fine della catena dei perché è che in movimento mi sento particolarmente vivo, perché mi sento alla ricerca. Sono in cerca di punti di vista originali per guardare la realtà, perché penso che fornirli sia il fine ultimo dell’arte. E siccome mi sento un addetto a questo ambito, ho bisogno di sentirmi utile e all’opera.

I Mirabolanti Racconti di Tommi Scerd è il titolo del tuo primo album, che dovrebbe uscire a breve. Cosa dobbiamo aspettarci da questo progetto?

Sarà un album in cui la parola e la musica hanno la stessa importanza. Le parole comunicano la trama, di racconto in racconto, ogni canzone col proprio messaggio. La musica è l’ambientazione: un po’ moderna, coi suoni fatti col computer, un po’ antica, con chitarra, basso e cori, e un po’ sperimentale, perché non si rifà consapevolmente a nessun modello.