Speranza, bellezza, umanità: Simona Molinari ospite a Musicultura in ricordo di Mercedes Sosa

L'intervista a Simona Molinari a cura della Redazione Universitaria

Nata a Napoli ma cresciuta a L’Aquila, dove si è diplomata al conservatorio, Simona Molinari è una cantautrice pop-jazz dal percorso artistico brillante. Il fil rouge di una carriera ricca di esperienze – che la vede pubblicare sette dischi, partecipare due volte a Sanremo e ottenere numerosissimi premi e riconoscimenti – non è il mito del successo, né la smania di vendere il più possibile; perché non è importante quanto, ma come. Così la sua attenzione è sempre rivolta alle emozioni e al sentire profondo; il suo obiettivo è prendere per mano chi la ascolta e portarlo «un pochino più in alto», sopra le dinamiche di una società ostica e complicata, regalandogli la speranza, e forse la convinzione, di quanta bellezza sia possibile nel mondo. Tutto questo è alla base del suo ultimo progetto, HASTA SIEMPRE MERCEDES, in cui si propone di portare avanti il messaggio di pace di Mercedes Sosa, attivista argentina che con la sua voce ha lottato con forza in difesa dei diritti civili. Ospite al teatro Persiani di Recanati, in occasione del concerto dei finalisti di Musicultura, propone una selezione proprio dei brani di questo disco, Gracias a la vida e Solo le pido a dios, a cui aggiunge un grande classico della musica napoletana, Caruso, che Mercedes stessa amava cantare. Infine, un dono ancora più personale: il brano inedito Nu fil ‘ e voce. Un filo di voce, appunto. Lo stesso con cui spiega alla  redazione di Sciuscià quanta umanità ci sia nell’arte, quella vera.

Il panorama musicale odierno sembra minato da una sfrenata volontà di ottenere il maggior numero di stream. Nel tuo caso, invece, assistiamo a una carriera all’insegna della ricerca e della qualità, in cui sei rimasta fedele a un genere che oggi non è considerato tra i più fruibili e che si muove lontano dalle logiche consumistiche: il jazz. Cosa pensi del modo in cui oggi viene valutata e consumata la musica?

Trovo che attualmente ci sia una sorta di dittatura dei numeri che ti spinge a produrre sempre di più per dinamiche legate agli algoritmi e al consumo; è inevitabile che, a un certo punto, questo meccanismo ti allontani da chi sei sia musicalmente che come persona, ti allontani dalla tua stessa umanità. Credo che ci siano tre modi di fare arte: per business e intrattenimento; per raccontare la realtà, in modo che a posteriori si possa rivivere il momento in cui una canzone è stata scritta; infine, c’è il modo per cui tenti di portare lo spettatore un pochino più in alto, cercando di nutrirlo di fiducia, di speranza e di passione, delle cose che ti tengono in vita e che ti fanno alzare dal letto la mattina. Ecco, io voglio essere divulgatrice proprio di questo modo di fare musica. Spesso si pensa che chi suona o canta debba necessariamente parlare delle brutture del mondo, ma non è così. Piuttosto si può – ed è quello che cerco di fare – immaginare e narrare di come il mondo potrebbe essere, per trasmettere a chi ti ascolta la speranza che qualcosa di bello può accadere.

Musica e non solo: oltre a 7 dischi pubblicati, la tua carriera si nutre anche di molteplici esperienze nel mondo del teatro e della recitazione. Quali sono i punti di contatto tra queste due forme d’arte nella tua vita?

Sono due canali che si sposano benissimo.  Inizialmente i miei modelli – o meglio, le figure che vedevo in tv – erano artiste molto brave tecnicamente e in grado di gestire gli strumenti al massimo, donne perfette sia a livello musicale che estetico. Quando ho iniziato a fare teatro da ragazza – da sempre legandolo alla musica – ho capito che attraverso il canto potevo raccontare e dire delle cose che ritenevo importanti, utilizzando la voce come uno strumento per comunicare e non solo per trasmettere un suono. Il teatro, dunque, è stato in grado di regalarmi una visione completamente diversa della musica stessa, grazie alla quale ho iniziato a scrivere. Oggi esistono tantissime donne che suonano e scrivono in maniera profonda e impegnata, che sono molto più di una bella voce e un bel vestito: è un grandissimo orgoglio.

Il tuo ultimo lavoro è un album dal titolo HASTA SIEMPRE MERCEDES, dedicato alla cantante e attivista argentina Mercedes Sosa, figura di riferimento nel suo paese e simbolo della lotta per la pace e per i diritti civili. Come nasce l’idea di questo progetto? Qual è il messaggio di Mercedes che vuoi trasmettere con la tua voce che, in particolare, ritieni importante oggi?

In tutta la musica di Mercedes c’è sempre un richiamo fortissimo all’umanità. Credo che i suoi messaggi siano importantissimi, oggi in generale, in quanto veicolo ed espressione della bellezza, in risposta a tutte le ingiustizie e le prevaricazioni che vengono portante avanti dagli uomini.

Rimaniamo su questo disco. Inizialmente HASTA SIEMPRE MERCEDES non ha visto la sua pubblicazione in digitale: è una scelta che sicuramente colpisce. Che motivazione c’è dietro?

A mio avviso, il fatto di convertire la musica in file sporca un po’ il senso della musica stessa. Se fatta con amore e passione, ogni canzone è un’opera d’arte; relegare il mio lavoro in una dimensione digitale mi sembrava come togliere il valore a qualcosa che secondo me ce l’ha, o almeno che ho fatto pensando di metterci dentro un valore. È esattamente come se si potesse mettere un quadro in un click; non lo trovo giusto.

Che consiglio daresti ai giovani, magari ai finalisti di Musicultura, che vogliono intraprendere la strada della musica per rimanere fedeli a se stessi e non lasciarsi snaturare dalle dinamiche del mercato discografico?

Innanzitutto, credo sia importantissimo custodire le ragioni che porti – e che ti portano – sul palco: è ciò che arriva al pubblico in platea ancora prima di quello che dici, di quello che fai e del tuo modo di cantare. Quando fai musica, a un certo punto, arrivano l’ego, il narcisismo, la voglia di essere popolare o di fare business; di fronte a tutto questo bisogna proteggere e salvaguardare con cura le proprie motivazioni profonde e ciò che ci muove dall’interno. Oggi viviamo in una società liquida, in cui tutto sembra scorrere e impossibile da poter trattenere. Secondo me, però, le cose che hanno un messaggio vero e sincero resistono nel tempo e bisogna lottare per tenere vivo il loro valore: è così che si resta se stessi.