Sette note per contenere l’anima: Capossela a Musicultura

Un viaggio musicale tra mito e memoria, per ritrovare nella canzone uno spazio più largo del presente

Dopo dieci anni, Vinicio Capossela torna sul palco dello Sferisterio di Macerata per Musicultura. Cantautore, narratore, rabdomante di suoni e parole, non ha mai scritto canzoni per riempire il tempo, ma per allargarlo. La sua musica è piena di personaggi fuori dal tempo, paesaggi che si portano dietro come bagagli e miti che non servono a scappare dal presente, ma a guardarlo con occhi più larghi. In un’epoca che corre veloce, il suo ritorno è una pausa preziosa: una fenditura in cui infilarsi per ascoltare con più attenzione, per rallentare, per ricordare che la canzone può ancora essere un luogo in cui abitare davvero.

Torna dopo dieci anni sul palco di Musicultura, un festival che da sempre celebra la canzone d’autore mettendo al centro la parola come strumento di ricerca e di racconto. In un panorama musicale spesso dominato dalla velocità e dall’effimero, cosa significa per lei ritrovarsi in questo spazio di ascolto così attento e carico di memoria?

Lo Sferisterio, dove si svolge questo festival, oltre che uno spazio che ricorda i suoi antichi trascorsi sportivi – qui si giocava spesso alla palla col bracciale – è un luogo importante per la musica. Platone ne La Repubblica diceva che la ginnastica e la musica sono le due discipline. fondamentali per essere buoni cittadini e in questo luogo si praticano entrambe. Mi sento di ritrovare una casa con molte colonne contro le quali sbattere la testa.

La sua scrittura ha sempre avuto una forza letteraria molto marcata. Le parole sembrano non solo accompagnare la musica, ma a volte addirittura precederla, guidarla. Come si intrecciano nel suo processo creativo la musica e la scrittura?

La musica serve a dare una struttura alle parole. A volte si dice che la canzone somiglia alla poesia, ed è vero, ma ha delle necessità diverse, che sono legate alla musica: le parole devono stare su una melodia, devono piegarsi al ritmo, al tempo musicale. La musica è un po’ come un recipiente dentro cui si cerca di raccogliere la grande marmaglia che è l’anima. Di parole ce ne sono infinite, mentre di note ce ne sono solo sette: allora è la musica che mette un argine, una forma, e in quella forma le parole devono trovare il loro posto.

Nei suoi lavori si avverte spesso il desiderio di rifugiarsi in epoche passate, miti e storie antiche. Ma oggi viviamo in tempi frenetici, pieni di urgenze e crisi. Come vive questa tensione tra il bisogno di radicarsi altrove e la necessità di parlare al presente?

Il mito è qualcosa che ci colloca in una dimensione più ampia e universale. Si può essere partecipi del proprio presente e, allo stesso tempo, usare delle allegorie per dargli un respiro più ampio. Perché, anche se la realtà a volte è terribile, piena di stimoli continui, ricorrere alla letteratura o al mito può diventare un modo per limitare queste sollecitazioni: una pausa, per quanto breve, in un tempo dove tutto è istantaneo, soprattutto nei social. Secondo me, è più interessante trasporre le cose in un’altra dimensione — più duratura — senza però sottrarsi all’attualità.

Nella sua musica si viaggia molto per luoghi, epoche e culture, dalla Grecia antica ai porti del Mediterraneo, dal folclore dell’entroterra al ballo di frontiera. C’è un luogo reale o simbolico che oggi sente particolarmente vicino, che la ispira o che rappresenta per lei un punto di ritorno o partenza?

Indicarne uno sarebbe far torto a molti altri. La musica, secondo me, è spesso legata ai luoghi, e proprio per questo è un buon modo di viaggiare: si possono scrivere canzoni portandosi dietro dei paesaggi. Io ne ho diversi a me cari, alcuni già citati nella domanda. Sono appena tornato, ad esempio, da Buenos Aires, un luogo che amo molto, dove c’è un altro tipo di musica, un altro respiro. Col passare degli anni i luoghi restano più o meno gli stessi, ma ognuno lascia un segno, come un cane che ha nascosto l’osso in diversi punti. I miei luoghi sono questi: le città urbane, la Grecia del Rebetiko, l’entroterra. Insomma, tutte dimensioni che evocano una loro musica. Dedicarsi a una sola di esse sarebbe come privarsi di qualcosa.