Intervista: a tu per tu con ELVIRA CAOBELLI

«Grazie ai Beatles ho riconosciuto il valore della musica»: Elvira Caobelli e il suo amore per il canto

Spesso una semplice canzone può racchiudere l’intera vita di una persona. Quella canzone per Elvira Caobelli è Helter Skelter dei Beatles, un brano che riprende una popolare espressione inglese che indica caos e confusione ma che ha avuto ben altro effetto su di lei. Come ci racconta, infatti, l’ha indirizzata e convinta a seguire la strada che non ha più lasciato: quella del canto, protagonista di questa intervista.

Hai dedicato gran parte della tua vita alla musica, anche come insegnante. Quando hai effettivamente capito che quella del canto sarebbe stata la tua strada?

Mi fa sempre sorridere pensare al momento esatto in cui ho capito che volevo fare della musica il mio lavoro, perché lo ricordo con assoluta chiarezza. Una sera, durante la fine della quarta liceo, mi sono imbattuta in una canzone dei Beatles che non avevo mai ascoltato, Helter Skelter. Sono rimasta folgorata, non avevo mai sentito qualcosa di così intenso e ho subito pensato: “Voglio che la mia vita sia esattamente così: intensa”. Era già da alcuni anni che cantavo e studiavo canto, ma i Beatles mi hanno insegnato per la prima volta a riconoscere il valore della musica e di una vita dedicata ad essa.

Gli esami, lo sappiamo, non finiscono mai. Quando sei di fronte ai tuoi studenti ti senti in qualche maniera giudicata? C’è qualcosa che sono loro ad insegnare a te?

Non mi sento giudicata da loro, mi sento giudicata da me stessa: continuo ad osservarmi per capire se sto davvero facendo tutto il possibile per aiutarli. Loro mi danno grandi soddisfazioni, quindi anche se so che posso (e voglio) migliorare sempre di più, sono sulla giusta strada. L’insegnamento del canto non riguarda solo la tecnica vocale, riguarda tantissimi aspetti che spesso prendono in causa la nostra intimità. È un lavoro delicato, che necessita di sensibilità e rispetto. Loro mi insegnano tantissimo, ogni giorno. Mi ricordano quanto lavoro è necessario per raggiungere un obiettivo; mi regalano le loro emozioni; mi fanno rivivere momenti passati che ora posso guardare con leggerezza; mi danno la possibilità di ridere assieme a loro delle nostre debolezze, senza sentirci colpevoli, ma vivi.

Restiamo in ambito di giudizi: com’è stato sottoporsi a quello della giuria di Musicultura?

Molto bello. Sentirmi ascoltata con così tanta attenzione mi ha riempita di gioia. Cerco di essere il più generosa possibile quando mi esibisco, e sentire che loro hanno accolto tutto quello che ho offerto è stato un dono. In aggiunta, poter suonare live in un momento come questo mi ha fatto sentire grata e fortunata.

Prima di cominciare a esibirti come solista hai fatto parte di diverse formazioni musicali. Cosa cambia tra l’esibirsi assieme ad una band e l’esibirsi da sola?

Ci sono tante cose che cambiano, credo. Faccio fatica a rendermele chiare a livello razionale, ma penso ce ne sia una che per me è determinante: il senso di responsabilità. In gruppo, così come sul palco anche nella sala prove o in studio, ci si sente di potersi appoggiare agli altri nei momenti del bisogno. Ora, invece, sento che la responsabilità ce l’ho solo io e, dico la verità, non mi dispiace nemmeno così tanto.

Alle tue spalle c’è un’esperienza artistica che vanta la pubblicazione di tre brani in inglese. Cantare in una lingua diversa dalla propria consente anche di vivere la propria musica in maniera più diversa?

Dico la verità, avevo iniziato a scrivere in inglese per il semplice motivo che la musica che ascolto maggiormente è in lingua inglese, quindi non pensavo minimamente di poter scrivere in italiano. Quando, però, ho incontrato Veronica Marchi, con cui ho scritto il mio album, ho capito che il mio desiderio di scrivere testi diretti e senza peli sulla lingua sarebbe stato esaudito maggiormente nella mia lingua. Quindi abbiamo deciso di scrivere canzoni in italiano che però mantenessero la musicalità a cui sono più vicina. La differenza tra le due lingue, per me, sta nella schiettezza. Non è che i testi in inglese manchino di sincerità, ma cantare le cose nella mia lingua mi fa sentire più immediata e trasparente. Cantarli in inglese mi fa sentire più al sicuro, ma è decisamente meno divertente.


Alessandro Vallese