Intervista: a tu per tu con FABIO CURTO

Con Domenica, Fabio Curto presenta il suo folk d’autore al pubblico di Musicultura 2020

Nasce in Calabria, vive a Bologna, ma tanti dei suoi maestri spirituali sono d’oltreoceano; Fabio Curto, compositore e polistrumentista, ha girato il mondo chitarra in spalla come artista di strada, prima di approdare a The Voice nel 2015. Anche nei suoi album in studio, specie nell’ultimo uscito per la Fonoprint, Rive, volume 1, non ha mai abbandonato quell’anima folk tanto autentica quanto visionaria. In attesa del volume 2, Fabio racconta alcuni dei suoi sogni alla redazione di Sciuscià.

Nel paese dell’entroterra calabro in cui sei nato ti chiamano «l’Ulisse di Acri», ma la tua musica ha di certo un afflato più internazionale, vicino a sonorità blues e folk angloamericane. Da cosa è dettata la necessità di scrivere spesso anche in inglese, o di mixare le due lingue come in Domenica, brano selezionato dalla giuria di Musicultura?

Vero, mi chiamano così forse per via del mio aspetto fortemente mediterraneo (ride, ndr). Sin da bambino ho ascoltato e assorbito molta musica internazionale, in particolare nell’ambito del folk e del rock; erano sonorità che mi facevano andare lontano con la mente e quando ho iniziato a comporre inevitabilmente sono riemerse tutte. Ho scritto molti brani in inglese, anche grazie al prezioso aiuto dell’autrice canadese Andrea Smith, che mi ha seguito scrupolosamente. A dirla tutta, per anni ho preferito il suono della mia voce in inglese; poi mi sono lanciato in una nuova sfida ed ho provato a riportare, soprattutto vocalmente, le stesse sonorità in italiano, con non poca difficoltà. Lo stesso brano Domenica è nato dapprima in inglese, difatti ho voluto conservare la chiusura della strofa così come era in origine.

La tua formazione è quella da artista di strada, esperienza che hai descritto come “cosa onesta e libera”. Come hai sfruttato questa sperimentazione da busker per la produzione degli album in studio?

La mia formazione è stata lunga, passando dal piano classico a diverse band dei generi più vari perché ho vissuto sempre la mia curiosità compositiva come una caratteristica feconda, sebbene in alcuni casi mi si facesse notare che spaziavo un po’ troppo. Non ho però mai capito fino in fondo cosa significasse questo “troppo”: forse mancanza di una linea coerente e riconoscibile? Probabile, ma l’esperienza come artista di strada mi ha confermato che al di là del brand c’è una “verità” che dovrebbe trasudare da ogni artista, la freccia che ha più chance di colpire il cuore delle persone. Se la mia verità è questa, non posso far altro che accettarla con spirito positivo. In studio sono molto rigoroso ma preferisco delle take più autentiche a quelle perfette stilisticamente; per fortuna ho il pieno sostegno del mio coproduttore Enrico Capalbo e della mia etichetta discografica attuale, la Fonoprint.

Le più recenti tournée ti hanno portato molto lontano dall’Italia, suonando in giro per l’Australia o la Russia: come ha recepito la tua musica il pubblico straniero?

Sono rimasto a dir poco felice delle mie ultime esperienze all’estero:uscire fuori dalla propria confort zone è sempre come ricominciare da zero. Devo dire che mescolando i miei brani inediti a qualche cover italiana più conosciuta all’estero il risultato è stato davvero soddisfacente; credo sia necessario dare a chi non ti ha mai ascoltato prima un riferimento per valutare le tue capacità.

Nel 2015 hai vinto l’edizione italiana di The Voice con una cover dell’Hallelujah di Cohen, e non poteva andare molto diversamente vista la tua vocalità tanto potente e impeccabile. Cosa ti ha lasciato un’esperienza televisiva di così grande impatto mediatico, e come sei cresciuto artisticamente da quel momento?

The Voice mi ha lasciato tanti bei ricordi, mi ha messo alla prova con le dirette nazionali e con i tempi televisivi; mi ha regalato insomma una sorta di masterclass accelerata in show business e in politiche discografiche. A dirla tutta, mi ha portato anche tanta confusione, tanto smarrimento per il dopo e la necessità costante di fronteggiare le porte che si chiudevano man mano che quella visibilità perdeva di costanza. Spesso ho avuto paura di non rialzarmi, o addirittura di perdere il piacere di fare musica. Fortunatamente, lo sconforto dura sempre poco in me e finisce per cedere il passo alla reazione. Per questa ragione ho continuato a fare ciò che avevo iniziatocon dignità e umiltà, senza curarmi troppo di far contento qualcuno con le mie canzoni prima di aver fatto felice me stesso.

Come ti aspetti invece da un Festival di musica popolare e d’autore come quello di Musicultura? E quali sono i tuoi progetti futuri?

Come dicevo, la musica che propongo è una musica d’autore molto più influenzata dal folk che dal pop, una musica che non pretende il mainstream ma un pubblico più onesto. Con Musicultura mi sto rimettendo in gioco, come volevo fare da tempo, e soprattutto lo sto facendo con un brano che mi rappresenta in toto. Perciò, aldilà del risultato finale, sento di aver già fatto la cosa giusta in questo momento della mia vita; sono grato e onorato di essere giunto tra i 16 finalisti. Nei progetti futuri c’è sicuramente quello di produrre un album dal sapore più acustico, sulla falsa riga di Domenica, e tanta voglia di coltivare con dedizione ciò che fino ad ora ho avuto la fortuna di seminare all’estero.


Loretta Paternesi Meloni