Intervista: a tu per tu con FRANCESCA ROMANA PERROTTA

«La musica spesso mi dà modo di esprimere il mio impegno sociale»: Francesca Romana Perrotta si racconta alla redazione di “Sciuscià”

Sin da giovanissima alla ricerca delle migliori parole da mettere in musica, Francesca Romana Perrotta rappresenta la figura della cantautrice italiana nella sua più autentica essenza. Fra i tanti e prestigiosi premi vinti vanta anche tre successi sul palco di Musicultura – nel 2007, nel 2010 e nel 2016 – che torna a calcare quest’anno ritagliandosi ancora una volta un posto fra i 16 finalisti.

Hai una lunga carriera alle spalle e hai collezionato partecipazioni e vittorie in prestigiosi concorsi; il palco ormai è il tuo habitat naturale. Nell’ultimo anno, però, fatta eccezione della breve parentesi estiva, calcarlo è stato praticamente impossibile. Come hai combattuto la mancanza dei live?

Il palco è il mio ossigeno. La scorsa estate in effetti ho avuto la grande fortuna di poter suonare all’aperto, anche in bellissimi contesti, e poi a settembre qualche concerto al ritorno in città. Poi è arrivato il silenzio: lunghi mesi “come color che son sospesi”. Ma non ho sofferto troppo, poiché ero impegnata ad andare in studio di registrazione per preparare i provini dei nuovi brani. Ciò che è stato difficile, in realtà, è stata la scrittura… la vita è ferma e con lei si son fermati anche i pensieri. Creare è diventato più difficile.

Hai avuto la possibilità di duettare con Cristiano De André nella tournée “De André canta De André”. Cos’è stata per te quell’esperienza?

È stata un “salto professionale”.  La preparazione prima di un grande palco, con prove e sound check in cui senti già la tensione e la pressione addosso da giorni prima, la necessita di imparare a gestirle… e poi affrontare un pubblico di migliaia di persone! Ho scoperto che più gente c’è, più riesco a dare! Cristiano mi ha insegnato che il cantante deve potersi sentire a proprio agio e quindi è giusto che nei sound check pretenda di avere un supporto tecnico adeguato. È stato bello, lo rifarei domani.

Dopo un nome come quello di De André, una domanda sul cantautorato è quasi d’obbligo: come credi si sia evoluta nel tempo la figura del cantautore in Italia?

La figura del cantautore è decisamente cambiata, insieme al suo ruolo. Un tempo aveva una valenza/risonanza socio-politica molto importante.  Ed era al primo posto nella musica italiana e non solo (pensiamo a Bob Dylan, ad esempio). Il pubblico ascoltava i testi, che spesso divenivano ispirazione esistenziale, spunto di riflessione o incitamento politico. Oggi la canzone d’autore non è più così rilevante dal punto di vista politico e culturale. È un tipo di musica che non è più necessaria, quindi cerca un equilibrio tra ciò che vorrebbe ancora essere e ciò che può essere. Ma è un equilibrio difficile. Se pensiamo al rap (quello vero e ben fatto), possiamo sicuramente dire che anch’esso è una forma di cantautorato ed è uno specchio sociale abbastanza importante poiché riflette i disagi di alcuni contesti sociali. Il problema è che anche questo genere si limita a condannare la nostra realtà e non funge da guida o da ispirazione per i giovani.

La musica, per te, è decisamente femmina: il tuo sguardo è spesso rivolto al mondo femminile. È una scelta che dipende dalla maggiore facilità di immedesimazione è c’è dell’altro dietro?

C’è altro. Sono cresciuta in un contesto socio-culturale rivoluzionario, con una mamma femminista e con ideali progressisti riguardo al ruolo della donna. Sento un forte bisogno di lottare per la parità di diritti e per difendere le preziose differenze tra uomo e donna. La musica spesso mi dà modo di esprimere più facilmente questo mio impegno sociale. Altre volte, lascio che le mie canzoni siano libere di spaziare da un argomento all’altro, senza necessariamente incastrarsi in uno scopo prestabilito.

Hai già partecipato a Musicultura diverse volte in passato: c’è un consiglio che ti senti di dare ai tuoi colleghi alla prima esperienza qui al Festival?

In verità, tutte le volte che salgo sul palco di questo festival, sento sempre una fortissima emozione, soprattutto questa volta, durante le audizioni! Un suggerimento però che mi sento di dare è di essere se stessi, di non credere che creare un personaggio, fare scena a tutti costi, significhi arrivare a colpire il pubblico. Ciò che colpisce il pubblico è l’autenticità.


Alessandro Vallese