Intervista: a tu per tu con SUDESTRADA

Sudestrada, il viaggio musicale della band fa tappa sul palco di Musicultura: c’è un “Bazar” sul palco del Festival

Sudestrada è un progetto indipendente che racchiude già nel proprio nome una vera e propria dichiarazione d’intenti: intraprendere un viaggio estetico e romantico verso un sud molteplice.
Costante dei brani proposti dal gruppo è la ricerca della propria identità che muove verso una destinazione ben precisa: la lettura del proprio sé nella complessità del mondo contemporaneo, nella lotta quotidiana tra precarietà e desiderio di una fuga esotica. Musicultura è una delle tappe del percorso della band, che si racconta così alla redazione del Festival. 

Sudestrada: il vostro nome suona come una meta da raggiungere. Vi va di raccontarci della sua genesi? 

La genesi del nome risale all’estate del 2015, quando un mio caro amico mi introdusse alla discografia di Gustavo Cerati, geniale ed indimenticabile artista argentino. In uno dei suoi album c’era un pezzo dal titolo Sudestada, (senza r), termine che significa “mareggiata”. Il suono di questa parola, unito al suo significato, mi aveva dato lo spunto – qualche mese più tardi – per il progetto musicale che stava per nascere. La scelta di aggiungere la “r” portò alla formazione dell’insieme delle parole “sud” e “strada”: un viaggio esotico ed estetico verso Sud, con la presenza costante del mare dall’altra parte della carreggiata. Qualcosa che, in un certo senso, ancora oggi racchiude piuttosto bene la nostra cifra stilistica. 

Passiamo ai vostri brani. Mektoub è un pezzo “spaziale”, all’interno del quale similitudini, viaggi mentali e riferimenti storici non mancano. Come nasce l’ispirazione per la creazione di questa canzone? 

Tutto nacque da un’intuizione di Francesco e da un giro di chitarra che fin dal primo ascolto mi fece impazzire. Mi piaceva talmente tanto che a un certo punto pensai perfino: “Lasciamolo così, come brano strumentale, non aggiungiamo altro”, anche perché ogni tentativo di aggiungervi una parte vocale non risultava molto efficace. Qualcosa però mancava e allora provammo a pensare ad una voce parlata, quasi sussurrata: era quella la chiave. Per quanto riguarda il testo, invece, non è stato scritto di getto, ma è stato frutto di una serie di riflessioni. La chiave in questo caso è stata introdurre l’ineffabilità all’interno del discorso: il protagonista, in preda all’estasi, non sapendo più trovare le parole, paragona la smisurata bellezza del corpo della sua amante ad alcuni dei grandi eventi della Storia. Ed è proprio questo il senso di Mektoub. Il corpo non è più solo un corpo, ma diventa spazio critico emergente, luogo della memoria storica dove i dettagli immaginati del passato sono riproposti nell’intensità del presente. 

Bazar, invece, è il brano, tra i due proposti a Musicultura, che vi ha portati a essere tra i 16 finalisti del Festival. Siete contenti che la scelta della giuria sia caduta proprio su questo pezzo? 

Moltissimo. Riteniamo Bazar uno dei nostri prodotti migliori. È un pezzo che ci rappresenta molto e a cui siamo particolarmente legati: diciamo che contiene buona parte del messaggio che vorremmo trasmettere attraverso la nostra musica. È stata una scelta azzeccatissima, a nostro avviso, da molti punti di vista. 

La vostra musica si compone spesso di riferimenti artistico-letterari e di richiami a luoghi esotici. Quanto c’è di biografico e di già visto nei vostri brani e quanto, invece, dei libri o degli autori che amate e dei posti che ancora non avete raggiunto? 

Le nostre canzoni nascono spesso da una particolare combinazione di esperienze vissute ed esperienze immaginate. Ad esempio, Bazar nasce dopo un viaggio in Iran, perciò in quel caso il viaggio era vero, ma ciò che viene descritto nel brano è, in parte, frutto dell’immaginazione. Un viaggio serve soprattutto per “assorbire” certi paesaggi, certi suoni, certi odori. Non si scrive quasi mai sul posto, al massimo si vaneggia. La stessa cosa capita anche con i libri. Tocca all’artista, in un secondo momento, saper gestire questo sovraccarico informativo e dargli una direzione. Noi non cerchiamo di dare spiegazioni attraverso i nostri brani, preferiamo fornire immagini. Tutti i riferimenti contenuti all’interno delle nostre canzoni hanno un significato profondo, ma è compito dell’ascoltatore comporre il “puzzle”. Quello che davvero vorremmo dire all’ascoltatore è: “Smarrisciti, ma prova a tracciare nuove traiettorie”. 

Il sud e la strada: cosa c’è ad attendervi lì nel prossimo futuro? A quali progetti andrete incontro? 

Sicuramente al nostro nuovo album, Radio Laleh, che uscirà in autunno. Il primo singolo è uscito il mese scorso ed anticipa tutta una serie di brani che pubblicheremo prossimamente seguendo l’ordine cronologico della narrazione. Ogni brano, infatti, corrisponde ad un “capitolo”. Si tratta di un album sperimentale per noi, non solo da un punto di vista musicale e lessicale, ma anche a livello di concept. È un album molto meno pop dei precedenti, dove palpitazioni dub, ritmi trip-hop e vibrazioni esotiche scandiscono l’intera vicenda, continuamente sospesa tra realtà e sogno. È una sfida anche verso noi stessi, ma avevamo molta voglia di sperimentare e di metterci in gioco. Ci auguriamo che possa essere un mondo interessante per chi vi si vorrà immergere. Quello che noi speriamo, al momento, è di portarlo in giro al più presto, suonandolo dal vivo. Solo così, attraverso le interazioni reali delle persone, potremo renderci conto davvero di ciò che abbiamo fatto.


Maria Michela Perna