Intervista: a tu per tu con Valerio Lysander

Intervista a Valerio Lysander: “Musicultura è stata la spinta di cui avevo bisogno per essere convinto della scelta di tornare in Italia”

Originario della provincia romana, Valerio Lysander compone la sua musica attingendo da sonorità chamber pop e folk anglofono. Vive per diverso tempo a Londra, città in cui dà alla luce tre album; nel 2016 guadagna un posto tra i candidati per il miglior artista maschile ai Best of British Unsigned Awards, mentre l’anno successivo rientra nella rosa dei finalisti del Coffee Music Project e del Pride’s Got Talent. Nel 2018 pubblica l’album “We are like colored moths towards the sunlight”, da cui saranno estratti brani trasmessi su BBC Radio. Nel 2019 esce il suo EP “When the clouds will gather I will drink the rain”. Rientrato in Italia, è semifinalista del Premio Lunezia e finalista del Roma Music Festival. Ora, il suo nome fa capolino tra quelli dei 18 finalisti di Musicultura. E proprio alla redazione del Festival Valerio si racconta con questa intervista. 

La tua musica si presenta come intima, malinconica e sincera. Sono tre aggettivi che le si addicono? Se sì, quale dei tre ha più valore nel tuo processo di scrittura?

Sicuramente sono tre aggettivi che possono descriverla, anche se in generale non mi sento di parlare troppo di malinconia. Ci sono dei toni malinconici in alcune canzoni ma credo più di introspezione, di un senso di leggera oscurità, non necessariamente negativa, portato dalla riflessione sulla condizione umana, sui limiti e le possibilità di cambiamento. Quindi questa tristezza percepita a volte nei toni della musica fa da sfondo a delle immagini e delle parole che non vogliono rimanere in una tristezza fine a se stessa, ma vogliono essere riflessive e di incoraggiamento. Invece mi ritrovo molto con l’intimità e la sincerità, che per me sono dei valori fondamentali come persona e artista, e che si uniscono in quello che è un mio valore fondamentale: l’autenticità. È con questo spirito che vivo e scrivo, cercando di mettere quello che sono (nel bene e nel male) nelle mie parole, nelle azioni e ovviamente nelle canzoni. In questo modo posso mettermi davvero in gioco, le persone possono conoscermi, e posso entrare in un contatto reale con chi mi sta intorno, dandomi anche l’opportunità di capire come posso essere una persona migliore per me e per gli altri. Nella mia scrittura la cosa si traduce in canzoni che parlano dei processi della natura umana da un punto di vista più autentico possibile, e mi piace pensare che sia anche questo che fa connettere le persone alla mia musica.

Hai avuto la possibilità di spostarti ed entrare in contatto con diverse realtà, musicali e non solo, al di fuori del nostro paese. Sono esperienze che aiutano ad arricchire il pensiero e la conoscenza, ma anche la consapevolezza dell’essere umano e dei luoghi che abita. C’è un brano nel tuo repertorio che probabilmente non avresti scritto se fossi rimasto solo nella provincia romana? 

Una delle canzoni più direttamente influenzate dalla vita in una grande città è Little People, scritta a Londra, che parla di come una vita frenetica in una metropoli, fatta di corse quotidiane contro il tempo per arrivare al “successo”, possa portare a dimenticarsi di chi siamo e di quello che è realmente importante. È una critica al capitalismo estremo, che talvolta ci fa dimenticare anche come si sogna e si respira e ci fa pensare un po’ troppo al nostro ego e meno alla comunità e al nostro benessere. Ma a parte questa che è direttamente ispirata dalla città, tutte le canzoni che ho scritto dopo la mia partenza dall’Italia hanno in qualche modo subito un’influenza dal fatto che le mie esperienze all’estero mi hanno formato e cambiato. Libero dai confini che avevo in Italia, a Londra ho ricominciato a costruire la mia identità. Vivere all’estero e a Londra in particolare mi ha esposto a molte culture e modi di pensare, che confluiscono lì in modo più rapido e variegato. Questa varietà culturale e socio-politica, che in Italia sembra ancora minoritaria e che lentamente si sta facendo spazio (parlo delle questioni di genere, sessualità, origini, ma anche più semplicemente della possibilità di essere “diversi” senza essere additati), mi ha permesso di vivere il mondo essendo me stesso, senza temere il giudizio altrui, scegliendo la vita che voglio e trovando intorno a me delle persone che erano in armonia con quello che sono. Questo si è riflettuto in molte delle mie canzoni più introspettive e vulnerabili come Fools e Cotton, in cui mi metto più a nudo e mi permetto di esprimere i miei sentimenti più intimi. 

Ho letto che, per te, la felicità è una condizione possibile da raggiungere solo dopo un lungo percorso e un lungo lavoro di vita. Di questi tempi sembra sia più facile essere infelici che felici; sembra sia all’ordine del giorno non sentirsi appagati o capaci di apportare delle vere modifiche alla realtà che ci circonda. Quale pensi sia il ruolo della musica in questa situazione emotiva/sociale, e come aiuta te quando percepisci queste incertezze?

In realtà credo che la felicità si possa trovare anche qui e adesso, ma che bisogna imparare a essere consapevoli dei nostri blocchi e dei nostri copioni. E penso anche che la vera felicità includa tutti gli stati d’animo, sia quelli piacevoli che quelli spiacevoli, ma con la consapevolezza che niente è permanente. Ci vuole tristezza per capire cosa non vogliamo, ci vuole rabbia per trovare la forza di reagire, e ovviamente ci vogliono gioia e piacere per godere della vita. Penso che la musica, come la letteratura, il cinema e l’arte in generale, abbia la possibilità di comunicare con quelle parti di noi che sono inconsce, nascoste sotto gli strati di traumi e strutture difensive che abbiamo accumulato nella nostra vita. Andando a toccare il profondo, essa può sciogliere alcuni di quei nodi e comunicare con la nostra parte più intima. Quando una canzone parla a questa parte di noi, ci può far sentire meno soli, o ci può spingere a uscire dai nostri stati più bui, o amplificare le nostre gioie, grazie a questa forza che prescinde dalla razionalità.

Musicultura è una grande occasione live dopo anni di reclusione e pandemia. Cosa ti aspetti da un’esperienza simile e in che modo pensi possa essere importante per arricchire il tuo già variegato percorso musicale? 

Partecipare a Musicultura e arrivare nella rosa dei finalisti è stato molto importante per me, specialmente in questo momento. Sono tornato in Italia lo scorso anno dopo 8 anni a Londra, in piena pandemia, ed è stato molto difficile capire come e dove inserirmi nel panorama musicale italiano. Ora con la riapertura sta andando meglio e comincio a vedere un po’ più di luce, ma il grande traguardo che rappresenta Musicultura per me in questo momento mi sta dando molta forza per credere in me stesso e nella mia musica. È stata la spinta in più di cui avevo bisogno per essere convinto della scelta di tornare in Italia e per cominciare a mettere qualche radice anche qui. Inoltre è stato molto bello vedere, da artista, l’attenzione che l’organizzazione del Festival ha verso la qualità dell’intera manifestazione e nell’accoglienza degli artisti. C’è una grande cura nel trattare la musica come si deve, ed è molto bello sapere che si da ancora questo grande valore all’arte e a chi la produce. 

Il canto non può essere completo senza accompagnamento e senza l’atmosfera che si crea proprio grazie ai suoni degli strumenti musicali, pianoforte e chitarra nel tuo caso. Oltre a questi, qual è un suono che, dovunque tu sia e in qualunque momento del giorno, ti fermi ad ascoltare quando ti capita di incrociarlo?  

Che bella domanda! Da tempo pratico mindfulness, e questo mi ha dato l’opportunità di dare un po’ più di attenzione ai suoni che ho intorno e di coglierne la bellezza. Vivendo a Milano in questo momento, diciamo che i clacson sovrastano un po’ tutto il resto e devo dire che è abbastanza difficile trovare piacere in quelli, ma scherzi a parte, mi piace molto ascoltare i suoni delle meccaniche della mia bicicletta  quando pedalo, mi riporta a ricordi di bambino e di spensieratezza. E un’altra cosa in cui trovo molto piacere è il cercare il suono del silenzio intorno a tutti i rumori. 


Martina di Marco