Intervista: a tu per tu con Yosh Whale

“Salirei un’ultima volta da te, per bussare e spiegarti che non ho parole”: la poetica elettronica degli Yosh Whale sul palco di Musicultura

Yosh Whale è un progetto nato dall’idea di quattro artisti, amici prima che musicisti, che a gennaio del 2017 pubblicano il primo EP autoprodotto, “YAWN”.
Vincitori dell’edizione 2018 del Premio Buscaglione, oltre al titolo di Next Big Thing vincono un tour in vari festival italiani. Nel 2020 pubblicano i singoli “Nilo” e “Inutile”. L’anno dopo partecipano alla dodicesima edizione di “Music For Change”, che vale loro un tour nei club italiani del circuito KeepOn e un’esibizione a Casa Sanremo.
Yosh parla unicamente la lingua italiana che nei brani si veste di stati d’animo e mentali, di vite di periferia espresse in musica grazie a una fusione eterogenea di influenze; Yosh risponde così alle domande della nostra intervista. 

Musicultura: cos’è per voi quest’esperienza?

Musicultura per noi è sicuramente un’occasione importantissima per mettere alla prova la nostra musica in un contesto di altissimo livello, ma anche un’occasione per suonare, che purtroppo non è una cosa scontata ad oggi.

Nei vostri progetti c’è una totale sintonia o si possono trovare incongruenze tra gli stati d’animo provati durante la stesura del testo e quelli della composizione melodica?

Pensiamo che in principio per le sue dinamiche compositive il testo vada di pari passo con le linee melodiche. Cerchiamo sempre di costruire una parte lirica che sia adiacente alle strutture melodiche.

Il brano portato sul palco di Musicultura, “Inutile”, è interamente strutturato sui sintetizzatori, che vi permettono di ottenere suoni unici: li avete adottati durante il vostro percorso artistico o vi accompagnano dall’origine della vostra band?

Possiamo dire che in qualche modo i suoni dei sinth siano identitari del nostro progetto. Ci divertiamo molto a unire i suoni elettronici a quelli acustici o a cercare di utilizzare l’elettronica come fosse un suono acustico.

Cos’è stato per voi, artisticamente parlando, il contesto di periferia in cui siete cresciuti?

La periferia è il luogo da cui veniamo, per questo ha una fortissima influenza sui nostri testi, che spesso sono ambientati in contesti urbani dimenticati, atmosfere molto spesso silenziose, vuote, tra piccoli spazi di natura nascosti dietro palazzi ad alveare.

Come descrivereste le vostre sonorità, e le sensazioni che con esse volete trasmettere, a un non udente?

Sicuramente la descriveremmo con un aspetto visivo. La nostra musica è come un’immensa palla volante tra i palazzi di periferia, completamente ricoperta di aculei in gomma, che lentamente si appoggia ai balconi cambiando forma e colore a contatto con il mondo e la sua superficie. Una musica grande, cangiante, che sa essere ingombrante e allo stesso tempo adattarsi sempre a ogni contesto.


Michele Milozzi