Ci sono confini che non si vedono ma si sentono, e altri che si vedono e che, se attraversati con la musica, iniziano a trasformarsi. E di una piccola, grande trasformazione è protagonista il progetto La casa in riva al mare, che dall’autunno del 2023 porta nel carcere Barcaglione di Ancona, e anche fuori dalle sue celle, un dialogo fatto di canzoni, racconti, ascolto e consapevolezze. Proprio di questo si è parlato, ieri, nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata, dove alle 18.00, nell’ambito degli eventi in calendario per La Controra, si è tenuto l’incontro Per un carcere minimo. Protagonisti dell’appuntamento sono stati Silvia Cecchi, magistrato e scrittrice, l’avvocato Giancarlo Giulianelli, Garante regionale dei Diritti della Persona, e il Direttore artistico di Musicultura, Ezio Nannipieri. È stato quest’ultimo a prendere per primo la parola: «La casa in riva al mare nasce da un’intuizione dell’avvocato Giulianelli: fare entrare la musica in carcere e uscirne con qualcosa di più grande, portando una ventata di aria fresca dall’esterno verso l’interno. E viceversa. Perché volevamo che questo ponte non fosse a senso unico».
E così è stato. I detenuti sono diventati protagonisti del Festival, entrando a far parte di una speciale giuria che assegna uno dei riconoscimenti ai vincitori di Musicultura, partecipa alle premiazioni allo Sferisterio e assiste poi, all’interno del carcere, a un concerto di quegli stessi artisti.
Durante l’incontro, il pubblico ha potuto ascoltare anche alcune testimonianze di chi ha preso parte all’iniziativa. Helle, vincitrice del premio La casa in riva al mare 2024, ha ricordato l’intensità di quel concerto speciale: «Suonare in un carcere è stata un’esperienza profonda, perché il pubblico era affamato di musica». Anna Castiglia, vincitrice assoluta di Musicultura 2024, ha aggiunto: «Portare la musica dove di solito non c’è mi ha toccata molto».
Ma Per un carcere minimo non è stato solo un racconto emotivo. È stato anche un momento di pensiero critico riguardo a questa istituzione: «Il carcere – ha affermato Silvia Cecchi – è una pena totalitaria, perché comporta l’identificazione dell’individuo col fatto. Al suo interno si perdono la connessione con la realtà, il senso del tempo e dello spazio. Per di più, non ha mai abbassato il livello di recidivismo».
«La tesi che mi sembra più corretta – ha proseguito – è quella di un carcere residuale, un’estrema ratio. I casi in cui come magistrato ho chiesto il carcere perché ho captato la pericolosità del soggetto sono veramente pochi. Dobbiamo educare a intercettare le pericolosità. Si è detto che si esce dal carcere quando non si è più pericolosi, allora perché non utilizzare lo stesso principio al contrario, per entrare nel carcere? Il carcere non dovrebbe essere la risposta a ogni condanna”.
A far da eco Giancarlo Giulianelli, che ha ribadito l’importanza di un concetto spesso frainteso: «Parlare di carcere residuale non significa abolire il carcere. Significa restituirgli una funzione diversa, umana, coerente con i principi costituzionali. Musicultura ci aiuta a rendere quel carcere un carcere minimo, così come lo fanno gli altri corsi e le altre attività che organizziamo. Quest’anno, per esempio, tredici detenuti sono usciti in stage, e sei di loro sono stati poi inseriti in percorsi lavorativi. Trovare tredici luoghi di lavoro disposti ad accoglierli è stata la parte più difficile. Ma oggi possiamo dire che il tutto ha funzionato”.
A chiudere l’incontro sono state le voci dei detenuti coinvolti nell’edizione 2025 del progetto. In un video proiettato durante l’evento, hanno raccontato pensieri, impressioni, emozioni nate dall’ascolto delle canzoni in gara: “Quando ci venite a trovare – ha detto uno dei partecipanti al laboratorio musicale – ci date una finestra in più”. La finestra de La casa in riva al mare.