“Un’onda sonora che è nata sin dal primo giorno”: Niccolò Fabi ospite a La Controra 2025

L’artista romano incontra il pubblico per presentare il suo nuovo album, “Libertà negli Occhi”

C’è un modo di fare musica che non insegue il tempo, ma lo ascolta. Niccolò Fabi da quasi trent’anni attraversa la scena cantautorale italiana con la discrezione di chi preferisce scavare piuttosto che esporsi, e con la coerenza di chi ha fatto della parola – prima ancora che della voce – un gesto dell’anima. “La canzone è un piccolo orologetto, che sembra semplice, ma è tutto un gioco di ingranaggi”, racconta al pubblico di Palazzo Buonaccorsi. E in quei meccanismi nascosti si annidano i suoi racconti: oltre 90 brani, nove dischi, collaborazioni, premi e progetti che lo hanno reso uno degli autori più profondi e riconoscibili del nostro panorama musicale.

Nel suo nuovo lavoro, Libertà negli occhi, Fabi rinnova il proprio sguardo: un disco nato da un’esperienza immersiva tra le montagne, lontano da tutto, condivisa con altri artisti e amici (Roberto Angelini, Alberto Bianco, Filippo Cornaglia, Cesare Augusto Giorgini ed Emma Nolde): “Un’onda sonora che è nata sin dal primo giorno”.

Un “esercizio di libertà” in cui l’introspezione si fa collettiva, e dove “la voce umana”, unica e irripetibile, si mette al servizio di una musica che si apre, respira, accoglie. “Il punto non è di cosa parlano le canzoni, ma come raccontano le emozioni che il cantante prova”, dice. E in questo album le emozioni prendono forma in un equilibrio cercato tra scrittura profonda e arrangiamenti generosi, tra le parole che accendono un senso e la musica che lo lascia fluire.

A La Controra, tra riflessioni sulla creazione, sulla libertà artistica e sull’importanza dei luoghi e dei rituali dell’ascolto, Niccolò Fabi ci accompagna dentro la genesi del suo nuovo viaggio sonoro, di cui parla anche in questa intervista.

Dopo nove album in studio e numerosi progetti collaterali, come riesce ancora a trovare ispirazione per scrivere nuova musica? Cosa sente di voler raccontare oggi, a quasi trent’anni dall’inizio del suo percorso?

Ho collaborato con diversi progetti musicali, quali Discoverland e il disco con Gazzè e Silvestri. Questo mi ha portato, lungo la mia carriera, a guardare altrove, a ricaricarmi di energie e uscire un po’ dall’ossessione di sé che il cantautore ogni tanto ha. Banalmente, poi, la vita ti offre motivi di ispirazione non a comando. Se sei bravo a cogliere quei momenti un po’ magici riesci a trasmetterli su canzone. Indubbiamente andando avanti con gli anni è sempre più difficile perché tante cose sono state già scritte. Il rischio di ripetersi per tutti i cantautori è quasi inevitabile.

Libertà negli occhi è nato da un’esperienza immersiva, quasi isolata, in uno chalet nei boschi insieme ad altri artisti. Sentiva il bisogno di rifugiarsi nella musica per creare qualcosa di nuovo in questa dimensione collettiva?

Quando la scrittura è molto personale e intima, ho sempre pensato che fosse importante farla risuonare con le sensibilità altrui, per non diventare autoriferita. È stato anche un modo per stimolare l’aspetto un po’ più giocoso che emerge quando più musicisti sono insieme in una stessa stanza e si mettono a suonare. Questo alza il livello di energia e divertimento e, se si riesce a trovare l’equilibrio giusto insieme ad un’intensità nei testi, il risultato può essere positivo.

In questo ultimo album, più che nei precedenti, si percepisce un forte contrasto tra una scrittura intima e profonda e arrangiamenti ricchi, aperti alla sperimentazione. È stato un equilibrio cercato o nato in modo naturale?

È stato cercato. Venivo da un disco, Una somma di piccole cose, prodotto totalmente in solitudine. È un tipo di esperimento che ogni cantautore desidera fare. È sempre un disco speciale quello chitarra e voce, da Bruce Springsteen con Nebraska a Bon Iver con For Emma, Forever Ago. In questo caso invece, avendolo già fatto, mi sembrava rischioso ripetere l’esperienza. Volevo rimanesse una cosa unica. E quindi ho arricchito le canzoni con l’interazione con degli amici musicisti che hanno degli stili e delle sensibilità simili alle mie.

Una curiosità sulla modalità di uscita dell’album: prima il formato fisico, il 16 maggio, e poi lo streaming, il 13 giugno. Da cosa nasce questa scelta controcorrente rispetto alle logiche del mercato digitale?

La voglia era quella di provare a fornire ai miei appassionati l’idea di fruire un disco in una maniera speciale. Cercando di seguire una ritualità, che è quella di recarsi in un posto, in contrasto con la facilità con cui dallo stesso device con cui mandiamo le mail e i messaggi premiamo play, mettiamo una canzone e la togliamo in un secondo. È un po’ come si fa nel cinema, quando per i primi mesi il film è nelle sale per gli amanti di quell’esperienza e poi esce sulle piattaforme. E cosi andare al negozio, prendere un disco, scartarlo, metterlo sul piatto e ascoltarlo. Dopodiché, siamo nel 2025, sarebbe stato anacronistico e snobistico tenerlo solo in formato fisico.

Nel panorama odierno del cantautorato italiano, quale pensa sia il potere di un festival come Musicultura nel riscoprire, valorizzare e dare nuova linfa a questa forma d’arte che, pur radicata nella tradizione, continua a reinventarsi?

Il cantautorato fa fatica in questo momento storico a trovare un suo spazio. Anche perché il linguaggio principale, soprattutto dei ragazzi è un altro, ed è anche giusto che sia così. Però, lavorando all’ Officina Pasolini, mi rendo conto che ci sono ancora molti artisti che hanno un approccio alla canzone cantautorale. E allora per loro Musicultura rappresenta uno stimolo, non fa sentire inutile ogni loro tentativo, quando spesso il mercato li demoralizza. Gli artisti hanno bisogno di stimoli, hanno bisogno di vedere la luce in fondo al tunnel, un palcoscenico dove ancora sono accettati senza doversi camuffare. Ed ecco che forse Musicultura è l’unica oasi riconosciuta dove questi ragazzi possono provare a indirizzare i loro sforzi.  È importante, quando porti avanti un progetto, pensare che comunque puoi aspirare a un palcoscenico. Non uno spazio in senso elitario, ma una ragione per provarci.