La XXXVI edizione di Musicultura è giunta alla sua fase finale e ieri sera ha preso il via la prima delle due serate conclusive all’interno dello Sferisterio di Macerata. La conduzione dell’evento è stata affidata a una coppia inedita ma ben equilibrata: Carolina Di Domenico, già presente nelle due precedenti edizioni, e Fabrizio Biggio, al suo debutto come conduttore sul palco del Festival. Insieme, hanno guidato con ironia e leggerezza una serata intensa, piena di musica, emozioni e storie da raccontare.
Ad aprire le performance è stato Ibisco con Languore, un brano dalle tinte scure e intimiste. Il giovane cantautore – che si è poi aggiudicato il Premio Grotte di Frasassi e quindi l’opportunità di esibirsi in uno dei luoghi più suggestivi d’Italia – ha raccontato anche dell’origine del suo nome: «I fiori sono affascinanti, colorati. Forse bilanciano la mia componente dark. E poi il mio cognome è Giglio». La sua voce, profonda e affilata, ha inaugurato con intensità l’atmosfera dell’arena.
Poi è stata la volta di Elena Mil, che ha portato in scena La ballata dell’inferno, un brano teatrale, drammatico, che rispecchia il suo background artistico. Milanese, con una formazione teatrale solida, ha raccontato: «Esibirmi allo Sferisterio è un onore. Le esperienze in scena mi hanno aiutata anche nella scrittura». Ecco, scrittura: è proprio Elena l’artista nelle cui mani è finita la Targa per il Miglior Testo, assegnata dagli studenti delle Università di Macerata e Camerino.
Moonari, cantautore romano, è stato il quarto a esibirsi con Funamboli, un brano sospeso tra delicatezza e malinconia. Dopo la performance ha raccontato di essere stato stupito dalla natura inclusiva di Musicultura: «Mi hanno colpito la poca competitività e l’attenzione che c’è alla musica vera e ai testi. È bello sentirsi ascoltati davvero», ha dichiarato. E sull’emozione di trovarsi in un luogo così carico di storia ha aggiunto: «Lo Sferisterio è incredibile. Sapere che qui si sono esibiti artisti straordinari, e ora tocca a noi, è un onore immenso». È andato a lui il Premio PMI – Produttori Musicali Indipendenti per il miglior progetto discografico.
A seguire Silvia Lovicario con il brano La notte, scritto, come lei stessa ha raccontato, in un momento di angoscia. Una canzone concepita quasi come un rito catartico, per esorcizzare emozioni forti e difficili da gestire. Silvia ha portato con sé una voce intensa e una presenza scenica fortemente emozionale: «Mi lascio guidare dalla musica. Quando salgo sul palco cerco di trasformare qualcosa, di trasformare me stessa», ha detto.
Poi il primo ospite, Tricarico, che con Sono Francesco e Mi manchi ha ripercorso due momenti diversi della sua carriera, regalando al pubblico non solo la sua voce ma anche una riflessione profonda sul ruolo della paura nella vita di ciascuno: «La paura ci salva la vita, a volte ce la complica, altre volte ce la distrugge», ha affermato, per poi aggiungere: «La musica mi ha salvato la vita. È stato il mio modo per sopravvivere, per dare un senso a tutto».
La serata è proseguita con Frammenti, duo trevigiano che ha presentato il brano La pace, una canzone schietta, sincera, in cui voce e arrangiamenti si fondono per costruire un messaggio potente: «Siamo convinti che nei concerti si annullino tutti i pregiudizi e le diversità. Con il nostro brano vogliamo trasformare tutto ciò in ricchezza e, quindi, in pace», hanno detto i due artisti.
È poi arrivato il turno della napoletana Alessandra Nazzaro, che ha presentato Ouverture, brano raffinato, costruito con eleganza e consapevolezza. La sua voce profonda e l’intensità interpretativa hanno illuminato la strada di ricerca personale intrapresa dall’artista, che ha dichiarato: «Nel mio percorso ho cercato sempre di conformarmi a un modello predefinito, fino a quando non ho trovato davvero me stessa, con nome e cognome».
Con Me July e la sua Mundi la serata ha toccato registri sonori diversi, contaminati, ricchi di sfumature. L’artista ha svelato di aver scritto la canzone pensando ai propri cari, alle proprie origini, quindi alla propria identità. «Il tema centrale – ha spiegato – è l’amore. L’amore in molteplici forme: per la mia terra, la mia famiglia, la mia musica».
A chiudere le esibizioni degli otto vincitori sono stati gli Abat-Jour, band giovanissima formata da ragazzi tra i 18 e i 20 anni. Con Oblio, hanno portato sul palco energia e un sound diretto, senza filtri. Il progetto è nato nella cameretta del frontman, che ha sottolineato: «Senza gli altri non ci sarebbe nulla. La nostra forza è il gruppo. La musica per noi è fondamentale e il nostro obiettivo è farne tanta dal vivo».
Successivamente, a incantare il pubblico è stato Riccardo Cocciante, accompagnato dalla sua classe senza tempo e da brani che ne sono testimonianza: Se stiamo insieme, Poesia, Margherita, cantata a gran voce da tutto il pubblico e conclusasi con una standing ovation. Ai giovani ha lasciato un consiglio semplice ma potente: «Osare, osare, osare». E a coronare la sua carriera sono stati proprio due giovani studenti degli atenei di Camerino e Macerata e i Rettori delle due università, rispettivamente Graziano Leoni e John Francis McCourt, che gli hanno consegnato un’onorificenza per gli alti meriti artistici.
A conclusione della serata, il ritorno sul palco del Festival, dopo dieci anni, di Vinicio Capossela, che ha omaggiato il pubblico con Barmadù, Il povero Cristo, Staffette in bicicletta, Il tempo dei regali. Il cantautore si è poi abbandonato a una riflessione sui conflitti bellici di cui quotidianamente apprendiamo i tragici risvolti: «Le sirene oggi non sono più quelle della mitologia greca: sono quelle delle emergenze umanitarie, delle ambulanze, dei bombardamenti a cui siamo costretti ad assistere. I compagni di Ulisse si sono tappati le orecchie per non sentirle, non facciamo lo stesso solo per andare avanti».