Nutrire il futuro, con parole che durano

Con Cosmari e Legambiente, Giorgia Pagliuca porta a La Controra il suo modo di abitare la sostenibilità

In un presente iperconnesso, dove tutto scorre veloce e spesso si consuma prima ancora di essere compreso, c’è chi sceglie di rallentare per raccontare. Giorgia Pagliuca, divulgatrice, attivista e ricercatrice, si muove tra social, scuole, piazze e libri portando avanti una narrazione della sostenibilità che è tanto scientifica quanto personale, tanto concreta quanto emotiva. Arriva a Musicultura, nel cuore de La Controra, per parlare di cibo, giustizia ambientale e linguaggi accessibili. Ma soprattutto per mostrare che il cambiamento si nutre di presenza, ascolto e storie ben raccontate. Con ironia, consapevolezza e una voce capace di attraversare più pubblici, Giorgia ci invita a rimettere al centro il valore delle parole, delle relazioni e del gesto quotidiano. Anche quando non richiesto.

Con il progetto MUSICULTURAmbiente, La Controra le dedica uno spazio di riflessione e dialogo, in collaborazione con Cosmari, in un evento condotto da Marco Ciarulli, Presidente della Legambiente Marche. Poco prima, si è raccontata così alla Redazione Sciuscià.

Sui social ti definisci “dispensatrice di consigli non richiesti”, una formula ironica ma efficace. Che tipo di rapporto crea questa scelta con chi ti segue, e come riesci a mantenere credibilità trattando temi scientifici in modo così diretto?

Dipende un po’ da chi approda sul mio profilo, perché non tutti sono disposti ad accogliere i miei consigli non richiesti. Però devo dire che, nel tempo, ho incontrato tante persone realmente interessate al tema. Cerco sempre di usare anche una dose di autoironia, così da evitare una comunicazione unidirezionale e renderla più interattiva, sicuramente anche intersezionale. Porto avanti questo approccio sia nei miei progetti di ricerca offline, sia nella mia comunicazione online. Parlando di sostenibilità, poi, i punti di ingresso sono moltissimi e molto diversi: questo mi permette di spaziare e di parlare a soggettività differenti, con linguaggi e toni diversi.

Nel tuo libro Aggiustiamo il mondo racconti il cambiamento ecologico anche da un punto di vista emotivo e personale. Quando sei su un palco o in uno spazio pubblico, come cambia il tuo modo di comunicare rispetto alla narrazione che costruisci online?

Per me la narrazione è situata: cambia a seconda del contesto e del pubblico che ho di fronte. Non uso lo stesso linguaggio con chiunque. Mi è capitato di fare una lezione in una scuola primaria, e lì il linguaggio era completamente diverso. È stata una bella sfida, perché a volte, quando parlo in pubblico, dimentico che non tutti hanno la mia stessa formazione. Spiegare con parole semplici a una bambina di sei anni cos’è il cambiamento climatico è un’esperienza che auguro a chiunque: ti obbliga a ripensare il tuo modo di comunicare e ad adattarlo alla persona che hai davanti.

Hai partecipato come facilitatrice a progetti come Green_EuRoPe per formare giovani influencer green. Quanto è importante, per te, accompagnare la comunicazione digitale con una presenza attiva e costante nei territori?

È fondamentale. Se la divulgazione rimane confinata all’online, si perde il contatto umano. Le persone, se ti percepiscono solo attraverso uno schermo, difficilmente mantengono l’attenzione necessaria per affrontare certi argomenti. Ecco perché cerco sempre di realizzare eventi il più possibile slegati dal digitale — che resta comunque importante — ma in cui si possa creare un confronto diretto, faccia a faccia. In questi spazi si può approfondire, non rimanere in superficie. Quando si lavora solo online, spesso si è vincolati a una soglia d’attenzione sempre più bassa: i primi secondi sono tutto. E questo, insieme alla difficoltà nel contestualizzare le informazioni, apre la strada anche a dinamiche tossiche come l’odio digitale.

Il tuo intervento a La Controra ruota attorno all’idea di dare istruzioni per nutrire il futuro. Quanto a questo argomento, qual è la prima consapevolezza che speri di attivare in chi ti ascolta?

Spero che si cominci a dare il giusto valore al cibo, che è anche un modo per dare valore alle persone. Viviamo in un paese che, purtroppo, è ancora esportatore di caporalato e di forme di schiavismo non pienamente riconosciute dal punto di vista giuridico. Molte filiere alimentari si basano sullo sfruttamento di persone e minoranze. Per questo, il messaggio che vorrei far passare è semplice ma cruciale: non sprecare il cibo, ma soprattutto acquistarlo attraverso esercizi locali, controllati, con un rapporto diretto con i produttori. Riconoscere il valore del cibo significa riconoscere il valore di chi lo produce.

Musicultura crea un ponte tra cultura musicale e impegno civile. Tu che unisci divulgazione, scrittura e attivismo, in che modo credi che l’arte – in ogni sua forma – possa amplificare il messaggio della sostenibilità?

L’arte ha un ruolo fondamentale. È uno degli strumenti più potenti per avvicinare le persone. Non arriva a tutti allo stesso modo, ma è un linguaggio che ti permette di allargare il pubblico. Parlare di musica significa parlare anche di cultura, di cibo, di spreco. E questo è un potere che, spesso, la ricerca scientifica non ha, perché utilizza un linguaggio troppo distante dalla quotidianità. L’arte, invece, riesce a veicolare narrazioni fondamentali in modo diretto, impattante, emotivamente coinvolgente.