Tra le mura di una casa dove Verdi è religione, la musica rock entra a gamba tesa con un album di Ricky Shane. Artisticamente istruito dalla madre, cantante d’opera e docente di canto, Eugenio Finardi, protagonista della finalissima di Musicultura 2025, racconta in questa intervista la sua fiducia nel rinnovamento come genuinità della propria musica, parla del naturale cambiamento della voce dovuto allo scorrere del tempo con una consapevolezza illuminante, fa riferimento all’unica linea di demarcazione valida: la verità.
La sua interazione con la musica inizia prima ancora della sua interazione col mondo: lei è nato in uno “strumento musicale”, come dice spesso parlando di sua madre. Ma oltre alle inclinazioni uditive, che ruolo ha giocato la figura materna nella sua formazione musicale?
Mia madre era una grande docente, una grande insegnante di canto, quindi vedendola interagire fin da piccolissimo con i suoi allievi ho imparato, anche tecnicamente, tantissimo: sulla voce, sul come modularla, come usarla, come aggirare gli ostacoli. È una cosa che mi è servita poi tantissimo. La fase di studio della voce non finisce mai, perché poi quella voce continua a cambiare, ma quotidianamente si deve riuscire a seguire i propri cambiamenti, adattare le proprie interpretazioni.
Ecco, i cambiamenti, appunto. Come quelli di direzione o quelli dovuti alla sperimentazione di nuovi generi e sound, che spesso vengono etichettati come “tradimenti” da parte di un pubblico ampio, come se il cambio di rotta e il reinventare se stessi fossero quasi atti di ipocrisia. Dove sta, secondo lei, la linea sottile tra il rinnovamento e la forzatura?
Quello è un problema. Secondo me, la linea di demarcazione è la verità. Se uno canta, suona e interpreta la propria visione artistica ha sempre la ragione. Poi, è vero, spesso il pubblico non ama i cambiamenti, vorrebbe che uno rimanesse sempre uguale. Ci sono alcuni personaggi che ci sono riusciti, in maniera addirittura inquietante, a volte: sono identici a come erano quaranta, cinquant’anni fa. Io penso invece che si debba assecondare la propria crescita, cantare gli anni che si hanno, e quindi anche nella scrittura continuare a crescere. Credo che il cambiamento sia seguire la propria curiosità musicale; il che non semplicemente un atto volontario, ma necessario.
Forse la forzatura è voler rimanere sempre uguali.
Certo, lo dicevo prima: ci sono colleghi che non sono mai cambiati. Da una parte ho una grande ammirazione, dall’altra mi chiedo «Non si stufano?»
Lo dicevamo prima rima: ha avuto un’educazione musicale classica. Ha dichiarato che, fino all’adolescenza, è rimasto digiuno del resto del panorama musicale. Si ricorda qual è stato il suo primissimo album rock?
Il primo disco rock che ho comprato è Uno dei mods di Ricky Shane, che tu non puoi conoscere ma che la mia generazione si ricorda assolutamente.
Ha sempre scelto di lavorare alla sua musica con “orario d’ufficio”, alla maniera dei Beatles. Quando invece si parla della composizione spesso si ha la costante del lampo di genio che la fa da padrona. Come si è trovato con questa nuovo approccio?
Questa è un’idea comune, però il lampo di genio viene facilmente alla tua età, molto meno alla mia. Alla mia ti vengono dei lampi di consapevolezza, si hanno idee in maniera diversa, di diverso tipo. Il punto è non fermarsi, continuare a cercare, ad accettare le nuove intuizioni.
Musicultura da sempre si propone come spazio dedicato alla canzone d’autore nelle sue forme più originali e spesso meno commerciali. Quanto è importante, oggi, l’esistenza di festival come questo, che danno visibilità anche a proposte musicali più “di nicchia” rispetto al mercato mainstream?
Spazi come questo sono importanti per riuscire a tirare fuori dalla nicchia quella musica. Adesso è tutto troppo industriale, ogni bit calcolatissimo, in un certo senso prevedibilissimo, no? È prevedibilissima persino la parabola della celebrità che sparisce. Io credo più nell’ispirazione, nella creazione, nella creatività. E quindi ben vengano festival come questo, che mettono in risalto cose di questo genere e danno spazio a tanti artisti.