Intervista: a tu per tu con BLINDUR

Da Napoli a Dublino, passando per Macerata: con Invisibile agli occhi, Blindur torna a Musicultura 2020

Origini partenopee, classe ’87, cantautore, polistrumentista e producer, torna nuovamente sul palco del Festival della Canzone popolare e d’Autore Massimo De Vita, aka Blindur. Il brano selezionato per il concorso,  Invisibile agli occhi, è la sintesi perfetta di tutte le  componenti della sua musica –  dal folk al rock alternativo, dal cantautorato al post rock – e del suo ultimo album, uscito per La Tempesta Dischi con il titolo A. Qui l’intervista rilasciata alla redazione di Sciuscià.

Dalle origini in duo all’attuale formazione in band, il tuo marchio di fabbrica è folk e post-rock, figlio illegittimo di un pub irlandese e di un locale di Reykjavík, ma la componente squisitamente italiana rimane sicuramente nella scrittura autoriale sempre calibrata ed elegante. Cosa ti lega così tanto alle sonorità nordiche e in cosa invece sei debitore alla tradizione italiana, o anche partenopea?

Le suggestioni delle due grandi isole del nord, la loro potenza naturale, la loro capacità di farmi sentire a casa, hanno fatto sì che io mi innamorassi da subito della loro musica. Da tantissimo ormai la dimensione sognante e vulcanica dei SigurRós, così come l’intimità acustica delle ballate irlandesi, sono per me fonte di ispirazione nella ricerca del suono di Blindur. Tuttavia, a dir  la verità, la parte più ruvida del mio suono viene da band come i National, gli Afterhours e più in generale dal rock alternativo. Questa è una componente che ho cercato di valorizzare molto in questo secondo disco. Quanto all’aspetto autorale, invece,  resto innamorato della melodia, della forma canzone, dei ritornelli; certamente il mio legame con la musica folk anglofona, ma ancor di più con la nostra tradizione, sia italiana che partenopea, è assolutamente motivato dall’idea di dover e poter attingere da un patrimonio ancora vivo e stimolante.

L’ultimo disco uscito per La Tempesta, dal titolo simbolico A, è il frutto di una scrittura profonda, a tratti oscura e a tratti limpidissima, di suoni eterogenei e di una produzione certosina. Ci vuoi parlare della sua genesi, soprattutto del singolo Invisibile agli occhi, brano finalista di Musicultura2020?

Mediamente cerco di scrivere e comporre solo quando sento il bisogno inevitabile di comunicare; con questa premessa voglio dire che A è figlio di un momento difficile, di grande sofferenza e dolore, ma, allo stesso tempo, la capacità esorcistica della musica ha fatto sì che mi apparissero nuovi scenari, sprazzi di luce che sono stati il porto franco che forse cercavo. In Invisibile agli occhi sono condensati la rassegnazione, un realismo un po’ crudo, ma anche la consapevolezza di dover far saltare schemi, convenzioni e convinzioni per mettersi veramente alla ricerca dell’essenziale. Volevo realizzare una versione ruvida e malinconica della famosa citazione della volpe ne Il piccolo principe, aggiungendo la possibilità di strappare il cielo di carta, giusto per fare un riferimento a Il fu Mattia Pascal, altra opera a me cara, e provare a vedere se oltre c’è un altro cielo, più vero.

Oltre allo studio di registrazione, sei molto addestrato ai palchi più disparati – come quello, ad esempio, dell’Iceland Airwaves al Body&Soul Festival di Westmeath – ma torni  frequentemente ad esibirti anche nei locali nostrani, con una predilezione per quelli campani. Cosa ti porti dietro da 6 anni di attività e più di 400 concerti in giro per l’Europa e l’America? E come ti accoglie il pubblico straniero?

La dimensione live è una parte fondamentale della mia vita e della mia attività di musicista; adoro mettermi in viaggio e pensare di portare con me un bagaglio pieno di storie da raccontare e un bagaglio vuoto da riempire con nuove esperienze. Sarà che il mio amore primo è il viaggio e che la musica mi offre sempre un’ottima scusa per mettermi in strada, ma i concerti mi hanno regalato e continuano a regalarmi tantissimo. Certo, ci sono episodi e aneddoti di ogni tipo, da quelli meravigliosi a quelli da incubo, dagli incontri memorabili con miei miti assoluti (Damien Rice, J Mascis e tantissimi altri), alle persone che hanno voglia di condividere una storia, un sogno, una speranza. Posso assicurarvi che tutto quersto fa passare in secondo piano anche la peggior stanza d’albergo, dieci ore di furgone sotto la pioggia o la stanchezza accumulata in mille notti insonni. Il pubblico straniero è curiosissimo, spesso attentissimo, qualche volta composto da italiani che vivono all’estero, molto spesso da persone che non capiscono nemmeno una parola di quello che dici, ma riescono a cogliere il cuore, l’emozione e la passione che provo sempre a portare sul palco. Da Bruxelles ad Austin Texas, da Dijon a Dublino, l’accoglienza è sempre stata da fuochi d’artificio e questo è il motivo per cui amo tornare oltre confine.

A proposito di tournée, da 2018 sei protagonista di #gliultimisaranno, laboratorio tanto atipico quanto nobile, con la volontà di portare musica e teatro nelle carceri italiane. Ci vuoi raccontare di questa missione?

Questa è una delle esperienze più incredibili che la musica mi abbia regalato! Insieme ad altri artisti tra cui Luk, Delirio Creativo e Maurizio Capone di Capone &BungtBangt, abbiamo messo su un canovaccio di canzoni, poesie e racconti che di volta in volta si intrecciano con le storie dei detenuti che incontriamo, con i loro racconti di vita, le loro canzoni, le loro poesie. La catarsi, la fusione, la voglia di abbracciarsi e di riscoprirsi profondamente simili nella fragilità, nella capacità di sbagliare e rialzarsi, fa sempre in modo che si esca da quei posti terribili con la consapevolezza che l’essere umano è capace di grandi orrori, ma anche di grande bellezza.

Nel 2016, quando come Blindur non avevi ancora pubblicato nessun album, ti sei esibito sul palco del Teatro Persiani tra i 16 finalisti di Musicultura. Cosa ti ha spinto a partecipare nuovamente al Festival?

Musicultura è un’occasione importante di visibilità, un contesto per raggiungere obiettivi che possono fare la differenza nella vita di un progetto musicale. Ho pensato che avevo delle canzoni da proporre e che la squadra con cui sto lavorando e vivendo si meritasse di ritrovarsi in qualcosa di grande e bello. Quindi eccomi qui, più determinato che mai a dare tutto per provare ad arrivare fino alla fine.Io ci metto tutto il cuore che ho, per il resto, incrocio le dita.


Loretta Paternesi Meloni