Intervista: a tu per tu con SARA RADOS

Sara Rados torna sul palco di Musicultura: «Quello che mi sono sempre portata dietro è stata una buona dose di ironia»

Artista dinamica, musicoterapeuta e cantautrice, Sara Rados è protagonista di un percorso artistico caratterizzato dalla continua ricerca di esperienze anche molto diverse tra loro, che vanno dallo studio del canto lirico alle esibizioni con un gruppo punk tutto al femminile. Prende parte a concorsi e concerti in tutta Italia; studia canto jazz, vince il contest di Scalo 76 su Rai Due e si aggiudica anche il premio della critica Rosa Ballistreri e il Premio Ciampi. Alla fine del 2009 gira con uno spettacolo solista tra vari palchi dello Stivale e nel 2010 è tra i sedici finalisti di Musicultura. Ora, torna sul palco del festival dopo undici anni con un pezzo che definisce “una danza impetuosa”. 

Carapace, un brano ricco di figure retoriche, è il pezzo con cui sei in concorso a Musicultura. Proprio a proposito di figure retoriche: una metafora per descrivere l’esperienza del Festival?

Una danza impetuosa, allegra, improvvisata, passo dopo passo, dentro a una grande festa di paese, con le persone che incontro lì, per caso, per fortuna, o chissà…

Questa, però, non è la prima volta che partecipi al concorso. Anche nel 2010 sei stata tra i suoi sedici finalisti. Cos’è cambiato in questi 11 anni, in te e nella tua musica?

In questi undici anni mi sono costruita una vita abbastanza tranquilla, normale direi, alla mia portata. Ho deciso di prendere molto sul serio i miei limiti e i miei sogni e ho lavorato su quelli, ho messo radici nella città da cui ero un po’ scappata a 19 anni, ho coltivato i rapporti con le persone a me care, tra cui annovero familiari e amici di vecchia e nuova data. Ho cambiato tantissimi lavori, perché, per un caso o per un altro, con la mia musica non sono mai riuscita a fare del business. Poi il puzzle che facevo a intuito da anni ha cominciato a prendere forma. L’autoanalisi. La quotidianità come disciplina. Il sogno lucido di esistere. Mi sono appassionata al concetto di “creazione come cura” e ho cominciato a studiare musicoterapia. Ad oggi lavoro coi bambini e con gli anziani, e non potrei chiedere di più. La musica per me resta un discorso che viene da dentro, ma rispetto a 11 anni fa, forse, ho più voglia di condividerlo.

Durante la tua carriera artistica hai approcciato a generi che potrebbero apparire in antitesi, ad esempio cimentandoti nello studio del canto lirico e appartenendo a un gruppo punk femminile. Come ci si destreggia in ambiti così diversi?

Per me, e lo dico davvero, non è mai stato un problema spaziare. Sono stata una di quelle adolescenti definite in tanti modi, odiosette, privilegiate, “normalissime che si sentono strane”, una di quelle che potevano permettersi il sabato in barca a vela e il lunedì al leoncavallo, tanto per capirci. Sinceramente io non so cosa cercasse la gente intorno a me, io cercavo il ballo. La polemica. Il movimento, il confronto, lo scambio. Quello che mi sono sempre portata dietro, dalla lirica al punk, è stata una buona dose di ironia, la consapevolezza di essere fortunata, e mai, e dico mai, rinunciando al sentimento.

Con quale artista ti piacerebbe tantissimo collaborare e perché?


A me piace giocare con l’impossibile: avrei voluto conoscere Morricone e farci insieme una mega sinfonia con dentro western, tarantella, ottava rima, rap, serenata. Se a qualcuno, anche di sconosciuto, va di farlo, io ci sono comunque.

Se in questo momento avessi tra le mani una sfera di cristallo e potessi guardare il tuo futuro, a quale scena ti piacerebbe assistere?

All’elezione universale di una papessa che apre le casse vaticane e reinveste tutto in scuola, cultura, scienza ed ecologia.


Maria Michela Perna