“Musicultura è stata per me una vittoria personale”: a un decennio dalla vittoria, Serena Ganci si racconta

Nel 2010, quando la sua carriera era ancora agli esordi, il pubblico dello Sferisterio di Macerata ha premiato Serena Ganci come vincitrice assoluta per il brano “Addio“. Esplosiva e autentica, la cantautrice ha fatto della sua elegante potenza vocalica la propria cifra stilistica e della sua ecletticità senza freni il cavallo di battaglia. Da qui, il viaggio continuo tra voce e parola, una ricerca sperimentale di volta in volta più curiosa in ogni progetto artistico proposto e tante collaborazioni per il cinema e per il teatro all’attivo, in particolare quella con la regista Emma Dante. Entrambe palermitane, entrambe artiste sui generis – qualcuna direbbe “Morgane” – , entrambe ossessionate dallo studio minuzioso della parola esatta, anche di quella dialettale, entrambe perfezioniste delle sfumature più impercettibili nelle loro produzioni comuni, che sia in ambito cinematografico che in quello musicale. A un decennio dalla sua partecipazione a Musicultura, incuriositi dalle prossime possibili sperimentazioni della compositrice, abbiamo provato a intervistarla.

Dopo il tuo soggiorno parigino – o meglio il tuo dottorato parigino! – ti sei formata anche al di là dagli ambienti accademici, vale a dire nei jazz club, proponendo un hommage à Luigi Tenco. Com’è la scena jazzistica francese? Preferisci quella italiana?

Sono trascorsi moltissimi anni da allora; Parigi in quell’epoca per me era l’inizio di tutto. Godevo di ogni concerto, di ogni occasione per ascoltare la musica con l’entusiasmo di chi scopre il mondo per la prima volta. In realtà, la scena francese è arricchita dall’esperienza di moltissimi italiani, basti pensare a Di Battista, Romano e Del Fra. Del resto, la scuola italiana è decisamente fra le più rinomate d’Europa. La differenza fondamentale però sta nel fatto che la Francia è piena di luoghi ideali per fare jazz: club, teatri, scuole, festival. Purtroppo in Italia, come succede per molti altri settori culturali, gli spazi e gli investimenti dedicati alla musica sono sempre troppo pochi, ahimè.

Dopo un decennio dalla tua vittoria a Musicultura, cosa puoi dire di aver appreso da un festival del genere? Cosa ha offerto la vittoria di un concorso per cantautori a un percorso artistico in realtà mutevole e multiforme come il tuo?

In primis, Musicultura è stata per me una vittoria personale, una sorta di conferma che quella della musica e della scrittura fosse la mia strada; poi, credo sia l’unico concorso italiano di altissimo livello, fuori da logiche commerciali e modaiole. È un luogo dove viene premiata la musica e la competenza. Ancora oggi, sono molto fiera di aver vinto questo premio.

Parliamo invece del tuo sodalizio con Emma Dante, che procede dal 2013, da quando hai partecipato come performer e musicista di scena allo spettacolo teatrale “Io, Nessuno e Polifemo”. Cosa apprezzi maggiormente di questa collaborazione? Avete altro in cantiere?

Emma è senza dubbio fra gli incontri più importanti della mia vita artistica. Grazie a lei ho aperto un canale creativo estremamente inteso e profondo. Ho scoperto la sacralità del teatro, l’importanza del rito come atto di consacrazione artistica. Sì, abbiamo diverse cose in cantiere, non si smette mai di lavorare e di fare ricerca.

La scorsa estate, per la stagione di Palermo Classica, hai proposto lo spettacolo “La cantata dell’amore e della morte” con la Tatum Art Orchestra e gli arrangiamenti di Alessandro Presti. Più che un tradizionale concerto, lo hanno definito un “concerto teatrale in cui la parola si fa musica e il corpo diventa parola”. Com’è andata?

È stato un concerto importante, il primo dopo questo lunghissimo silenzio dettato dalla pandemia. Ho cercato di raccontare l’amore e la morte come forze complementari, come parti di un’unica cosa. L’orchestra è stata formidabile, la potenza del suono ha creato la magia, gli attori hanno raccontato il dolore e la gioia e io, con il canto, ho pianto e gioito.

Recentemente ti sei esibita alla Triennale di Milano per un incontro de “Il tempo delle donne” sulla letteratura a firma femminile. Se la disuguaglianza di genere nel mondo della produzione artistica e dello spettacolo non risparmia neppure l’industria musicale, vedi perlomeno margini di miglioramento o nuovi spazi di riflessioni e, soprattutto, di azione?

Credo che il miglioramento sia troppo lento, perché questo paese è troppo lento, perché il risveglio delle coscienze è troppo lento. Bisogna darsi da fare ogni giorno nel micro- come nel macro-sistema.

 Loretta Paternesi Meloni