Musicultura 2024: tutte le tappe della XXXV edizione

Quasi un anno: dura tanto un’edizione di Musicultura, che prende il via a settembre, quando, aperto il bando di concorso, gli artisti scelgono di inviare le proprie proposte, e termina a giugno, dopo un lungo iter di selezione: è allora che gli otto vincitori salgono sul palco dello Sferisterio.

Febbraio 2024 – FINE DEGLI ASCOLTI E NUOVA FASE DEL CONCORSO

Il Festival 2024 è iniziato con un record: gli artisti iscritti sono stati 1187. Ciascuno di loro ha inviato due canzoni del proprio repertorio e ci sono voluti quasi tre mesi per ascoltare attentamente i brani in gara e compiere la prima importante selezione.

La quantità ma soprattutto la qualità delle proposte ricevute hanno indotto il Festival a dare vita per il primo anno a una finestra aperta sulla variegata e stimolante realtà musicale del concorso. Così è nata Musicultura Première, una fase zero che permette al pubblico di esprimersi e di contribuire attivamente alla scelta degli artisti che parteciperanno alle Audizioni Live. Protagoniste di questa fase sono le 101 proposte più interessanti selezionate tra quelle in concorso dalla Direzione Artistica.

25.000 sono stati gli utenti che attraverso il voto sul nuovo portale web hanno selezionato 5 delle 60 proposte convocate alle Audizioni Live, le restanti 55 sono state selezionate, invece, da Musicultura stessa.

Marzo 2024 – AUDIZIONI LIVE

Le Audizioni, appunto. Rappresentano la prima tappa dal vivo di Musicultura: 10 serate in cui i 60 artisti selezionati presentano, suonando rigorosamente dal vivo, i loro brani al pubblico del Teatro Lauro Rossi di Macerata.

Ad arricchire il programma delle Audizioni anche due ospiti: il giornalista e voce di Rai Radio 1 John Vignola e Piero Pelù, membro del Comitato artistico di Garanzia del Festival. La successiva selezione da 60 a 18 finalisti fatta al termine degli ascolti live delle Audizioni è stata fatta dalla Commissione del Festival in collaborazione con una giuria composta da studenti delle Università di Camerino e di Macerata, partner culturali del Festival.

Qualche numero delle 10 serate? Le 60 proposte artistiche in concorso si sono esibite con ben 247 musicisti al seguito e di fronte a quasi 5000 spettatori in teatro e con 657.000 visualizzazione in streaming.

Aprile 2024 – CONCERTO DEI FINALISTI

Seconda tappa. Protagonista è stato per due giorni, il 25 e il 26 aprile, il Teatro Persiani di Recanati, che come da tradizione ha ospitato il concerto di presentazione dei Finalisti del concorso e dei loro brani, raccolti nella compilation dell’edizione prodotta e distribuita da Musicultura. Il doppio concerto è stato trasmesso in diretta su Rai Radio 1 e condotto da John Vignola, Marcella Sullo e Duccio Pasqua.

Sul palco i 18 finalisti FALCE, Helle, Nyco Ferrari, Sandro Barosi, Eda Marì, Alec Tample, PORCE, De.Stradis, Velia, Tommi Scerd, Eugenio Sournia, Ormai, Nico Arezzo, Anna Castiglia, DELVENTO, Bianca Frau, The Snookers, Dena Barrett e due graditi ospiti: Simona Molinari e un altro componente del Comitato di Garanzia del Festival, il poeta Guido Catalano.

Maggio 2024 – RAI RADIO 1 E IL COMITATO ARTISTICO DI GARANZIA

Per l’intero mese di maggio, i brani dei 18 finalisti sono stati trasmessi da Rai Radio 1, radio ufficiale del Festival, nella trasmissione di John Vignola La Nota del Giorno. Contemporaneamente sono anche stati sottoposti al vaglio del Comitato Artistico di Garanzia del Festival – i cui primi due firmatari furono Fabrizio De André e Giorgio Caproni – , di cui membri, oltre ai già citati Piero Pelù e Guido Catalano, sono Francesco Amato, Francesca Archibugi, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Fabrizio Bosso, Maria Grazia Calandrone, Luca Carboni, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Teresa De Sio, Dardust, Giorgia, La Rappresentante di Lista, Dacia Maraini, Ermal Meta, Mariella Nava, Vasco Rossi, Ron, Enrico Ruggeri, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni e Sandro Veronesi. Sono stati loro a valutare le proposte e a scegliere gli 8 vincitori che il 21 e il 22 giugno si sono esibiti allo Sferisterio.

Giugno 2024 – ATTO FINALE

In una conferenza stampa tenutasi a inizio mese nella sede Rai di Viale Mazzini, nella Sala degli Arazzi, sono stati svelati i nomi dei vincitori di Musicultura 2024: Helle, Nyco Ferrari, De.Stradis, Eugenio Sournia, Nico Arezzo, Anna Castiglia, Bianca Frau e i The Snookers. I giovani artisti si sono, poi, esibiti nella Sala A di Via Asiago in un concerto trasmesso in diretta radiofonica da Rai Radio 1 e televisiva da Rai Play che ha visto anche la partecipazione, nelle vesti di ospite, di un ex vincitore del Festival: Mirkoeilcane.

La settimana finale e lo Sferisterio

Ultima tappa del concorso: la città di Macerata e l’Arena Sferisterio accolgono gli 8 vincitori e gli ospiti che popolano il cartellone delle due serate finali: Diodato, Serena Brancale, Marcin, Filippo Graziani, Enzo Avitabile, Carlotta Proietti, Alessandro Bianchi, Alessandra Campedelli e Nada. Con la conduzione dell’inedita coppia formata da Carolina Di Domenico e Paola Turci, le due serate sono state seguite da RAI, main media partner del Festival con servizi, approfondimenti e dirette su TG 1, TG 2, TG 3, RaiNews 24, Tgr, Rai Italia, Rai Radio 1, RaiPlay e RaiPlaySound.

Anna Castiglia con il brano Ghali vince il Premio Banca Macerata di 20.000 euro ma anche il riconoscimento per il Miglior Testo, assegnato dalla giuria degli studenti delle Università di Macerata e Camerino. La Targa della Critica, intitolata a “Piero Cesanelli”, ideatore del Festival e suo Direttore artistico fino al 2019, è andata a Eugenio Sournia e al brano Il Cielo, così come il Premio PMI per il Miglior Progetto Discografico. Helle, infine, con il brano Lisou, ha vinto invece il Premio La Casa in riva al mare, assegnato dai detenuti della casa di reclusione di Barcaglione.

MUSICULTURA E POI…

Spazio ai ricordi. Il main media partner Rai, infatti, offre tre occasioni per rivivere il meglio delle emozioni delle serate finali: una in onda sulle frequenze di Rai Radio 1 il 28 giugno alle 21, una su Rai 2 il 15 luglio e l’ultima su Rai Italia sempre il 15 luglio. Per la prima volta, i brani degli 8 vincitori sono tradotti in LIS, la lingua dei segni italiana, per permettere alle persone sorde di vivere appieno il Festival.

Rivedi lo special sulla Finalissima!


 

Che vita meravigliosa: Diodato a Musicultura 2024

Nasce ad Aosta e si forma musicalmente a partire da Stoccolma, ma il suo cuore è tutto pugliese. Ospite allo Sferisterio, in occasione delle serate conclusive della XXXV edizione di Musicultura, un autore raffinato e interprete di talento: Diodato, un artista che è riuscito a entrare velocemente nel cuore delle persone grazie alla delicatezza con cui si addentra nelle fratture più sottili dell’animo umano, per sviscerarne contraddizioni e sentimenti che sono tanto personali quanto comuni e universali. Da qui il valore sociale e catartico della musica, che per lui è confronto, dialogo utile a mettere ordine al caos della vita, soprattutto interiore, affermandone la versione gentile.

Condivisione, dunque, che – in una società sempre più votata all’incomprensione e all’indifferenza – diventa importante da ribadire e affermare con convinzione, come ha fatto con la canzone che nel 2020 ha vinto il festival di Sanremo, Fai rumore. E appunto, “fare rumore” significa farsi sentire ed esprimere la propria opinione, per regalarla agli altri e camminare, crescere, vivere insieme.

Nella sua carriera, musica e cinema sembrano intrecciarsi costantemente, fin dagli studi universitari in Discipline delle Arti e dello Spettacolo. Per ben due volte ha vinto il David di Donatello per la migliore canzone originale: nel 2020 con Che vita Meravigliosa per il film La dea fortuna di Ferzan Ozpetek e quest’anno con La mia terra, inserita in Palazzina Laf, di Michele Riondino. La canzone, come l’intero film, parla della città che più sta a cuore a entrambi, Taranto, dove dirigono insieme a Roy Paci l’evento “Uno maggio Taranto libero e pensante”. Prima di esibirsi allo Sferisterio, è stato Diodato stesso a spiegare l’importanza del brano, raccontando, appunto, la storia della sua terra: «Un tempo gli spartani esiliarono coloro che erano ritenuti figli illegittimi, i parteni, che partirono insieme al loro capo, Falanto, a cui l’oracolo disse che avrebbero trovato la propria casa quando avrebbe piovuto a ciel sereno. Nel lungo viaggio nel Mediterraneo, a un certo punto, distrutto e demoralizzato, Falanto si accasciò sulle gambe di sua moglie, che iniziò a piangere. Sentendo queste gocce, aprì gli occhi e vide che il cielo era sereno. Così, il suo esercito conquistò la città che oggi chiamiamo Taranto. In quelle lacrime a ciel sereno, però, sembra esserci un destino segnato e, ancora oggi, alcuni figli di quella terra sono costretti a piangerle».

Poi, un altro regalo al pubblico maceratese: le già citate Fai rumore e Che vita meravigliosa, eseguite nell’intimità di sole chitarra e voce. Perché quando i messaggi sono forti, chiari e sentiti nel profondo, basta l’essenziale.

Prima di lasciare il palco, Diodato ha anche fatto un augurio ai vincitori del Festival: «Quello che mi sento di dire ai ragazzi è di battersi per trovare la propria strada e seguirla, con tenacia e anche un po’ di insistenza di fronte alle difficoltà. La musica è una grande opportunità per esprimersi, per crescere umanamente ma anche socialmente, creando dei ponti capaci di arrivare alle altre persone».

Passata la notte, è un saluto appuntato sulle sue pagine social a dare il buongiorno: «Grazie Musicultura – ha scritto – per l’invito di ieri. È stato bello tornare qui e vedere così tanta passione e attenzione per ciò che accade oggi nella musica italiana. Siete una risorsa importante. Grazie a Carolina Di Domenico, Paola Turci, Duccio Forzano (il regista del Festival, ndr), agli organizzatori, ai tecnici, a tutto lo staff e al pubblico per avermi accolto con così tanto amore. C’erano tanti amici a cui voglio un bene dell’anima e una luna piena pazzesca».


 

Anna Castiglia, Ghali e l’importanza di assumersi le proprie responsabilità

A vincere la XXXV edizione di Musicultura è Anna Castiglia, cantautrice catenese trapiantata prima a Torino, ora a Milano, che vive accompagnata costantemente dalla passione per la musica, il teatro, la danza; dalla passione per l’arte in generale, insomma. Nonostante la giovane età, numerose sono le sue esperienze; a marzo 2024 decide di farne un’altra e arriva a Macerata per le Audizioni Live di Musicultura. Accompagnata dagli amici della sua band, dai suoi occhiali grandi e dalle gonne colorate, si presenta al pubblico con semplicità e purezza, conquistandolo subito e sempre di più. Ed è proprio il pubblico a premiarla nella finalissima di sabato 22 giugno, quando viene proclamata, grazie alla sua canzone Ghali, vincitrice assoluta di Musicultura 2024, aggiudicandosi il premio Banca Macerata dal valore di 20.000 euro. Non solo: finisce nelle sue mani anche un altro riconoscimento, il Premio per il Miglior Testo. Con il suo brano, Anna rivendica un atteggiamento critico nei confronti della sua stessa generazione, andando contro il vittimismo e chi, evitando di assumersi le proprie responsabilità, è sempre pronto a scaricare le colpe sugli altri. Scesa dal palco dello Sferisterio da appena tre giorni, decidiamo di riacciuffarla per chiederle di raccontarci, ancora a caldo, le sensazioni riguardo alla sua vittoria.

Nella tua ultima intervista con noi, hai definito Musicultura il tuo habitat; si è visto chiaramente sul palco dello Sferisterio, dove hai conquistato il pubblico con la tua Ghali, diventando vincitrice assoluta di questa edizione. A chi dedichi questa vittoria?

Come ho detto anche sul palco, al momento della consegna del premio, voglio dedicare questa vittoria a chi mi sta vicino: la mia famiglia, i miei musicisti e anche chi non c’è più ma continua a farmi compagnia con i suoi insegnamenti. Parlo di Ernesto Assante, che è stato il mio insegnante di Storia della Musica al Conservatorio di Milano.

Anna Castiglia – Vincitrice assoluta 2024

Chi è stata la prima persona che hai abbracciato o chiamato, scesa dal palco?
La prima persona che ho visto quando sono scesa dal palco è stato Simone Matteuzzi – che tra l’altro, è stato tra gli 8 vincitori nella scorsa edizione -, con cui sto e con cui ho appena realizzato il mio primo disco, in uscita a settembre. Poi, una volta finite le interviste, ho sentito i miei genitori e mia sorella.

Non hai vinto solo il premio Banca Macerata dal valore di 20.000 euro, ma anche quello per il Miglior Testo. Quali sono i progetti futuri sui quali investirai questi riconoscimenti?

Sono lusingata dalla vittoria del Miglior Testo perché è un premio ambitissimo e a cui tenevo. Prima di tutto retribuirò i miei musicisti e la mia agenzia OTRLive, che mi ha sostenuta in tutta l’esperienza. Poi, vorrei donare una parte dei premi a delle associazioni che lavorano in Palestina; la vedo come una presa di responsabilità: ho un potere e voglio usarlo così. Infine, utilizzerò la parte restante per il mio progetto musicale, quindi per videoclip, merchandising e altro!

Anna Castiglia vince il Premio per il miglior testo

Emozionante è stato il momento in cui è stata rivelata la tua vittoria, oltre che per il tuo stupore anche per l’entusiasmo e l’affetto che hanno dimostrato per te gli altri artisti, che subito ti hanno abbracciata e applaudita. Che rapporto si è creato tra di voi durante questo percorso?

Il rapporto tra di noi è sicuramente la cosa più bella di questa esperienza: si è creato un gruppo unito e sincero e già mi mancano tanto. Ci rincontreremo in una delle nostre città per una rimpatriata.

Se dovessi descrivere l’esperienza di Musicultura con tre canzoni, quali sarebbero?

Scelgo alcune delle canzoni del Festival, perché mi hanno accompagnata per tutta l’esperienza: Nicareddu di Nico Arezzo, Va Tutto Bene di Bianca Frau e Quadri d’autore di De.Stradis.


 

Paola Turci e Carolina Di Domenico al timone delle serate conclusive di Musicultura 2024

Paola Turci e Carolina Di Domenico: le abbiamo già viste sul palco di Musicultura lo scorso anno – l’una come ospite, l’altra già come conduttrice – e grazie al loro percorso professionale non hanno di certo bisogno di presentazioni. In occasione delle due serate conclusive della XXXV edizione del Festival della Canzone popolare e d’Autore, hanno calcato insieme il palco dello Sferisterio; coppia inedita alla conduzione, ottime ascoltatrici sempre attente a mettere la musica al primo posto, si sono dimostrate da subito capaci di offrire al pubblico competenza, serietà, intensità, sensibilità, ma anche allegria ed entusiasmo. Tra parole chiave e consigli musicali, hanno raccontato di questa esperienza alla redazione di Sciuscià.

Entrambe siete di casa a Musicultura: Paola fa parte da molti anni del Comitato Artistico di Garanzia ed è stata ospite in più occasioni; Carolina è già stata conduttrice del Festival lo scorso anno. Come è andata questa edizione in cui avete calcato il palco insieme?

C.D.D: Già prima di iniziare ero certa che, come lo scorso anno, i ragazzi sarebbero stati i protagonisti assoluti della manifestazione; hanno avuto modo di esprimersi e anche di entrare in contatto con gli ospiti che ci sono stati, che credo li abbiano arricchiti con il loro prezioso bagaglio di esperienza. Dal palco, poi, ho avuto la sensazione che il pubblico dello Sferisterio sia stato capace, anche solo con un ascolto, di affezionarsi ai ragazzi e ai loro brani. Spero, e in realtà penso, che abbiano lasciato il segno.

P.T: Credo fortemente nel valore artistico e culturale di Musicultura; nutro un grande affetto e una profonda stima per Ezio Nannipieri, il Direttore artistico del Festival, che da anni svolge un lavoro di cura e dedizione affinché emergano la qualità e lo spessore dei giovani cantautori all’inizio del loro percorso. Come è andata per me? A fianco della meravigliosa Carolina di Domenico, non potevo che sentirmi “al sicuro” per questa mia prima esperienza da conduttrice.

Durante la conferenza stampa di presentazione della fase conclusiva del Festival, avete entrambe affermato l’importanza di fruire della musica con attenzione, per scovare – in un flusso sovrabbondante e caotico – progetti realmente profondi e di valore.  Secondo voi, quand’è che un brano o un disco sono davvero di qualità?

C.D.D: Personalmente faccio molta attenzione al testo. Qui a maggior ragione, visto che siamo proprio al Festival della Canzone popolare e d’Autore, ovviamente è un elemento imprescindibile. Credo che, specialmente nella musica italiana, un cantautore che vuole fare un buon lavoro non possa non dare importanza alla scelta delle parole; poi, chiaramente, anche la musica ha il suo peso. In generale, a mio avviso, è fondamentale che alla base di un progetto ci siano tanta ricerca e la volontà di produrre qualcosa di diverso e personale.

P.T: Chi fa musica e la ascolta da sempre riconosce subito lo scopo che si prefigge la canzone e dove vuole arrivare. Fare musica, per me, significa liberare l’arte che è in noi, slegata da schemi, regole e vincoli: è così che si fa qualcosa di davvero autentico.

Se doveste descrivere Musicultura in tre parole, quali sarebbero?

C.D.D: Famiglia, parole e note.

P.T: Viva, libera, vitale.

Salutiamoci con qualche canzone: quale brano vi dedichereste a vicenda e quale, invece, dedichereste ai vincitori di Musicultura?

C.C.D: A Paola dedicherei Grace di Jeff Buckley; ai vincitori Liberi tutti dei Subsonica.

P.T: Io sceglierei, sia per noi che per gli otto vincitori, tutte le canzoni di questa edizione, che mi girano ancora nella testa senza riuscire ad escluderne nessuna: sono state la mia colonna sonora di questa bellissima avventura.


 

“Le parole delle canzoni”: con Treccani, un incontro tra musica e letteratura

Musicultura è il Festival della Canzone popolare e d’Autore, in cui costantemente intrecciate sono parole e musica. E durante gli incontri de La Controra, note, testi, libri e suoni sono protagonisti; quest’anno, a rendere ancora più chiaro questo inscindibile legame è stato l’evento realizzato in collaborazione con Treccani, Le parole delle canzoni. Renzo Rubino, cantautore di talento e vincitore del Festival nel 2011, e Marco Peano, apprezzato scrittore, hanno dialogato sull’uso delle parole nel linguaggio musicale, riservando particolare attenzione al significato dei lemmi “nostalgia” e “amore”, consultandoli prima sul vocabolario e arrivando poi al significato profondo e soggettivo di cui ognuno può rivestirli. I due artisti hanno condiviso con il pubblico le loro riflessioni su come la musica e la letteratura possano incrociarsi e arricchirsi, animando un incontro emozionante e ricco di contenuti, rivelatore delle sfumature e dei segreti del processo creativo.

L’evento si è aperto con un’esibizione di Rubino, che ha cantato Cara, uno dei brani più amati di Lucio Dalla, e Il postino, il suo pezzo che narra la storia d’amore tra due uomini, ispirazione per il quale è stata Cinzia Otherside, personaggio del fumetto Rat-Man. Poi è stata la volta di Marco Peano, che ha preso la parola esprimendo la sua ammirazione proprio per la capacità di Rubino di raccontare attraverso la musica: «Ti sei dato il compito di fotografare le storie che stanno per cambiare; per fare questo bisogna necessariamente essere bravi a scegliere e scovare le parole giuste».

«Parlare di nostalgia e amore è come immergersi in un oceano di emozioni», ha continuato poi l’autore de L’invenzione della madre e Un bacio in bocca, che nei suoi scritti cerca sempre di catturare l’essenza di sentimenti tanto personali quanto comuni e universali, come la nostalgia, tema che lo affascina particolarmente: «È la mancanza di qualcosa – spiega – che non abbiamo più, ma anche il desiderio di tornare a casa, a un luogo o a un tempo in cui ci sentivamo completi». Rubino ha invece raccontato un aneddoto relativo alla genesi delle sue canzoni di cui protagonista è stata la parola “ispirazione”: «Per me è fondamentale. Non scrivo mai in maniera costruita, ma aspetto che mi raggiunga il sentimento giusto, come appunto la nostalgia. Quest’ultima, nel mio caso, è indissolubilmente legata a mia nonna, donna austera ma dolce, una figura che ha avuto un impatto enorme sulla mia vita. Le ho dedicato una canzone, Patchouli, perché quella è la fragranza che mi ricorda».

Treccani; un cantautore, uno scrittore e il peso specifico delle parole: in un contesto del genere, potevamo noi giornalisti in erba della redazione di Sciuscià esimerci dall’approfondire? No, non potevamo. E infatti abbiamo fatto qualche domanda in più ai due protagonisti dell’evento. Siamo partiti giocando in casa: cosa evoca la parola Musicultura? «Un abbraccio, due identità̀ diverse, due realtà̀ diverse – ha risposto Peano – che si incontrano a metà strada e generano qualcosa di nuovo». E quel qualcosa è ben noto a Renzo Rubino: «In me evoca l’opportunità data ai ragazzi di essere già considerati come professionisti; io mi sentivo trattato così, avevo dei tecnici pazzeschi che erano attenti a ogni mio movimento e così tutto lo staff. È stato come fare un primo passo verso il mio futuro».

Altra domanda, altra parola, che stavolta è un termine che ricorre spesso nei libri di Peano: “identità”: «Sicuramente – spiega lo scrittore – è qualcosa che continua a sfuggire perché́ cambiamo nel tempo, a seconda delle esperienze che viviamo, e quindi siamo molte persone in diversi momenti. Resta il fatto che diventa inafferrabile e molto difficile capire chi siamo. Dunque, la parola identità̀ è una parola che continua a cambiare forma. Ed è bello che sia così». Per Rubino – che dal 2019 ha dato vita a “Porto Rubino”, festival nell’ambito del quale gli artisti si esibiscono suonando nei porti più belli della Puglia, scegliamo inevitabilmente la parola “porto”: «Per me è un luogo pieno di contaminazioni culturali ed è sinonimo di salvezza; quando si è in mare, nel momento in cui si inizia a vedere il faro, il porto appunto, si prova un senso di tranquillità perché si ha un posto da cui partire e in cui tornare».

Chiudiamo rivolgendo un ultimo quesito che riguarda proprio il più fatato dei regni delle parole: la scrittura. «Quali sono, a suo avviso, le sfide più grandi che gli scrittori italiani devono affrontare oggi?», chiediamo a Peano. «Io penso – risponde – che la narrativa italiana sia in ottima salute, seppur non sia sempre così conosciuta, e le sfide sono sempre quelle di cercare di fare i migliori libri possibili e raccontare le migliori storie possibili con tutti gli strumenti a disposizione, senza pigrizia». E utilizzando le parole giuste, ovviamente.


 

Alessandra Campedelli sul palco di Musicultura 2024

Con la nazionale di pallavolo femminile sorde dell’Italia ha conquistato una medaglia d’oro agli Europei del 2019 e tre d’argento, una ai Giochi Olimpici, una ai Mondiali e l’ultima agli Europei U21; nella stagione 2022-2023 è scesa in campo come CT della nazionale femminile dell’Iran, che non saliva sul podio dal 1956, vincendo la medaglia d’argento agli Islamic Games; ha poi accettato l’incarico di allenare la femminile senior del Pakistan, da cui è da poco di rientro, e oltre all’attività sul campo, è docente di educazione fisica e sostegno: stiamo parlando di Alessandra Campedelli che, ospite sul palco dello Sferisterio e a La Controra di Musicultura 2024, nell’ambito di un evento organizzato in collaborazione con Fisiomed, ha regalato al pubblico maceratese la testimonianza di un’esperienza di grande intensità. «Credo nello sport – ha affermato – perché come la musica è in grado di creare ponti; credo nello sport come agente di coesione sociale e di aiuto verso gli altri, perché per me è importante sapere di potere aiutare. Per questo, laddove le donne vengono messe in condizione di non poter far sentire la propria voce, malgrado abbia temuto per la mia incolumità, ho cercato di prestar loro la mia». E quella stessa voce ha dato vita anche a quest’intervista rilasciata alla redazione di Sciuscià.

La sua carriera ha spaziato da ruoli in squadre locali fino alla guida di nazionali importanti. Qual è stata la sfida più significativa che ha incontrato nel passaggio dalla gestione di piccole realtà sportive alla responsabilità di guidare una nazionale come quella dell’Iran?

 Non farei troppe differenze tra le varie esperienze: tutti i ruoli che ho affrontato mi hanno fatta crescere a modo loro. Mi sono spesso ritrovata a non vestire più i panni di una semplice allenatrice, ma a dover gestire tutto il resto: lo staff e le federazioni non erano affatto abituati a lavorare con le donne.

Ecco, appunto: durante la sua carriera, ha dovuto affrontare situazioni di forte impatto politico e sociale, come nel caso delle proteste in Iran. Come bilancia il ruolo di allenatrice con le responsabilità etiche e personali in contesti così complessi?

Mi concentro solo sul mio buon lavoro; per farlo, ho bisogno di un ambiente che sia funzionale; se così non è ho necessità di crearlo. Lavorare in ambienti dove le donne ancora non conoscono la piena indipendenza mi fa capire che ci sono ancora molti passi in avanti da fare.

Ora che è impegnata ad allenare la nazionale femminile del Pakistan, quali sono i suoi obiettivi a lungo termine per sviluppare il talento e la crescita del movimento pallavolistico in questa realtà?

Lavorare in questi paesi è fondamentale: grazie allo sport, le ragazze possono emanciparsi e uscire dal proprio nucleo. Così facendo, le atlete migliorano il loro livello culturale, studiando. Un chiaro esempio di come lo sport non sia soltanto attività fisica ma una formazione a 360 gradi. 

Lei è anche docente di sostegno didattico per alunni con disabilità; cosa porta in campo e nel suo ruolo di allenatrice – quali competenze, quale particolare sensibilità – del lavoro in un ambito così delicato?

Essere insegnante di sostegno e allenatrice contemporaneamente mi ha portato a sviluppare sensibilità diverse. Un ruolo è stato di supporto all’altro. Lavorare con studenti con disabilità ha rafforzato in me la consapevolezza di usare abilità comunicative diverse dalle tradizionali. Ho spesso lavorato con ragazze sorde, quindi ho imparato a utilizzare il linguaggio non verbale per comunicare con loro.

Chiudiamo l’intervista con una piccola curiosità: qual è il suo rapporto con la musica e come influisce, se lo fa, sulla sua attività professionale e personale? Per esempio, utilizza mai qualche sottofondo sonoro durante i suoi allenamenti? 

La musica è un elemento fondamentale nella mia vita e quindi anche nel mio lavoro. Faccio ascoltare musica alle mie ragazze nei diversi momenti della preparazione per le partite. Dico sempre che non bisogna essere degli sportivi bensì degli atleti: unire sport e musica è il segreto per crescere meglio.


 

E Musicultura se la ride con Alessandro Bianchi

In scena è Lesc Dubrov, altrove Alessandro Bianchi: diplomato alla Scuola del Teatro Stabile di Genova, dal 1995 alterna radio, cinema e televisione, passando dalle imitazioni per Quelli che il Calcio a ruoli da conduttore di talk show. Da sempre inventa personaggi originali e surreali e ha portato sul palco di teatri di mezza Italia spettacoli comici da one man show. Prima della sua esibizione allo Sferisterio, si è raccontato così alla redazione di Sciuscià.

Cosa l’ha spinta a creare il personaggio di Lesc Dubrov e come ha sviluppato la sua personalità e il suo background di diplomatico lituano?

Lesc Dubrov rappresenta il mio stile di massima resa con minimo sforzo: parto da un testo che interpreto con il corpo anziché impararlo a memoria. Questa idea è nata a Genova mentre osservavo un comico canadese che leggeva parole in italiano senza comprenderle. Dopo aver avuto l’idea, dovevo creare il personaggio: inizialmente avevo pensato a un mendicante, ma non avrebbe funzionato perché avrebbe suscitato compassione anziché risate. È stato a Parma che mi è venuta l’intuizione del politico europeo lituano. Interpretare questo ruolo mi ha permesso di capire quali sono i miei punti di forza e quali no.

Lesc Dubrov, ancora lui, sfrutta la sua posizione per viaggiare e divertirsi. In che modo questo aspetto del personaggio si riflette o contrasta con le sue esperienze personali o con le sue osservazioni sulla politica contemporanea?

Fondamentalmente, credo che il libero arbitrio non esista. Ritengo che l’uomo sia “difettoso”: se può soddisfare un desiderio o un vizio, lo fa. Oggi, non riesco a comprendere tutti i privilegi di cui i nostri politici si avvalgono per adempiere ai loro compiti. Questo è uno dei molteplici motivi per cui penso che ci sia una mancanza di morale e di etica nella società contemporanea.

Tra i suoi spettacoli one-man show come Basilicanova Power, Faccia di Cane e altre bestie e Alessandro Bianchi Live, quale le è rimasto più a cuore e perché? Può condividere un aneddoto memorabile legato a uno di questi spettacoli?

Basilicanova Power è stato il mio primo spettacolo solista. Con Faccia di Cane e altre bestie abbiamo migliorato il precedente show aggiungendo gli elementi che avevamo capito piacere al pubblico. Alessandro Bianchi Live rappresenta il meglio del meglio, raccolto nel corso di anni di spettacoli e teatro. Dal mio punto di vista, la chiave è interfacciarsi con il pubblico e coinvolgerlo. L’esperienza più bella che porterò sempre con me è il privilegio di aver viaggiato per tutta l’Italia, da comune a comune, scoprendo nuove realtà, dialetti e tradizioni.

Durante la sua carriera ha lavorato in vari ambiti come radio, cinema e televisione. Quali sono le principali sfide che ha affrontato nel passare da un medium all’altro, e come queste esperienze hanno influenzato il suo lavoro teatrale?

Ogni mezzo ha il suo approccio. Il segreto è prepararsi e studiare per gestire i diversi contrattempi. Live, cinema, teatro, televisione: ogni canale ha le sue problematiche specifiche. Una volta mi è persino capitato di fare una diretta radiofonica di due ore senza accendere il microfono. Ma sbagliando si impara, e ho capito che l’importante è documentarsi al meglio prima di affrontare nuove sfide mediatiche.

Oltre al suo variegato percorso artistico, ci piacerebbe conoscere meglio il suo rapporto con la musica: gioca un ruolo particolare nella sua vita quotidiana o nella sua preparazione artistica? Se sì, come la utilizza per ispirarsi o concentrarsi sui suoi lavori?

L’amore per la musica nasce dalle mie radici, dalla mia città, Parma, che ha dato i natali al grandioso Giuseppe Verdi. Però è un amore non corrisposto; io la amo, ma lei non ama me: mi dilettavo a suonare, ma non sono mai riuscito a crescere tecnicamente e a perfezionare le mie doti. In qualche modo però mi ispira: mentre ascolto i testi, mi piace soprattutto osservare l’espressione facciale dei musicisti così da trarre ispirazione per i miei pezzi.


 

Lo Sferisterio si scatena al ritmo della musica di Enzo Avitabile

Per descrivere Enzo Avitabile e la sua incredibile carriera servirebbero molte, molte parole. Ma noi scegliamo le tre che ci sembrano più rappresentative: dialetto, sassofono e ritmo. Ospite della serata finale di Musicultura 2024, l’artista napoletano ha coinvolto il pubblico con una performance ricca di un’energia che, come sempre accade con lui, sa trasformarsi da carezza che rasserena a onda che travolge.

Maronna Nera, Don Salvato’, Tutt’egual song’ ’e criature, Thalassa cardia, Aizamm na’mana e Salvamm o munno, questi i brani che ha eseguito sul palco dello Sferisterio. E in qualche maniera Avitabile il mondo lo ha salvato davvero, con la speranza di cui la sua musica si è sempre fatta veicolo. Anche per questo, Musicultura ha deciso di omaggiarlo con un riconoscimento: la Targa agli alti Meriti artistici a – questa la motivazione del premio – un “cantore dell’anima, poeta generoso, che ha forgiato uno stile dove sacro e profano, storia e quotidianità si fondono in una visione”. Visione che ha sempre puntato, lo afferma sul palco Avitabile stesso, a “conoscere quante più possibili culture musicali”. Anche quelle dei cantautori più giovani, perché ormai da anni è membro del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura.

Prima della sua esibizione, ha rilasciato alla redazione di Sciuscià quest’intervista, che parte inevitabilmente da lì, le origini. Dalla città di Partenope, il luogo da cui tutto parte e a cui tutto torna.

Una costante nella sua carriera, e nella sua vita, è Napoli, del cui dialetto sono intrisi i testi delle sue canzoni, che fa da sfondo anche a molti film e documentari per cui ha composto le colonne sonore, tra cui Passione, del regista americano John Turturro. Quali sono i valori che più la legano a questa città? Che immagine ne vuole far trasparire attraverso la sua musica?

Napoli è la casa madre, è il luogo da cui si parte e a cui si torna. E non ha bisogno di me per trasferire la sua immagine, perché la sua storia e la sua identità sono chiare: è profondamente autentica, ed è questo il valore che più voglio rappresentare. Quanto al film di John Turturro, l’idea nasce traendo spunto da un altro regista, Jonathan Demme, che realizzò una pellicola sulla mia vita e la mia musica, Enzo Avitabile Music Life. Di lì l’interesse di Turturro, con il quale poi sono finito a collaborare per il documentario musicale Passione. Mi piace lavorare con i registi; per esempio, anche in Parthenope, di Paolo Sorrentino, ho collaborato a due brani strumentali: comporre per il cinema è una sfida che accetto sempre.

Tra le varie canzoni del suo album Easy, pubblicato nel 1994, è presente A livella, trasposizione in musica della poesia di Totò. Secondo lei, cos’hanno in comune poesia e musica? Come mai ha scelto questo titolo in particolare?

Più che usare i termini “poesia” e “musica”, sceglierei “parole” e “suoni”, proprio perché la parola diventa suono. Insieme, questi due elementi creano quell’effetto emozionante che riesce ad andare da cuore a cuore e a superare la retorica. Per quanto riguarda A livella, invece, l’ho scelta per il messaggio che il grande Totò ha voluto lasciarci, che deve essere riconosciuto e ricordato da tutti, nel tempo e nello spazio: la morte rende tutti uguali.

Nel corso della sua carriera ha avuto modo di collaborare non solo con diversi artisti italiani, tra cui Edoardo Bennato e Pino Daniele, ma anche con grandi artisti internazionali come Richie Havens, James Brown, Tina Turner e molti altri, sperimentando così diversi generi. Quanto è importante la dimensione della condivisione e della collettività nel fare musica?

Ho suonato con tutti i più importanti artisti della world music, della soul music e poi, in un processo di “disamericanizzazione” del linguaggio, ho collaborato con grandi cantautori della musica italiana. Penso che la condivisione e la collettività nella musica siano molto importanti, perché ogni artista ha uno stile e un genere che lo contraddistinguono dagli altri, e quando vari generi e stili riescono a unirsi tra loro può venir fuori qualcosa di davvero bello e innovativo.

Enzo Avitabile – Sferisterio

Nel 2009 ha pubblicato il suo libro didattico Scale rare e ritmi del mondo per far conoscere la musica di diversi popoli. Quanto è importante per lei scoprire culture musicali tanto distanti dalla sua?

Non è importante: è vitale! Sono una persona estremamente curiosa in ambito musicale e quindi non voglio mai privarmi di nulla, per questo ho voluto fare un trattato sulle scale rare, ovvero le scale del mondo che non venivano praticate nel sistema temperato; quelle che ho approfondito nel testo vanno a studiare la trasposizione semi-tonale, che serve per utilizzare tutti gli strumenti. Credo che sia fondamentale non perdere questa conoscenza.

Sacro Sud è un progetto musicale che prende il nome dall’omonimo album pubblicato nel 2006. Si tratta di un insieme di concerti inediti e di incontri particolari, caratterizzati dal connubio tra musiche sacre e canti laici, in cornici particolari come, per esempio, la Basilica di San Giacomo degli Spagnoli. Perché ha scelto proprio questi luoghi? Le va di raccontarci come e perché nasce questo progetto?

Sì, Sacro Sud è un progetto di musica sacra e popolare, di sound devozionali scritti da me, il cui scopo è far avvicinare le persone a questi generi diversi e particolari, che non tutti conoscono, che secondo me sono da scoprire. Al progetto è legato un festival, che organizzo con il mio produttore Andrea Rosa: portiamo il pubblico in posti nascosti, chiese importanti del centro storico e delle periferie. Luoghi che voglio valorizzare, soprattutto perché li ritengo perfetti per l’evento.


 

Forme di comunicazione e generazioni a confronto: Diego “Zoro” Bianchi ospite a Musicultura

La Controra 2024 si chiude con un incontro tra gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino e Diego Bianchi, in arte Zoro. Conduttore televisivo, blogger, youtuber, autore e regista, la sua è una figura capace di mantenersi solida e riconoscibile, in ogni medium e in ogni ruolo; il suo è un lavoro composito, che parte dalla passione per la politica, per la musica, per la vita sociale e civile e arriva a fare di questi temi qualcosa di popolare e condivisibile. Durante l’evento, moderato dal conduttore radiofonico John Vignola, si è raccontato rispondendo alle domande preparate per lui proprio da noi studenti, a partire dal percorso universitario, fino ad arrivare a Propaganda Live, con la sua inconfondibile ironia.

Zoro e gli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino

«Innanzitutto, grazie: è molto bello ritornare qui. Le Marche, per motivi familiari, sono la mia seconda casa e sono davvero molto affezionato alla vostra Regione››: saluta così il pubblico che, numeroso, ha deciso di assistere all’evento. Poi, via all’intervista, che parte facendo un piccolo passo indietro, a quando Diego Bianchi non era ancora Zoro. Per lui non è la prima volta a Musicultura: è già stato ospite in più occasioni, fa parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival e, forse lo sanno in pochi, nel 1996 è stato concorrente dell’allora Premio Recanati con gli Original Slummer Band. «Dobbiamo davvero ricordarlo?» scherza, e poi racconta come è andata: «È vero, ho avuto un tentativo di vita parallela da musicista con questa band. Abbiamo prodotto anche quattro o cinque dischi, ma all’epoca non esistevano i social e le possibilità di emergere erano sicuramente minori di adesso. Noi stavamo quasi per farcela, abbiamo calcato i palchi di alcuni importanti concorsi nazionali, come Musicultura. Poi, però, non abbiamo sfondato definitivamente e abbiamo fatto tutti altro nella vita».

Parla anche, con l’ironia che lo contraddistingue, del ruolo che lo vede impegnato a selezionare i vincitori del Festival: «Ora faccio parte del Comitato artistico di Garanzia di Musicultura e, ovviamente, ne prendo parte con la giusta componente di sadismo di chi non è riuscito a fare il musicista nella vita. Scherzo: quando mi capita, in generale, che qualche artista emergente mi consegni il suo disco per farmelo ascoltare, mi si stringe il cuore, perché l’ho fatto anch’io e conosco il valore di quel gesto».

Lasciato nel cassetto il sogno musicale, il percorso di Zoro, agli albori, non segue traiettorie precise; nessun piano studiato dal principio, ma tanta voglia di fare e di parlare delle sue passioni: «Mi sono diplomato al liceo classico e laureato in Scienze Politiche. Sapete, chi vuole fare il medico studia medicina; chi vuole fare l’avvocato, giurisprudenza. Io non avevo nessuna di queste folgorazioni, ma in compenso avevo tantissimi interessi. Non ho mai programmato nulla e non ho seguito un piano preciso: anzi, non lo avevo proprio. Ho fatto molti stage e, a un certo punto, ho avuto la prontezza di mandare il mio curriculum nel posto giusto al momento giusto, iniziando così a lavorare in uno dei portali online più famosi del mondo».

Inevitabile, allora, la domanda successiva, soprattutto se consideriamo che a condurre quest’intervista sono due universitari: quanto è stato utile quel percorso di studi? «La mia formazione umanistica – risponde – si è rivelata fondamentale in quel contesto: tutti quei portali online erano pieni di ingegneri che programmavano, non c’era nessuno che scrivesse qualcosa e c’era bisogno di testi. Ho cominciato come responsabile del canale viaggi, poi mi sono allargato alla musica, alla politica, al calcio e a tante altre cose; le stesse di cui poi ho iniziato a parlare nel mio blog».

Ecco il primo tassello di una carriera nutrita di esperienze, La Z di Zoro, il suo blog, appunto, a cui fanno seguito un canale YouTube, rubriche su quotidiani e settimanali e, nel 2013, la conduzione di un primo programma, Gazebo. Ma l’esordio televisivo avviene qualche anno prima, quando i video di Tolleranza Zoro trovano spazio in Parla con me, programma di Serena Dandini in onda su Rai 3: si tratta del primo caso in cui un prodotto nato sul web viene trasferito in televisione mantenendo inalterato il format iniziale. Nonostante il salto dalla sfera più intima del blog al piccolo schermo, Diego Bianchi mantiene intatto il suo personale modo di esprimersi e di comunicare.

«Quando mi chiesero di portare la mia rubrica in televisione, non sapevo – racconta – cosa aspettarmi e quanto sarebbe durata. Mi ricordo, però, che la prima cosa che chiesi fu di poter lavorare esattamente con gli strumenti che utilizzavo a casa, per non alterare e snaturare il mio linguaggio: volevo semplicemente continuare a fare le mie cose e vedere se funzionavano anche a un livello di risonanza maggiore, ed è andata bene». Dunque, originalità ed efficacia alla cui base c’è la volontà di andare dritto al cuore dei contenuti, con concretezza ed essenzialità: «A prescindere da tutte le teorie sui rapporti tra mezzi e contenuti, questi ultimi erano ciò che più mi interessava: mi premeva metterli al centro. Ho sempre fatto le cose “co ‘na scarpa e ‘na ciavatta”, cioè con i pochi mezzi che avevo e con le mie sole capacità, che però cercavo di sfruttare al massimo».

Dal 2017 inizia l’esperienza di Propaganda Live, programma entrato in pianta stabile nel palinsesto di La7, in cui sono ancora presenti i suoi reportage, che sembrano conservare quello stile di inizi anni 2000 e una componente che noi abbiamo definito “artigianale”; quando glielo diciamo, risponde scherzando: «Praticamente mi state chiedendo perché sono così scarso e continuo a fare le cose così male?». Poi spiega: «Per i miei reportage registro moltissimo, mi capita di tornare a casa magari con cinque o sei ore di riprese; poi, riguardo tutto e mi occupo del montaggio in autonomia. Sembra facile ma non lo è; si tratta di servizi dallo stile semplice ma elaborato, c’è moltissimo lavoro dietro».

Per concludere l’intervista, una curiosità: se Diego Bianchi non fosse diventato Zoro, l’avremmo incontrato in giacca e cravatta seduto dietro qualche scrivania oppure avrebbe trovato il modo di essere Zoro anche senza le telecamere accese? Lui risponde così, salutando i ragazzi e il pubblico maceratese con un augurio rivolto proprio agli studenti: «Durante tutta “la mia vita precedente”, ero sempre in giacca e cravatta; forse per questo adesso mi vedete solo in maglietta. Non so cos’altro avrei fatto; mitomania per mitomania, forse il musicista o il calciatore. Scherzi a parte, aldilà dell’essere Zoro o meno, ho seguito le mie passioni e avuto la fortuna di fare un lavoro che mi piace: è questo quello che auguro a voi giovani».


 

La finalissima: secondo atto

Ultimo atto. Seconda serata. È tutto pronto, sul palco dello Sferisterio di Macerata, per la finalissima di Musicultura 2024.

Le due conduttrici, Paola Turci e Carolina Di Domenico, annunciano la performance della prima vincitrice: Anna Castiglia con Ghali, “un pezzo – spiega l’autrice – che parla di vittimismo eclettico: chiama in causa chiunque scarichi le colpe sugli altri pur di non assumersi le proprie responsabilità”.

Anna Castiglia – Musicultura 2024

Il secondo a esibirsi è Nyco Ferrari sulle note di Sono fatto così. “Con questo brano ho deciso di farmi conoscere, così che il pubblico si fidasse di me”: racconta il giovane cantautore, che poi aggiunge: Mi esibisco sempre scalzo perché voglio sentire meglio le vibrazioni del palco e creare una connessione con chi mi ascolta”.

Nyco Ferrari – Musicultura 2024

È ora la volta di Bianca Frau, che presenta il brano Va tutto bene. A proposito: “Quand’èle chiedono le due presentatriciche va davvero tutto bene?”. “Va davvero tutto bene – risponde senza esitare – solo quando canto”.

Bianca Frau – Musicultura 2024

Il cielo è invece il brano di Eugenio Sournia, che dopo l’esibizione al piano, spiega al pubblico dell’Arena: Questa canzone parla della nostalgia che si nasconde dietro alla bellezza e ai bei ricordi.

Eugenio Sournia – Musicultura 2024

Spazio anche alla comicità a Musicultura. A calcare il palco è il primo ospite della serata, Alessandro Bianchi, che veste i panni del suo alter ego Lesc Dubrov, un diplomatico europeo originario della Lituania. “Tutto nasce in un teatro osservando un comico canadese che leggeva parole in italiano senza conoscerlo”, racconta l’artista riguardo alla genesi del suo personaggio.

La serata prosegue con il quinto vincitore del Festival, De.Stradis, che si esibisce sulle note di Quadri d’autore e spiega come il suo pezzo sia nato da un momento di distacco e di allontanamento”. E prosegue: Quando scrivo penso al mio quotidiano, facendomi suggestionare dai colori, dall’arte e dai suoni”.

De.Stradis – Musicultura 2024

Spazio a Helle con la sua Lisou. “Questa canzone – confida la cantautrice bolognese dopo l’esibizione – parla di una persona in particolare. Non so se lei lo sappia, ma forse meglio così”.

Helle – Musicultura 2024

Carlotta Proietti è la seconda ospite della serata. Sì, si tratta proprio della figlia del grande Gigi, che racconta così del suo rapporto col papà: “Mio padre mi ha contagiato con la sua passione per la musica”. E musica sia, allora. Dopo il suo omaggio a Gabriella Ferri con Il valzer della toppa, Paola Turci raggiunge l’attrice sul palco; insieme regalano al pubblico uno dei più grandi successi della tradizione romana, Tanto pe’ cantà.

Si torna poi al concorso e Nico Arezzo si esibisce sulle delicate note di Nicareddu, spiegando: “Questa è la storia di un bambino che cresce in Sicilia ma che purtroppo deve lasciare la sua terra natale. È un pezzo che parla di me: ogni tanto ho bisogno di ritornare a casa e di ascoltare il mare”.

Nico Arezzo – Musicultura 2024

L’ultimo progetto artistico vincitore a salire sul palco è quello del duo The Snookers, a Musicultura con Guai. “Ci siamo conosciuti a scuolaspiegano Anita Maffezzini e Federico Fabani abbiamo iniziato a suonare per gioco e da lì non abbiamo più smesso. Essere un duo ci permette un maggior confronto e una visione più ampia della nostra arte”.

The Snookers – Musicultura 2024

La serata prosegue con un momento speciale e sul palco sale Giancarlo Giulianelli, il Garante per i Diritti della Persona Regione Marche, che racconta al pubblico dello Sferisterio de “La casa in riva al mare”. Si tratta del progetto grazie al quale alcuni detenuti della casa di reclusione Barcaglione hanno avuto modo dapprima di partecipare a laboratori musicali organizzati da Musicultura, poi di eleggere il loro vincitore preferito. La Targa La Casa in riva al mare viene quindi consegnata alla cantautrice Helle, raggiunta subito dopo dagli altri vincitori e da Paola Turci per regalare al pubblico l’esecuzione del brano di Lucio Dalla dal quale il progetto prende il titolo.

Le emozioni non terminano qui: è tempo di un’altra ospite. A calcare il palco dello Sferisterio è un’artista dalla voce inconfondibile, Nada, che si esibisce in Senza un perché, Stasera non piove e In mezzo al mare.

A chi va il Premio della Critica? A ricevere il maggior apprezzamento da parte dei giornalisti della sala stampa del Festival è il cantautore livornese Eugenio Sournia, che si aggiudica così la Targa Piero Cesanelli.

Le esibizioni della serata si concludono con le vibrazioni di un altro mostro sacro della musica italiana, Enzo Avitabile: accompagnato da I Bottari di Portico, il cantautore partenopeo omaggia il pubblico dell’Arena Sferisterio con i brani Maronna Nera, Don Salvato, Tutt’ egual song ’e criature, Thalassa cardia, Salvamm’ o monn. “Voglio approcciarmi a tutte le forme di musica – spiega il compositore – per dare vita a nuove idee musicali”.

Spazio poi a un’onorificenza volta a celebrare l’incredibile percorso artistico di Enzo Avitabile. L’Università di Macerata e l’Università di Camerino premiano Enzo Avitabile per la qualità e la coerenza della sua arte con la Targa agli Alti Meriti Artistici.

E a proposito di novità musicali: chi vince questa XXXV edizione di Musicultura? Il pubblico della Finalissima all’Arena Sferisterio di Macerata premia il progetto artistico della cantautrice siciliana in concorso.

Anna Castiglia, con la sua Ghali, è la vincitrice assoluta della XXXV edizione di Musicultura: si aggiudica il Premio Banca Macerata da 20.000 euro.