1063 partecipanti, mai così tanti in trentadue edizioni del concorso.
Di un aereo si direbbe che ha sfondato il muro del suono, trattandosi di un concorso che ha a cuore la dimensione artistica delle canzoni si può dire che è stata oltrepassata una soglia davvero rimarchevole: quelle delle 1000 iscrizioni. Sono infatti 1063 i partecipanti alla XXXII edizione (2021) del concorso di Musicultura. In trentadue anni non erano mai stati così tanti. Il dato è ancor più significativo se si considera che possono partecipare al concorso solo artisti che scrivono le canzoni che interpretano.
“Direi che almeno due cose sono chiare: la prima è che la pandemia non ha spento l’urgenza di esprimersi attraverso le canzoni; la seconda è che chi coltiva aspirazioni artistiche percepisce Musicultura come un banco di prova credibile“sono le prime parole del Direttore artistico di MusiculturaEzio Nannipieri. “Occorreranno quasi tre mesi – aggiunge – per completare l’esame e la valutazione delle proposte. Sentiamo la responsabilità di questo compito, ci accingiamo a svolgerlo con la passione e la curiosità di sempre. Invio un sincero in bocca al lupo a chi ci ha affidato le proprie canzoni e ringrazio per quello che impareremo ascoltandole”.
Le buone notizie sul fronte del concorso si intersecano con gli incontri che in queste settimane gli organizzatori stanno conducendo con le istituzioni e con la Rai per disegnare un futuro che consenta alla manifestazione di esprimere al massimo tutte le sue potenzialità. “Veniamo da un anno difficile ed istruttivo al tempo stesso – osserva il Presidente dell’Associazione Musicultura Stefano Caperna – l’emergenza pandemica ci ha spinto a sperimentare o consolidare soluzioni cross-mediali che hanno prodotto esiti numerici e di gradimento particolarmente lusinghieri; è una formula che può essere ulteriormente valorizzata, adatta a coniugare con efficacia sempre maggiore radicamento e brand territoriali del festival con la sua proiezione nazionale ed internazionale”.
Musicultura entrerà nel vivo nella prossima primavera con le Audizioni Live, che vedranno confluire a Macerata alcune centinaia di musicisti da tutta Italia e dalle quali usciranno le sedici proposte finaliste. L’iter di selezione successivo del concorso si snoderà nei mesi di marzo, aprile e maggio, per culminare a giugno all’Arena Sferisterio. Lì arriveranno solo otto artisti dei 1061 originariamente al nastro di partenza. Nel designarli avrà un ruolo centrale il Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, che in questa XXII edizione è composto da Francesca Archibugi, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Brunori Sas, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Luca Carboni, Alessandro Carrera, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Teresa De Sio, Niccolò Fabi, Frankie hi-nrg mc,Giorgia, Dacia Maraini, Mariella Nava, Gino Paoli, Antonio Rezza,Vasco Rossi, Ron, Enrico Ruggeri, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi, Riccardo Zanotti.
L’intero percorso di Musicultura 2020 è stata una risposta prudente ma tenace al Covid-19, con la messa in campo appena e dove possibile di prove tecniche di normalità.
Spettacoli live con pubblico in presenza, dirette streaming, trasmissioni TV e radiofoniche (Rai 2, Rai Radio1, Rai Isoradio, Rai 1), servizi di cronaca (TG1, TG2, TG3, TGR, GR1, GR2), contenuti social sono tutti elementi del mix trasversale che ha portato milioni di italiani ad entrare in contatto col festival e con le canzoni in concorso. Qualche dato parziale: 7.812.000 i radioascoltatori raggiunti, 6.839.000 i telespettatori, 6.008.986 le persone raggiunte sui social, 419.067 le visualizzazioni delle dirette streaming.
Le Audizioni Live
FEBBRAIO / MARZO 2020: cinquanta proposte artistiche, più di duecento musicisti per le Audizioni live di Musicultura XXXI. Tutta musica rigorosamente suonata dal vivo, in un teatro storico all’italiana con il pubblico in sala (finché è stato possibile).
Musicultura 2020 si è annunciata come un’edizione da record già alla chiusura del bando di concorso: oltre 760 artisti provenienti da tutta Italia infatti hanno deciso di iscriversi alla XXXI edizione del festival.
Dopo un attento ascolto degli oltre 1500 brani inviati durato più di due mesi, le 50 proposte artistiche ritenute più meritevoli sono state convocate a Macerata per esibirsi dal vivo. Le Audizioni live in programma al Teatro Lauro Rossi sono partite col teatro ricolmo di pubblico, poi, colpite dai primi provvedimenti contenitivi della pandemia, hanno proseguito il proprio iter a porte chiuse, trasmesse tuttavia in diretta streaming Facebook (102.326 le visualizzazioni).
Solisti e gruppi hanno proposto brani del proprio repertorio davanti alla giuria e al pubblico in un emozionante zigzag tra le diverse realtà musicali del nostro paese (qui tutte le esibizioni degli artisti in gara).
“Il pubblico di Musicultura è fortunato ad avere la possibilità di ascoltare ogni anno così tanta buona e così tanta nuova musica.” La rappresentante di lista
Sul palco delle Audizioni sono salite anche due vecchie conoscenze del Festival tornate a Macerata questa volta in veste di ospiti speciali: La rappresentante di lista, già fra i finalisti di Musicultura 2014 e Lucio Corsi, fra i vincitori dell’edizione 2017.
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I sedici finalisti
APRILE / GIUGNO 2020: oltre tre mesi di programmazione su Rai Radio1 e Rai Isoradio per le canzoni dei sedici finalisti del concorso. Un grande evento in diretta televisiva e radiofonica per presentarli dal vivo al pubblico.
Da 50 a 16. Dopo l’ascolto dal vivo delle proposte convocate alle audizioni, la commissione d’ascolto di Musicultura ha decretato la rosa dei sedici artisti finalisti. In pieno lockdown, quando tutto si è spento, Radio Rai ha alzato il volume con le canzoni in gara a Musicultura: dal 5 aprile fino a fine giugno le canzoni finaliste sono state protagoniste assolute delle programmazioni musicali di Rai Radio1 e Rai Isoradio Le trasmissioni Music Club, Radio1 Musica e il canale Rai di pubblica utilità hanno intervistato gli artisti in gara in diretta radiofonica, pubblicato sui canali social contenuti esclusivi loro dedicati e trasmesso le loro canzoni per un totale di otto passaggi complessivi per ciascun artista.
“In una fase così inedita e complicata per il nostro Paese è importante che Radio1 riesca a svolgere pienamente quel ruolo di servizio pubblico che resta il suo patrimonio genetico, dando sempre più spazio alle canzoni in concorso a Musicultura.” Ivano Liberati, vice direttore Rai Radio1
Agli inizi di giugno, Musicultura e Radio1 sono stati tra i primi a sancire il ritorno della musica live in Italia, se pur ancora senza spettatori, con il concerto dei 16 finalisti, un vero e proprio faro di ripartenza per il mondo della musica e non solo. Il concerto è stato infatti il primo evento musicale in Italia con musica suonata dal vivo e “cambi di palco” dopo il lockdown ed è stato trasmesso in diretta radiofonica su Rai Radio1 e in streaming video sulle pagine Facebook di Radio1 e di Musicultura (qui la prima serata – qui la seconda).
Ad accedere alla fase finale del festival solo otto fra le sedici proposte finaliste, selezionate dal prestigioso Comitato Artistico di Garanzia del concorso (che ha individuato cinque nomi); dal voto online del pubblico (che ne ha decretati due) e dalla stessa Musicultura (che ne ha scelto uno).
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L’atto finale
AGOSTO 2020: la grande macchina dello spettacolo dal vivo è ripartita. 2.000 spettatori per le due serate finali. Oltre 240.000 le visualizzazioni per le dirette Facebook. Servizi di approfondimento di TG1, TG3, SkyTg24. Grandi ospiti sul palco insieme ai vincitori del concorso.
Ad ospitare la fase conclusiva del Festival, anche quest’anno, la cornice magica dello Sferisterio di Macerata, con una capienza ridotta di due terzi per garantire il distanziamento del pubblico in sala.
Per il secondo anno consecutivo, la conduzione delle serate finali è stata affidata al cantautore Enrico Ruggeri.
Sul palco gli 8 vincitori (Blindur, Fabio Curto, Hanami, H.E.R., I miei migliori complimenti, La Zero, Miele, Senna) si sono esibiti al fianco di grandi nomi della musica, del teatro, della letteratura come Tosca, Francesco Bianconi, Asaf Avidan, i Pinguini Tattici Nucleari, Massimo Ranieri, Roberto Vecchioni, Antonio Rezza, Bruno Tognolini e Lucilla Giagnoni.
“Musicultura è la prova che esiste ancora una canzone libera, che non ha voglia di essere determinata dal gusto di una massa sconvolgente, ma preferisce chi sente le cose veramente con l’anima giusta, col cuore giusto.” Roberto Vecchioni
Fabio Curto con “Domenica” è stato decretato vincitore assoluto di Musicultura XXXI dal pubblico presente in arena: a lui sono andati i 20.000 euro del premio finale.
Durante le serate finali sono stati assegnati numerosi altri premi: quello per il Miglior Testo del valore di 2.000 euro a Miele, il Premio NuovoImaie (15.000 euro finalizzati alla realizzazione di una tournée) a I miei migliori complimenti; mentre Blindur si è aggiudicato sia il Premio della Critica che la Targa AFI (del valore di 3.000 euro ciascuno).
Un ulteriore ruolo determinante nel far conoscere al grande pubblico le canzoni in gara è stato svolto ancora una volta da Rai Isoradio e da Radio 1 Rai, le cui frequenze, dopo la programmazione delle canzoni finaliste, hanno ospitato anche la diretta radiofonica delle serate finali (qui il video della serata trasmessa in diretta dalle pagine Facebook di Musicultura e Rai 2).
Il meglio di quello che è successo all’Arena Sferisterio è disponibile nello speciale interamente dedicato alla XXXI edizione del Festival, andato in onda a settembre su Rai 2, partner televisivo di Musicultura, ora disponibile qui su Raiplay.
Il 28 settembre di un anno fa si spegneva Piero Cesanelli, ideatore e sino all’ultimo direttore artistico di Musicultura, nonché di Lunaria e della Compagnia. La ricorrenza si accompagna ai primi passi della XXXII edizione di Musicultura – con l’apertura del bando del concorso musicale che Piero ha guidato per trent’anni – e ad una bella notizia: l’istituzione della Targa Piero Cesanelli. Da ora in avanti assume infatti questa denominazione il Premio della critica, l’ambito e prestigioso riconoscimento assegnato dalla stampa ad uno degli otto vincitori di Musicultura.
“È un modo simbolico e al contempo concreto – dichiara l’attuale direttore artistico di Musicultura Ezio Nannipieri – per tenere unito il nome di Piero al concorso che ha diretto per trent’anni, a contatto con la meravigliosa ondata di canzoni che raggiunge ogni anno Musicultura trascinando con sé la creatività musicale di migliaia di ragazze e ragazzi italiani, quelle ragazze e quei ragazzi che Piero è sempre stato bravissimo ad ascoltare, indirizzare e sostenere”.
Intanto, nell’edizione di Musicultura conclusasi un mese fa, la prima senza Piero e a lui dedicata, i riflettori si sono accesi su un aspetto della personalità di Cesanelli meno noto al pubblico, ovvero l’altezza del suo profilo cantautorale. “Pur avendo alle spalle la pubblicazione di dischi, esperienze live e riconoscimenti importanti, – osserva Nannipieri – Piero ha sempre tenuto distinta la propria anima cantautorale dal ruolo di patron del festival. Glielo imponevano un pudore ed un’onestà intellettuale refrattari anche solo all’idea che potesse configurarsi l’ombra di un <conflitto d’interessi>. Ma Piero ha scritto canzoni bellissime, che meritano di essere ascoltate e riascoltate. Così, d’accordo con la moglie Paola, ho proposto a Roberto Vecchioni e ad Enrico Ruggeri di rendere omaggio a Piero, in questa edizione speciale a lui interamente dedicata, interpretando ciascuno un suo brano. La naturalezza con cui due delle firme più nobili della canzone d’autore italiana hanno accolto l’invito, il cuore con cui Roberto ed Enrico hanno apprezzato e fatte proprie le due canzoni loro sottoposte – rispettivamente Sopramilano e Caffè corretto – hanno commosso chi ha avuto la fortuna di conoscere Piero da vicino ed hanno lasciato il segno nel pubblico dello Sferisterio e radiofonico-televisivo”.
I dodici mesi trascorsi dalla scomparsa di Cesanelli hanno dato la piena misura del sentimento genuino di commozione e gratitudine che nel suo ricordo si è acceso tra la cosiddetta gente comune, oltre che tra gli addetti ai lavori. La creatività e l’umanità che hanno reso speciali la vita di Piero e la sua missione artistico-culturale hanno trovato riscontro anche nella sensibilità delle istituzioni, che hanno omaggiato Cesanelli con iniziative tanto significative quanto tempestive. Tra queste la scelta dell’ex Sindaco di Macerata Romano Carancini e della Giunta comunale di legare per sempre il nome di Cesanelli allo Sferisterio – che dal 2005 ospita l’atto finale dell’iter annuale di Musicultura – intitolando a Piero la Gran Sala, recentemente riqualificata, posta al primo piano del glorioso teatro all’aperto maceratese. Similmente si è mosso a Recanati il Sindaco Antonio Bravi, che con la Giunta ha deciso di intitolare a Piero Cesanelli il largo di via Cavour antistante il Teatro Persiani, collegando toponomasticamente in modo imperituro il nome dell’illustre cittadino al luogo che in città rappresenta la culla della musica e dell’arte. Anche l’Università di Macerata, per volere del Rettore Francesco Adornato, ha reso omaggio alla memoria di Cesanelli, consegnando alla moglie Paola il “Sigillo dell’Ateneo” per la lungimiranza e l’impegno profuso da Piero nell’aiutare i giovani a coltivare i loro sogni ed i loro talenti. Nuove iniziative, tese a far conoscere la colorata umanità di Cesanelli, la sua opera d’artista, le sue creazioni di operatore culturale sono al vaglio del comitato di garanti nato per mantenere viva la sua memoria. Inizialmente formato dalla moglie Paola e da una intima cerchia di amici, al comitato ha recentemente aderito anche Niccolò Fabi.
Attrice, sceneggiatrice ed autrice televisiva, Lucilla Giagnoni considera l’arte come panacea di tutti i mali. E proprio all’arte ha dedicato una vita intera: ha frequentato la Bottega di Gassman a Firenze; ha partecipato alla creazione di quasi tutti gli spettacoli prodotti dal Teatro Settimo; ha collaborato con illustri personalità del mondo del cinema, della musica, della letteratura; ha progettato spettacoli, è stata autrice di trasmissioni radiofoniche per laRai. Durante l’incontro nel cortile di Palazzo Conventati, per La Controra di Musiculturaci,ci ha trasportato nella sua variopinta dimensione artistica.
Negli anni ottanta hai frequentato la Nuova Bottega Teatrale di Vittorio Gassman a Firenze e hai lavorato con personaggi importanti. Che insegnamenti hai appreso dalle loro esperienze?
La scuola di teatro è stata una vera e propria scuola di formazione per me. L’insegnante Paolo Giuranna è stato colui che mi ha aperto una grande prospettiva sulla ricerca della lingua italiana. La mia fortuna è stata quella di far parte di un gruppo teatrale molto giovane in cui tutti dovevano essere in grado di fare tutto: dall’imparare a scaricare un furgone allo scrivere testi e parlare con i giornalisti. Questo è stato veramente importante per la formazione della mia persona come artista.
‘’Paesaggi’’ è un progetto teatrale dedicato alla tua terra. Ci puoi raccontare di questo stretto legame con la natura?
Io non sono della terra in cui vivo. Sono fiorentina ma per questioni familiari mi sono trasferita a Novara, in Piemonte, una città in mezzo alle risaie. Ho vissuto per molti anni senza osservare intorno ma quando sono rimasta incinta mi sono resa conto che in quella terra stavo seminando qualcosa. Così cambiò la mia visuale di quel luogo e iniziai a trovarvi un terreno molto fertile su cui posare i piedi per scrivere.
Hai intrapreso un percorso di scrittura e ricerca chiamato ‘’Meditazioni’’, costituito da riflessioni antropologiche, storiche e poetiche. Potresti parlarcene?
All’epoca mi sono resa conto che la mia migliore capacità non era tanto quella di raccontare una storia, cosa che comunque amo fare, ma il saper riflettere sulle domande di oggi e fare un’esegesi della contemporaneità, trovando un punto di connessione tra l’antichità e l’attualità. Le ‘’Meditazioni’’ hanno una loro potenza perché mi hanno avvicinata ad un pubblico eterogeneo; si può dire che io sia andata laddove il teatro di solito non va, ad esempio nei centri spirituali. Inoltre mi hanno aiutata a togliere il velo della rappresentazione, c’è una ragione per cui si sale su un palco e le“Meditazioni’’ rappresentano proprio tutto ciò che è nascosto dietro il percorso di un attore.
Dalla lettura della “Divina Commedia” di Dante Alighieri è scaturita la scrittura di ‘’Vergine Madre’’ (2004).Nel 2007 il monologo ha vinto il Premio Persefone come miglior spettacolo teatrale in televisione. Cosa ti ha spinta a reinterpretare un’opera di tale importanza?
In seguito ai fatti dell’11 settembre 2001, in quanto artista, mi sono quasi sentita in dovere di donare delle parole di conforto alle persone. Come potevo indicare la cosiddetta ‘’retta via’’ quando fuori crollava il mondo? C’era bisogno di donare delle parole di bellezza per uscire dall’inferno. Ho iniziato a fare questo viaggio all’interno della “Divina Commedia” e, proprio come nell’opera, ho intrapreso una catabasi e dopo un’ascesa. Tutto è culminato con un’appropriazione della mia persona. Quest’opera è rimasta attuale perché, quando quest’anno si è riproposta l’idea del tutelarsi da una situazione catastrofica, isolandoci per tre mesi nelle nostre abitazioni durante il lockdown, ho pensato di reinterpretare l’opera per intero.
Dal 1997 insegni narrazione e comunicazione alla scuola Holden di Torino e dal gennaio 2016 sei direttrice artistica del Nuovo Teatro Faraggiana di Novara. Cosa accomuna queste due attività lavorative?
A mio parere tutte le attività svolte da un artista sono simili tra di loro in quanto ciò che caratterizza questa figura è la capacità di essere versatili e poliedrici.
Tra le atmosfere barocche del cortile di Palazzo Buonaccorsi, in occasione della XXXI edizione del Festival, Walter Veltroni racconta del suo ritorno alla saggistica presentando il suo ultimo scritto, Odiare L’odio, “un sentimento livido, una lunga bava di lumaca nella vita di ciascuno di noi. (…) Si infila nelle ferite del nostro tempo e progressivamente ci domina”
L’occasione è stata il pretesto per parlare non solo di letteratura, ma anche di cinema, poesia e tanta buona musica. In compagnia di Michela Pallonari, l’ex sindaco romano si è raccontato genuinamente prima al pubblico de La Controra,dopo alla redazione di “Sciuscià” con questa :
Prima ancora che regista e appassionato di musica, lei è giornalista e politico. La musica è stata da sempre permeata dalla politica e le canzoni sono state utilizzate come strumento di protesta: ritiene che sia possibile individuare una sorta di interconnessione tra politica e musica, considerarle l’una alla stregua dell’altra?
Non credo. Qualsiasi forma di espressione culturale, che sia cinema, teatro o musica può avere una sua ricaduta politica, ma questa non è la forma. È solamente una delle forme attraverso le quali l’espressione artistica si manifesta. Naturalmente, più immediata e meno propagandistica questa forma si rivela e meglio è.Il cinema di Chaplin era un cinema politico, a suo modo: Tempi moderni, Il Grande Dittatore. Abbiamo tante esperienze, ma persino la grande musica d’opera italiana è stata importante durante il risorgimento. Ma non le identificherei. La musica, il cinema e l’arte sono un mondo dentro il quale ci sono vari colori e intenzioni, che poi possono essere di svariati tipi, perfino civili o politico/sociali.
In uscita quest’anno Il concerto ritrovato, docufilm prodotto dalla società statunitense Sony Music e interamente diretto da lei, che riporta in vita quel mondo ormai sparito del pop d’autore di fine anni ‘70 dominato dal prog pioneristico della PFM e dal cantautorato interpretativo di Fabrizio De André. Nel panorama italiano odierno chi identificherebbe come degno erede spirituale degli artisti sopracitati?
La cosa bella di quel concerto era il fatto che era la prima volta che si incontravano due realtà assolutamente separate, quasi contrastanti, cioè la grande musica d’autore di Fabrizio De André e il rock progressivo della Premiata Forneria Marconi, e incontrandosi generavano una musica totalmente nuova. È sempre quello che avviene quando due persone, due idee, due parole si incontrano: ne generano sempre una terza. È una forma di attività procreatrice. Faccio un po’ fatica, oggi, a trovare qualcuno di simile, in grado di fare un’operazione del genere, perché quello è stato veramente di un unicum. Ci sono in America grandi esperienze di questo tipo, ma in Italia non ne trovo alcuna.
“VELTRONI” è il singolo d’esordio, nonché il brano più conosciuto, della GARAGE GANG, gruppo di post-trapper originari di Ostia. La canzone ha riscosso un successo spropositato svettando sin da subito in cima alla classifica dei brani più ascoltati su Spotify. Ha avuto modo di ascoltarla?
L’ho sentita e l’ho trovata molto divertente. Concettualmente diciamo che per arrivare a decodificare il messaggio c’è voluto tempo, però ammetto che la seconda parte della canzone mi identifica bene con la creatura del Partito Democratico che feci nascere tanti anni fa. Sono dunque contento che abbiano avuto successo.
Il 2020 si porta via il gigante dell’arte italiana e pluripremiato compositore Ennio Morricone, suo concittadino, nonché caro amico e seguace politico. Nell’ottobre del 2007 partecipò infatti alle primarie del Partito Democratico come candidato in una lista a suo sostegno. Crede che il legame pluriennale con il maestro abbia influito in una qualche maniera sulla sua passione per la musica e la cinematografia?
Morricone appartiene a quel tipo di concezione della cultura di cui parlavo prima a proposito di De André perché era capace di fare sia la musica dodecafonica che il riff di In ginocchio da te di Gianni Morandi. In mezzo, la meravigliosa musica da film che ha fatto: era questa la cosa che mi affascinava. Non posso dire che sia stato lui a farmi amare il cinema, ma certamente molte delle sue colonne sonore hanno un’incredibile forza evocativa. Penso a Novecento, ai film di Sergio Leone e a quelli di Giuseppe Tornatore, penso a Mission e penso a tutte quelle pellicole nelle quali l’elemento della musica era talmente forte, talmente intrecciato coerentemente con il film, da riuscire a funzionare anche se slegato da quest’ultimo.
Il 2020 è stato anche l’anno del Covid-19. Di fronte all’emergenza sanitaria che ha messo in ginocchio l’intero settore artistico, Musicultura non si arrende e si riconferma come ogni anno. Quale consiglio di sentirebbe di regalare non solo ai vincitori, ma a tutti quegli artisti che non hanno mai smesso di crederci e di proporsi nonostante le inevitabili incertezze di questo periodo?
L’emergenza finirà. Non so se torneremo come prima, meglio di prima o peggio di prima, ma sicuramente ci sarà e c’è ancora bisogno di musica, cinema, e immagini. Anzi probabilmente durante questa tragica esperienza inaspettata che ci è capitata abbiamo avuto tempo e modo di consumare molti più prodotti culturali di quanto facessimo quando la vita era troppo veloce, troppo organizzata. Per cui, continuare. Continuare a scrivere, a fotografare, a cantare, suonare, a dipingere. Questo rende il mondo un po’ migliore quindi l’invito è non smettere e basta.
“Ma non è vero, ragazzo / che la ragione sta sempre col più forte: / io conosco poeti / che spostano i fiumi con il pensiero / e naviganti infiniti / che sanno parlare con il cielo”: ricordate quando nel 2017 Roberto Vecchioni brillava sul palco dello Sferisterio con la magica Sogna ragazzo sogna, lasciando il pubblico di Macerata incantato e, appunto, sognante? Sono passati pochi anni e il nostro Maestro è sempre una conferma quanto a nobiltà d’animo e grandezza artistica. Per la XXXI edizione di Musicultura ha presentato infatti il suo omaggio commovente al caro amico Piero Cesanelli, ideatore del Festival e suo direttore artistico prematuramente scomparso lo scorso anno, ed ha dato qualche prezioso consiglio ai vincitori del concorso. Poco prima del suo ritorno a sorpresa sul palco dell’Arena, abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo in camerino e di confrontarci con lui per questa intervista.
Nel 2018 è uscito il suo ultimo album in studio, L’infinito, pubblicato per suo volere solo in copia fisica e quindi non disponibile nei digital store. Qual è stata la genesi di questo concept album e come mai questa scelta controcorrente, in un mondo di streaming veloce e fruizioni distratte?
È stata una scelta romantica, di contropotere, una scelta dei vecchi tempi, con il pensiero che chi desidera realmente un disco lo va a comprare, senza ascoltarlo per forza a pezzettini, a brandelli qua e là. Del resto, questa mia opera è il frutto di un anno e mezzo di pensieri e sentimenti, di soddisfazioni e paure: credo di avere il diritto di essere ascoltato per intero. L’Infinito è un disco di grande vita. Siamo nel luogo migliore per parlarne, vicino a Recanati: non dobbiamo ricercare l’infinito chissà dove, ma nella nostra coscienza, nelle nostre attitudini o nella nostra forza di vivere.
Nel 1998 ha curato la voce Canzone d’autore dell’Enciclopedia Treccani. La domanda sorge spontanea: ha notato delle innovazioni notevoli nel mondo della canzone d’autore negli ultimi 20 anni?
Tantissimo! Ci sono state tante diramazioni, ma questi anni hanno visto anche l’ingresso prepotente di un altro modo di fare musica d’autore, più rappata e parlata, o forse anche più stressante e violenta in un certo senso. Si è perso forse un po’ l’andazzo della leggerezza poetica degli anni ‘70. Sono però sorti altri generi altrettanto interessanti, con configurazioni della vita e del pensiero differenti, ma si può trovare il bello anche lì. Non sono di certo un passatista, uno che dice “i miei tempi erano altri tempi”: c’erano quelle precise forme di canzone e stavamo dietro a quelle.
Dopo la laurea in lettere antiche e una prima parentesi accademica, ha proseguito per trent’anni la sua attività d’insegnante di greco, latino, italiano e storia nei vari licei. Come ha influito la sua spiccata capacità didattica e intellettuale nella sua carriera cantautoriale?
Nemmeno tanto in fin dei conti: tutto nasce dall’idea di esprimere la storia immane che abbiamo dentro, quella ereditata dal mondo antico, dalla memoria e dalla poesia del passato. Così come raccontavo quei sentimenti a scuola, per dare un senso di continuità alla storia, così faccio anche da sempre nella canzone.
Si è anche distinto nel panorama editoriale italiano dall’esordio del 1983 con Il grande sogno ai più recenti romanzi: Il Mercante di luce (Einaudi, 2014) e La vita che si ama (Einaudi, 2016). Ha nuovi progetti editoriali in cantiere?
Sì, a ottobre uscirà il mio nuovo libro per Einaudi, che a tal proposito è la narrazione di un mio anno di scuola, il 1987, ovvero l’ultimo in cui ho insegnato in un certo liceo. Racconto di come facevo scuola insieme ai miei ragazzi, di cosa parlavamo e del perché. Ne è uscito un libro tra il comico e il pensieroso, un romanzo inaspettato perché molte figure della storia e della filosofia vengono ribaltate e messe in discussione, accettate o meno: insomma, come se dalla cattedra gli si desse un voto.
Dopo la sua partecipazione come ospite della XXVIII edizione, Musicultura la riaccoglie in un anno particolarmente difficile per l’industria musicale e lo spettacolo dal vivo. Come membro del Comitato Artistico di Garanzia, quali consiglio sente di dare agli otto vincitori del festival?
Di sicuro non il consiglio di sfondare chissà dove e chissà come! Musicultura è la prova che esiste ancora una canzone libera, che non ha voglia di essere determinata dal gusto di una massa sconvolgente, ma preferisce chi sente le cose veramente con l’anima giusta, col cuore giusto. Auguro a tutti i vincitori di avere successo e un riscontro, ma non certamente di diventare star: quel tipo di successo effimero nasconde probabilmente qualcosa di sbagliato.
A Musicultura 2020 approda Asaf Avidan, il cantautore israeliano che nel 2012 ha scalato le classifiche internazionali con il brano Reckoning song, confermando così di fatto il suo posto tra i più interessanti esponenti della canzone d’autore dell’ultimo decennio.
Si definisce un cittadino del mondo: dagli esordi a Gerusalemme ha scelto di vivere latranquillità di Colle San Bartolo, vicino Pesaro, dove ha deciso di stabilirsi per lavorare. “Solo i marchigiani si stupiscono di questa scelta – scherza – e a loro rispondo di darmi delle ragioni per non farla: le Marche sono una regione meravigliosa”.
Avidan è un artista eclettico che nel corso della sua esperienza musicale è giunto alla maturità necessaria per esprimersi come solista, proponendo al suo pubblico progetti sempre nuovi e ragionati. Il suo ultimo album, Anagnorisis, in uscita a settembre, ne è una chiara esemplificazione.
È stato la mente creativa di Asaf Avidan & the Mojos, una band folk rock israeliana che ha fondato nel 2006 a Gerusalemme e con la quale ha pubblicato tre album: The Reckoning, Poor Boy/Lucky Man, Through the Gale. Qual era l’idea alla base del gruppo?
È difficile da dire: guardando indietro non è cambiato molto tra quei giorni e quello che è avvenuto dopo, soprattutto a livello artistico e cantautoriale. Ad essere onesti forse non eravamo propriamente un gruppo. Ho studiato cinema e volevo concentrarmi su quella strada, la musica è arrivata dopo.
Ero davvero spaventato e l’idea di avere una sorta di famiglia con cui approcciarmi a questo mondo mi ha aiutato molto. Vivere ogni giorno per quattro anni con queste persone è stato importantissimo dal punto di vista della produzione musicale, sono tutti dei musicisti di talento ed ognuno ha portato qualcosa alla musica che stavamo creando. La mia vena solista rimaneva comunque palese.
Siamo cresciuti negli anni ’90 con i Nirvana e siamo stati influenzati dai Led Zeppelin e Jimi Hendrix, volevamo riportare in auge il folk, il blues e il rock poiché in quegli anni tutto ruotava intorno al pop e all’hip-hop. Questi erano i Mojos.
Nell’ultimo album che abbiamo prodotto si può ascoltare la mia inversione di tendenza: ero pronto a lanciarmi dal trampolino da solo.
Nel 2012 il brano Reckoning Song diventa popolare in Germania grazie a un remix di DJ Wankelmut e viene pubblicato in versione digitale con il titolo One Day/Reckoning Song (Wankelmut Rmx) raggiungendo le prime posizioni nelle classifiche internazionali in paesi come Italia, Belgio, Francia e Paesi Bassi. Com’è stato vivere sulla propria pelle il successo immediato del singolo a livello internazionale?
In realtà è stato piuttosto difficile, il successo mainstream non era affatto pianificato. Naturalmente desideravo sfondare e sono grato per quello che è avvenuto conReckoning song ma il remix non era propriamente mio, la canzone era stata ridotta. Ero spaventato del fatto che le persone mi avrebbero per sempre associato al ritornello One Day remixato. Quando però ho cominciato a pubblicare album differenti mi sono subito reso conto che il pubblico non era stupido,Reckoning song era stato solamente il lasciapassare per conoscere la mia musica, da lì la gente andava alla ricerca di altri miei brani.
Non posso parlare di amore e odio per Reckoning song, avrei preferito che la storia fosse stata scritta in maniera differente ma alla fine dei giochi mi ha introdotto al pubblico internazionale e sono felicissimo di questo.
Proprio dopo il successo di One Day decide di optare per un percorso da solista continuando ad esibirsi dal vivo in versione acustica. A cosa è stata dovuta questa inversione di tendenza?
Avevo deciso di intraprendere la mia carriera da solista già prima dell’uscita di One Day,tanta era la vogliadi dar sfogo al mio mix d’impulsi, ma l’improvviso successo della canzone ha fatto tardare la definitiva separazione dal gruppo. Era come se mi sentissi un po’ confinato con i Mojos, privo di nuovi orizzonti. Il blues e il rock non mi bastavano più. Mi sentivo cresciuto come essere umano e volevo sperimentare cose nuove.
Anagnorisis è il nuovo album che uscirà l’11 settembre. È una parola greca che significa agnizione, che indica non solo l’identità di un personaggio ma anche l’improvvisa consapevolezza di una situazione reale. Qual è stata la genesi di questo ultimo progetto?
Anagnorisis è proprio questo: l’improvvisa presa di coscienza della vera identità da parte di un personaggio, il momento che ci fa uscire dall’ignoranza e ci mette faccia a faccia con la verità. Già prima del lockdown mi sono isolato per scelta, volevo stare da solo dopo dieci anni di concerti e mi sono stabilito nelle Marche, nella tranquillità di Colle San Bartolo. Ho da poco compiuto quarant’anni e mi sento nel pieno di una crisi di mezza età (ride). Quest’album è la ricerca della mia vera identità. L’agnizionefunziona nella finzione, nel dramma, non nella vita vera. Ogni canzone dell’album fa rivivere un piccolo personaggio che è dentro di me e se avrete la pazienza di ascoltare con attenzione verrà fuori il quadro completo di chi sono.
A Musicultura 2020, il suo ritorno sul palco dopo mesi di incertezza dovuti all’attuale emergenza sanitaria: sensazioni?
Sembra una frase fatta ma il palco è veramente la mia vita, quindi ringrazio Musicultura per avermi reso possibile calcarlo in un momento così delicato. Spero di aver saputo esprimere il massimo!
“Quel che presento è musica delle mie fauci, non un tentativo di fare ciò che già so fare, di invadere un campo seminato altrove, ma la prova che la vibrazione può estendersi al di qua dell’intelletto e garantire al giudizio un’estensione musicale”. In questi mesi di reclusione il performer Antonio Rezza non si è fermato, ma è riuscito a modulare suono e pensiero dentro una bocca che ha parlato meno. E che è tornata ad essere prodiga di parole in quest’intervista.
In un mondo in cui lo spettro dell’arte performativa va da Marina Abramovic ad Antonio Rezza, chi è il performer e qual è il discrimine effettivo tra performer e attore, se ce n’è uno?
Il limite che c’è tra il performer e l’attore è la durata del tipo di sperimentazione: l’attore non conduce una vera e propria sperimentazione, perché necessita sempre di un personaggio o di uno stato d’animo. Non può sperimentare ma, con molta dedizione, può diventare un bravo esecutore. La performance è qualcosa di differente. Credo che la ricerca di Marina Abramovic si sia conclusa un po’ di tempo fa; spero che la ricerca mia e di Flavia Mastrella non si concluda così presto. Non è un giudizio di merito ma è evidente che la dirompenza iniziale di Marina Abramovic, la sua cattiveria e la sua sfrontatezza siano andate perse, perché perdere fa parte di un processo fisiologico. Anche un corpo mozzo o fatto a pezzi possiede una sua energia, ma in un percorso artistico si potrebbe arrivare a non trovare più qualcosa da dire. Nel momento in cui dovesse avvenire, anche nel mio caso, è meglio farsi fuori.
Quanto l’idea di performance è connessa con la manipolazione, giocosa o disturbante che sia, del proprio corpo davanti al pubblico?
Non mi pongo il problema: ci si nasce così, non ci si diventa. Non esiste una scuola per non servire il personaggio o per non essere attore; non può essere solamente lo stato d’animo di qualcun altro a guidare le gesta di un attore. I più grandi attori che io riconosco, per esempio parlando di italiani Gian Maria Volonté o Mastroianni, servivano sì lo stato d’animo, ma già in maniera performativa. Non nascere attore, quindi non dovermi immedesimare, è stata per me una grande fortuna: attraverso gli habitat che realizza Flavia Mastrella sono doppiamente avvantaggiato perché mi trovo in uno spazio che non è neppure mio e posso fare davvero ciò che non mi aspetto.
Nel luglio 2018, forse fin troppo in ritardo, il Festival Internazionale di teatro della Biennale di Venezia vi ha attribuito il Leone d’Oro alla carriera. Qual è il segreto della longevità trentennale del duo Rezzamastrella?
Ci sono da sempre alcuni momenti di attrito, però il vero disaccordo potrebbe subentrare solo quando non ci si riconosce più in quel che si fa. Si potrebbe creare una frattura facendo cose brutte: finché uno fa cose belle si va avanti, con sacrificio e abnegazione, che non significa mai negare se stessi, ma significa fare della vita artistica l’unica vera vita esistente. Comunque, lavoriamo spesso anche autonomamente: difatti ora io sto preparando un film su Cristo e Flavia invece un film sulla Costituzione recitata dagli animali.
Parliamo ora di Pitecus, opera a più quadri presentata al pubblico de La Controra di Macerata, lo spettacolo teatrale sull’uomo e sulle sue perversioni “(mai) scritto da Antonio Rezza”, come tu stesso dichiari. Immaginando sia un’opera per sua natura volontariamente non codificata, sempre in divenire, anche linguisticamente, come è maturata in tutti questi anni? Sei rimasto fedele all’idea sorgiva del 1995?
Pitecus sfrutta la tecnica bidimensionale di Flavia Mastrella che prevede i quadri di scena da cui sbuco con la testa, con le braccia e con le gambe; è l’unione di tre opere, Barba e cravatta, Seppellitemi ai fornetti e Pitecus; ci sono quindi frammenti di più di trenta anni fa, dal 1988 in poi. L’opera non si è evoluta perché è come uno spartito musicale invariabile: noi facciamo musica e ritmo, siamo nati in primis come musicisti o cineasti. Il teatro è l’unica cosa che non facciamo ma anche l’unico settore che ci ha accolto: per questo la nostra idea di teatro è così difforme da ogni altra forma teatrale. Il cinema non era un terreno libero, lo stiamo riprendendo solo adesso; la musica invece ce l’abbiamo da sempre dentro: per comodità ci esprimiamo in teatro. In Pitecus e in Io, gli spettacoli più antichi, c’è anche dell’improvvisazione, ma in realtà è andata persa. Tutto ciò che sembra improvvisazione fa parte del testo, ovvero il meta-testo si accanisce sul testo. Sono sempre gli stessi spettacoli, pur dando di volta in volta suggestioni diverse, come ogni forma di arte superiore, da Bacon nella pittura a Lynch nel cinema; tutto ciò che non si capisce è per me superiore.
Per quanto riguarda invece Groppo e Galoppo. Il Pianto del Centauro, Armonie gutturali a quattro ganasce, il primo progetto musicale di Antonio Rezza, dichiari: “sapevo di avere un pulpito che dimorava nella gola, ma la vita di ogni giorno, infettata dai discorsi di rappresentanza, non dava al demone la libertà di cui dispone”. Da cosa dovevi liberarti?
Per cervelli che funzionano in autonomia essere chiusi in casa per tre mesi potrebbe essere una ricetta esplosiva. Mi auguro al più presto una pandemia a secco, senza morti e sofferenza. Dovrebbe essere obbligatorio stare chiusi da soli per almeno quattro mesi all’anno, dovrebbe essere legge di stato! Le menti libere se costrette a fare qualcosa danno i risultati più dirompenti: io, nei mesi trascorsi da solo, ho esercitato la mia voce attraverso la musicalità che ho sempre avuto dentro. Ne è uscito un progetto inaspettato, che non volevo divulgare così presto. Ezio Nannipieri però l’ha ascoltato e mi ha convinto subito a presentarlo qui a Musicultura nella Sala Cesanelli.
Questa prima metà del 2020 ha probabilmente acutizzato alcune delle sofferenze costanti nell’industria dell’intrattenimento, del teatro, della musica e della cultura in genere. Quali sono le prospettive del teatro contemporaneo?
Il teatro era già sofferente prima, con schede tecniche sempre più povere e poco personale malpagato. In questo periodo il governo ha ulteriormente dimostrato che la cultura non serve a nulla, non ne ha neppure mai parlato perché a conti fatti la cultura si è lasciata comprare da uno stato in caduta libera. Invito tutti ad andar via per qualche anno, a lasciare la classe politica da sola, senza nessuno da amministrare, per vedere chi governeranno senza pascolo.
È una tradizione antica, con un secolo e mezzo di storia alle spalle, quella che il Gruppo Ocarinistico Budriese ha deciso di far rivivere;è una tradizione “vecchia” di 150 anni, eppure ancora incredibilmente attuale. A dimostrarlo è questo ensemble che ha l’obiettivo di riscoprire il repertorio classico/operistico e di sperimentare nuove sonorità legate alla musica contemporanea, con una protagonista indiscussa: l’ocarina. O meglio, con tante protagoniste indiscusse:ocarine di ogni dimensione, che in occasione della settimana finale di Musicultura hanno animato con le loro note il centro storico e lo Sferisterio di Macerata.
Nel 1853, a Budrio, Giuseppe Donati inventa l’ocarina, un piccolo strumento a fiato in terracotta. Attualmente il vostro gruppo rappresenta la continuazione di quella storica tradizione. Volete raccontarci di questa grande responsabilità?
Siamo molto orgogliosi di questo retaggio storico. Seguiamo l’antica tradizione del Settimino di Ocarine: siamo un gruppo di sette persone con sette ocarine di diverse dimensioni, dalla più piccola alla più grande. Ci sono molte persone che portano avanti questa tradizione oltre noi, in particolare in Corea del Sud.
Ecco, a distanza di oltre due secoli Il Gruppo Ocarinistico Budriese raccoglie l’eredità musicale e culturale dei complessi ocarinistici formatisi a Budrio. Quali sono gli insegnamenti dei grandi maestri che avete preservato nel tempo?
Ci fu un grande passaparola negli anni settanta e ottanta da parte delle generazioni precedenti ma soprattutto gli insegnamenti più prezioni provengono da un corpus di letteratura per sette ocarine che risale agli anni venti.
Dagli anni ’90 il G.O.Bè stato testimonial della cultura musicale emiliana con concerti in Australia, Argentina, Cile, USA, e dal 2010 in poi avete realizzato tournée anche in Corea del Sud, Giappone e Cina. Avete notato delle differenze di recezione tra il pubblico italiano e quello mondiale?
Sia in Corea del Sud che in Giappone ci sono persone veramente appassionate dell’ocarina. Probabilmente c’è da parte del pubblico orientale una maggiore consapevolezza perché hanno un’esperienza diretta dello strumento, cosa che il pubblico italiano difficilmente ha.
Qual è stata la vostra reazione all’invito di Musicultura come ospiti?
Siamo molto contenti di essere stati invitati come ospiti da Musicultura. Ci ha sorpreso la scelta coraggiosa ed interessante della direzione artistica di invitare un gruppo come il nostro che è così eterogeneo rispetto all’offerta musicale di questo festival, incentrato soprattutto sul cantautorato.
Reduce dalla settantesima edizione del Festival di Sanremo, la band bergamasca approda sul palco di Musicultura con tutto il suo carico di energia, un sound fresco e vivace, una scrittura tanto ironica quanto malinconica e la grinta di chi ha la giovinezza dalla propria. Prima di presentare il loro nuovissimo singolo, La Storia Infinita, al pubblico dello Sferisterio di Macerata, i Pinguini Tattici Nucleari si sono raccontati così alla redazione di “Sciuscià”.
La vostra carriera musicale decennale è decisamente esplosa dopo l’approdo di questo inverno sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, favorendo il successo radiofonico del vostro brano Ringo Starr, ormai disco di platino. Come stato salire sul palco di uno dei più prestigiosi festival musicali italiani?
Sarà forse una banalità ma è stato semplicemente emozionante: calcare quel palco pieno di storia, per noi venticinquenni, è stato come entrare nel mondo dei grandi. In più, sapere che a casa così tante famiglie sono incollate al piccolo schermo contribuisce ancora più alla magia e alla bellezza di quel momento. E poi è stato bellissimo poter vedere come si lavora ad un livello così alto e scoprire tutte le dinamiche che si vanno a creare. Inaspettatamente, anche l’ambiente che si è creato è stato molto positivo: si potrebbe pensare che nell’ambito di una kermesse musicale come Sanremo ci sia tanta rivalità tra artisti, ma in realtà tutti fanno il tifo per tutti e c’è molta solidarietà tra i vari concorrenti.
Proprio ieri, il 28 agosto è uscito il vostro ultimo singolo, La Storia Infinita, che preannuncia forse un vostro nuovo attesissimo progetto. Cosa avete in cantiere?
In questo momento stiamo scrivendo, ma un passo alla volta! È appena uscito per Sanremo il repack del disco Fuori dell’Hype con tre pezzi inediti. Abbiamo però sicuramente in progetto di buttare fuori tantissimo altro materiale.
A proposito di scrittura: i vostri testi sono ricchissimi di ironia pungente e dei giochi linguistici più disparati. Qual è la genesi compositiva dei vostri brani, sia dal punto di vista dei testi che degli arrangiamenti?
Il compositore principale sia dei testi che della musica, anche se poi ci lavoriamo insieme, è sempre Riccardo, la nostra voce.C’è comunque molto confronto sulle bozze durante il processo compositivo in sala prove; il grosso del lavoro di gruppo per un organico come il nostro è poi arrangiare i pezzi in chiave live, perché a conti fatti è quella la nostra dimensione vera e propria.
In quanto bergamaschi, vi siete trovati proprio nell’epicentro della pandemia, in momenti particolarmente dolorosi, e spesso le parole hanno lasciato posto al silenzio. Nonostante tutto, siete riusciti sempre a mantenere un contatto onesto con i vostri fan tramite i social. Quali prospettive immaginate per la musica live dopo questo periodo?
È davvero difficile dirlo.Chiaramente speriamo per il meglio perché, al di là del fatto che ne va del nostro lavoro, la situazione riguarda l’arte in genere, la musica e quello che rappresenta per ciascuno di noi. Ovviamente bisognerà seguire le evoluzioni della pandemia, ma è davvero dura fare dei pronostici.
Da Cartoni animati, il primo LP autoprodotto nel 2012, all’ultimo disco Fuori dall’Hype del 2019 uscito per Sony Music, avete fatto molta strada. Cosa consigliereste a chi decide oggi di intraprendere la carriera musicale, in particolare ai vincitori di Musicultura?
Di continuare a crederci, di migliorarsi ogni giorno e soprattutto di avere molta pazienza, perché le cose belle arrivano solo con la calma.
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