Il tempo è umano e l’umano è tempo: storto e frantumato

Musicultura. E quindi, non solo musica.

Ma anche versi, scrittura e – com’è giusto che sia – le parole, al centro di tutto. È in questo spirito che si inserisce la rassegna “Poesia, nuove voci”, due incontri dedicati alla poesia contemporanea, che vedono protagonisti quattro voci poetiche del panorama italiano, in dialogo con Ennio Cavalli, poeta e giornalista di lungo corso.

Un confronto sul significato e sul ruolo della poesia oggi, tra momenti di riflessione e letture ad alta voce, ospitato nel cuore di Macerata durante La Controra, la settimana di arte, cultura e spettacolo che apre la fase finale della XXXVI edizione di Musicultura.

Un’occasione per ascoltare chi alla poesia affida uno sguardo sul mondo e su di sé.

Il primo incontro vede il confronto tra Giorgiomaria Cornelio e Beatrice Zerbini, due poeti uniti da un’idea condivisa: la stortura, ovvero quelle ferite interiori che, pur segnandoci, ci restituiscono una nuova immagine di noi stessi. Questa visione richiama la filosofia del kintsugi, antica tecnica giapponese che ripara gli oggetti danneggiati rendendoli più preziosi proprio nelle loro crepe.

Giorgiomaria Cornelio, nato a Civitanova Marche e cresciuto artisticamente nella celebre fornace di Smorlesi, parla di una “specie storta” a cui tutti apparteniamo: una comunità di sconfitti e deviati che, nonostante le ferite, porta con sé una luce particolare. La sua poesia è un intreccio di mito, cinema e parola, che non pretende di insegnare, ma di accompagnare il lettore in un viaggio attraverso alfabeti dimenticati e linguaggi naturali. Cornelio descrive il viandante – figura centrale nelle sue opere – come «la commisura del piede al vento», simbolo di un cammino sempre in movimento. In un mondo dominato dalla noia e dall’omologazione, egli sottolinea l’urgenza di grandi narrazioni capaci di riscrivere le mappe dell’esistenza. «I periodi di crisi di millenarismo interiorizzato sono complessi – afferma – e allora servono narrazioni immense, titaniche o anche piccole, non importa».

La bolognese Beatrice Zerbini, invece, si presenta con una voce più intima e domestica. Cresciuta in una casa silenziosa e a tratti solitaria, la sua poesia nasce dall’infanzia, dall’amore e dalle malinconie che le appartengono, mantenendo uno sguardo adulto ma sempre puro e fanciullesco. La sua scrittura è un atto di vulnerabilità sincera: nel libro In comode rate racconta la vita e il dolore pagati all’esistenza in piccole dosi: «Più sei onesta e arrivi al nocciolo della verità, più l’altro può indossare i tuoi panni», spiega. La sua poesia diventa così una sorta di «psicoanalisi condivisa», in cui ogni dettaglio assume un valore significativo ed empatico. Per lei, la poesia non è una metafora astratta, ma una sensazione tangibile, un gesto d’amore che tocca, cura e accompagna chi ascolta, tendendo la mano a chi ha bisogno: «A chi dire “Torna prima che faccia buio”? – A un mondo intero».


Nel secondo appuntamento della rassegna, le protagoniste sono Beatrice Achille e Mariachiara Rafaiani, due voci che esplorano la poesia attraverso archetipi e percezioni profonde. Achille, triestina con una formazione filosofica, si concentra sulla parola orale, quella sussurrata, perché crede che «la parola detta sia più intima e più sacra di quella scritta».

Nel suo lavoro Le Medeatiche, rilegge il mito di Medea non solo come una tragedia antica, ma come un gesto umano estremo e difficile da comprendere. Medea diventa per lei il simbolo dell’estirpazione del sé, cioè della perdita di se stessi, e dell’impossibilità di raggiungere una vera catarsi – quella purificazione interiore tipica della tragedia greca – nel mondo moderno, dove tutto è centrato sull’«io». Come spiega Achille, «l’esperienza catartica greca nasceva in un contesto in cui non si diceva io: l’ego veniva usato pochissimo, e mai in senso autoriferito. Oggi, invece, questa parola è ovunque».

Mariachiara Rafaiani, filologa classica, concepisce la poesia come un atto di riscrittura del presente attraverso gli eterni archetipi del passato. Nel suo libro L’ultimo mondo, scritto tra Londra e l’Italia nel 2020, in piena emergenza pandemica, immagina tre scenari possibili di fine del mondo. In queste pagine, il tempo si frammenta e la realtà si cristallizza in un eterno presente; le sue poesie si fanno testimoni di questa condizione post-catastrofica, intessendo profonde riflessioni: «Il mondo lo immagino disgregato sulle spiagge, come lembi strappati da qualcuno in corsa».

Attraverso la sua scrittura, Rafaiani ci invita a riconoscere nella poesia non solo una guida capace di orientare nei momenti di crisi, ma anche un archivio emotivo collettivo, in cui verità soggettive si intrecciano e si riflettono a vicenda. Come afferma lei stessa: «Le questioni private sono lo specchio della collettività e viceversa».

Insomma, il filo rosso di questi interventi è l’idea di poesia come strumento di resistenza e rinascita. Ogni poeta, con la propria voce singolare, mette in luce la fragilità umana e la necessità di riconoscere e valorizzare le ferite interiori: Cornelio celebra la «specie storta», emblema di un’umanità imperfetta ma luminosa; Zerbini esprime la delicata forza della cura e della condivisione; Achille indaga la profondità insondabile dell’animo umano; Rafaiani intreccia il fluire del tempo con la ricerca di verità profonde. In tutti, la poesia emerge come un atto d’amore rivolto a sé e agli altri, un universo personale che diventa esperienza collettiva.


 

“Un’onda sonora che è nata sin dal primo giorno”: Niccolò Fabi ospite a La Controra 2025

C’è un modo di fare musica che non insegue il tempo, ma lo ascolta. Niccolò Fabi da quasi trent’anni attraversa la scena cantautorale italiana con la discrezione di chi preferisce scavare piuttosto che esporsi, e con la coerenza di chi ha fatto della parola – prima ancora che della voce – un gesto dell’anima. “La canzone è un piccolo orologetto, che sembra semplice, ma è tutto un gioco di ingranaggi”, racconta al pubblico di Palazzo Buonaccorsi. E in quei meccanismi nascosti si annidano i suoi racconti: oltre 90 brani, nove dischi, collaborazioni, premi e progetti che lo hanno reso uno degli autori più profondi e riconoscibili del nostro panorama musicale.

Nel suo nuovo lavoro, Libertà negli occhi, Fabi rinnova il proprio sguardo: un disco nato da un’esperienza immersiva tra le montagne, lontano da tutto, condivisa con altri artisti e amici (Roberto Angelini, Alberto Bianco, Filippo Cornaglia, Cesare Augusto Giorgini ed Emma Nolde): “Un’onda sonora che è nata sin dal primo giorno”.

Un “esercizio di libertà” in cui l’introspezione si fa collettiva, e dove “la voce umana”, unica e irripetibile, si mette al servizio di una musica che si apre, respira, accoglie. “Il punto non è di cosa parlano le canzoni, ma come raccontano le emozioni che il cantante prova”, dice. E in questo album le emozioni prendono forma in un equilibrio cercato tra scrittura profonda e arrangiamenti generosi, tra le parole che accendono un senso e la musica che lo lascia fluire.

A La Controra, tra riflessioni sulla creazione, sulla libertà artistica e sull’importanza dei luoghi e dei rituali dell’ascolto, Niccolò Fabi ci accompagna dentro la genesi del suo nuovo viaggio sonoro, di cui parla anche in questa intervista.

Dopo nove album in studio e numerosi progetti collaterali, come riesce ancora a trovare ispirazione per scrivere nuova musica? Cosa sente di voler raccontare oggi, a quasi trent’anni dall’inizio del suo percorso?

Ho collaborato con diversi progetti musicali, quali Discoverland e il disco con Gazzè e Silvestri. Questo mi ha portato, lungo la mia carriera, a guardare altrove, a ricaricarmi di energie e uscire un po’ dall’ossessione di sé che il cantautore ogni tanto ha. Banalmente, poi, la vita ti offre motivi di ispirazione non a comando. Se sei bravo a cogliere quei momenti un po’ magici riesci a trasmetterli su canzone. Indubbiamente andando avanti con gli anni è sempre più difficile perché tante cose sono state già scritte. Il rischio di ripetersi per tutti i cantautori è quasi inevitabile.

Libertà negli occhi è nato da un’esperienza immersiva, quasi isolata, in uno chalet nei boschi insieme ad altri artisti. Sentiva il bisogno di rifugiarsi nella musica per creare qualcosa di nuovo in questa dimensione collettiva?

Quando la scrittura è molto personale e intima, ho sempre pensato che fosse importante farla risuonare con le sensibilità altrui, per non diventare autoriferita. È stato anche un modo per stimolare l’aspetto un po’ più giocoso che emerge quando più musicisti sono insieme in una stessa stanza e si mettono a suonare. Questo alza il livello di energia e divertimento e, se si riesce a trovare l’equilibrio giusto insieme ad un’intensità nei testi, il risultato può essere positivo.

In questo ultimo album, più che nei precedenti, si percepisce un forte contrasto tra una scrittura intima e profonda e arrangiamenti ricchi, aperti alla sperimentazione. È stato un equilibrio cercato o nato in modo naturale?

È stato cercato. Venivo da un disco, Una somma di piccole cose, prodotto totalmente in solitudine. È un tipo di esperimento che ogni cantautore desidera fare. È sempre un disco speciale quello chitarra e voce, da Bruce Springsteen con Nebraska a Bon Iver con For Emma, Forever Ago. In questo caso invece, avendolo già fatto, mi sembrava rischioso ripetere l’esperienza. Volevo rimanesse una cosa unica. E quindi ho arricchito le canzoni con l’interazione con degli amici musicisti che hanno degli stili e delle sensibilità simili alle mie.

Una curiosità sulla modalità di uscita dell’album: prima il formato fisico, il 16 maggio, e poi lo streaming, il 13 giugno. Da cosa nasce questa scelta controcorrente rispetto alle logiche del mercato digitale?

La voglia era quella di provare a fornire ai miei appassionati l’idea di fruire un disco in una maniera speciale. Cercando di seguire una ritualità, che è quella di recarsi in un posto, in contrasto con la facilità con cui dallo stesso device con cui mandiamo le mail e i messaggi premiamo play, mettiamo una canzone e la togliamo in un secondo. È un po’ come si fa nel cinema, quando per i primi mesi il film è nelle sale per gli amanti di quell’esperienza e poi esce sulle piattaforme. E cosi andare al negozio, prendere un disco, scartarlo, metterlo sul piatto e ascoltarlo. Dopodiché, siamo nel 2025, sarebbe stato anacronistico e snobistico tenerlo solo in formato fisico.

Nel panorama odierno del cantautorato italiano, quale pensa sia il potere di un festival come Musicultura nel riscoprire, valorizzare e dare nuova linfa a questa forma d’arte che, pur radicata nella tradizione, continua a reinventarsi?

Il cantautorato fa fatica in questo momento storico a trovare un suo spazio. Anche perché il linguaggio principale, soprattutto dei ragazzi è un altro, ed è anche giusto che sia così. Però, lavorando all’ Officina Pasolini, mi rendo conto che ci sono ancora molti artisti che hanno un approccio alla canzone cantautorale. E allora per loro Musicultura rappresenta uno stimolo, non fa sentire inutile ogni loro tentativo, quando spesso il mercato li demoralizza. Gli artisti hanno bisogno di stimoli, hanno bisogno di vedere la luce in fondo al tunnel, un palcoscenico dove ancora sono accettati senza doversi camuffare. Ed ecco che forse Musicultura è l’unica oasi riconosciuta dove questi ragazzi possono provare a indirizzare i loro sforzi.  È importante, quando porti avanti un progetto, pensare che comunque puoi aspirare a un palcoscenico. Non uno spazio in senso elitario, ma una ragione per provarci.


 

Per un carcere minimo: parole, musica e giustizia oltre le sbarre

Ci sono confini che non si vedono ma si sentono, e altri che si vedono e che, se attraversati con la musica, iniziano a trasformarsi. E di una piccola, grande trasformazione è protagonista il progetto La casa in riva al mare, che dall’autunno del 2023 porta nel carcere Barcaglione di Ancona, e anche fuori dalle sue celle, un dialogo fatto di canzoni, racconti, ascolto e consapevolezze. Proprio di questo si è parlato, ieri, nella Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata, dove alle 18.00, nell’ambito degli eventi in calendario per La Controra, si è tenuto l’incontro Per un carcere minimo. Protagonisti dell’appuntamento sono stati Silvia Cecchi, magistrato e scrittrice, l’avvocato Giancarlo Giulianelli, Garante regionale dei Diritti della Persona, e il Direttore artistico di Musicultura, Ezio Nannipieri. È stato quest’ultimo a prendere per primo la parola: «La casa in riva al mare nasce da un’intuizione dell’avvocato Giulianelli: fare entrare la musica in carcere e uscirne con qualcosa di più grande, portando una ventata di aria fresca dall’esterno verso l’interno. E viceversa. Perché volevamo che questo ponte non fosse a senso unico».

E così è stato. I detenuti sono diventati protagonisti del Festival, entrando a far parte di una speciale giuria che assegna uno dei riconoscimenti ai vincitori di Musicultura, partecipa alle premiazioni allo Sferisterio e assiste poi, all’interno del carcere, a un concerto di quegli stessi artisti.

Durante l’incontro, il pubblico ha potuto ascoltare anche alcune testimonianze di chi ha preso parte all’iniziativa. Helle, vincitrice del premio La casa in riva al mare 2024, ha ricordato l’intensità di quel concerto speciale: «Suonare in un carcere è stata un’esperienza profonda, perché il pubblico era affamato di musica». Anna Castiglia, vincitrice assoluta di Musicultura 2024, ha aggiunto: «Portare la musica dove di solito non c’è mi ha toccata molto».

Ma Per un carcere minimo non è stato solo un racconto emotivo. È stato anche un momento di pensiero critico riguardo a questa istituzione: «Il carcere – ha affermato Silvia Cecchi – è una pena totalitaria, perché comporta l’identificazione dell’individuo col fatto. Al suo interno si perdono la connessione con la realtà, il senso del tempo e dello spazio. Per di più, non ha mai abbassato il livello di recidivismo».

«La tesi che mi sembra più corretta – ha proseguito – è quella di un carcere residuale, un’estrema ratio.  I casi in cui come magistrato ho chiesto il carcere perché ho captato la pericolosità del soggetto sono veramente pochi. Dobbiamo educare a intercettare le pericolosità. Si è detto che si esce dal carcere quando non si è più pericolosi, allora perché non utilizzare lo stesso principio al contrario, per entrare nel carcere? Il carcere non dovrebbe essere la risposta a ogni condanna”.

A far da eco Giancarlo Giulianelli, che ha ribadito l’importanza di un concetto spesso frainteso: «Parlare di carcere residuale non significa abolire il carcere. Significa restituirgli una funzione diversa, umana, coerente con i principi costituzionali. Musicultura ci aiuta a rendere quel carcere un carcere minimo, così come lo fanno gli altri corsi e le altre attività che organizziamo. Quest’anno, per esempio, tredici detenuti sono usciti in stage, e sei di loro sono stati poi inseriti in percorsi lavorativi. Trovare tredici luoghi di lavoro disposti ad accoglierli è stata la parte più difficile. Ma oggi possiamo dire che il tutto ha funzionato”.

A chiudere l’incontro sono state le voci dei detenuti coinvolti nell’edizione 2025 del progetto. In un video proiettato durante l’evento, hanno raccontato pensieri, impressioni, emozioni nate dall’ascolto delle canzoni in gara: “Quando ci venite a trovare – ha detto uno dei partecipanti al laboratorio musicale – ci date una finestra in più”. La finestra de La casa in riva al mare.


 

Vent’anni dopo: Simone Cristicchi a Musicultura

Musica, teatro. Ricordi. Ironia e poesia. Risate e commozione. Questi gli elementi che hanno caratterizzato l’incontro di ieri sera di Simone Cristicchi con il pubblico de La Controra. Intervistato dal giornalista Andrea Scanzi, il cantautore è tornato vent’anni dopo sul palco di Musicultura, dopo la sua vittoria del Festival con Studentessa universitaria. Lo ha fatto nell’ambito di un evento dedicato ripercorrere la strada che da quel lontano 2005 l’ha portato a essere uno degli artisti più apprezzati nel panorama musicale italiano. Così, Cristicchi si è raccontato con la sincerità che lo contraddistingue, ripercorrendo le tappe più significative della sua carriera: dall’elaborazione del dolore personale all’impegno civile, dall’amore per il disegno alla musica, fino alla creazione di un linguaggio creativo capace di unire poesia, denuncia sociale, ironia. Tra un aneddoto e una canzone, ha condiviso con una platea numerosa e attenta il senso più autentico del suo percorso: quello di un uomo che ha trasformato la fragilità in forza espressiva e l’arte in strumento di cura. Tenendosi legato stretto a un fil rouge: la condivisione.
Ecco cosa ha raccontato alla redazione di Sciuscià prima di salire sul palco.

La sua è una carriera fatta di parole, storie, memoria, e di un modo del tutto personale di stare in scena. Se dovesse tracciare una linea che unisce il suo primo disco al suo lavoro più recente, quale sarebbe secondo lei il filo rosso che tiene tutto insieme?

Il filo rosso è la condivisione. La condivisione di tutto quello che fa parte del mio mondo, della mia dimensione interiore, con un pubblico composto da persone che magari si rivedono – o almeno si incuriosiscono – in ciò che riesco a creare. È questo il motivo per cui faccio questo mestiere, chiamiamolo così: una forma di condivisione. Ed è proprio questo che per me conta davvero.

Ti regalerò una rosa, brano con cui ha vinto Sanremo nel 2007, ha portato all’attenzione del grande pubblico un tema delicato come il disagio psichico. In un’epoca in cui si cerca sempre di “mostrare” la parte più forte e felice di sé, pensa che la fragilità, se raccontata con sincerità, possa ancora creare connessioni autentiche con il pubblico?

Mah, questo non lo so. Oggi c’è molta diffidenza, è vero. Però c’è anche un pubblico che sa percepire quando qualcosa è autentico e quando invece è costruito, falso. Quindi direi: metà e metà. La fragilità, comunque, è la parte più autentica che c’è in ognuno di noi. E quando riusciamo davvero a toglierci la maschera, a mostrarci per quello che siamo, è proprio lì che diventiamo perfetti.

Il pubblico la segue con affetto e attenzione da anni, anche perché percepisce una forte autenticità nel suo modo di fare arte. Quanto conta, secondo lei, restare fedeli a se stessi in un percorso artistico che dura nel tempo?

Restare fedeli a se stessi è fondamentale. Bisogna costruire una propria credibilità, anche se questo comporta dei rischi. Perché spesso capita che chi finge o interpreta un personaggio abbia un grande successo, mentre chi resta autentico può ottenere meno visibilità o riconoscimenti. Però, io la vedo così: è molto meglio essere un anonimo perbene piuttosto che un mediocre di successo.

Nei suoi progetti ricorre spesso il desiderio di portare alla luce memorie sommerse, voci dimenticate. Che cosa la colpisce in queste vicende e perché sente il bisogno di riportarle alla luce attraverso la sua arte?

Il bisogno che sento è quello di restituire dignità a certe cose che sono rimaste nell’ombra, quindi portarle alla luce in modo che possano avere nuova vita. Secondo me, l’artista ha un grande privilegio: quello di poter dare voce a chi voce non ce l’ha. Per questo, chi scrive canzoni o fa musica e teatro, come me, può scegliere di mettersi al servizio di storie nascoste, di persone e realtà più fragili e dimenticate.

Musicultura è da sempre un luogo dove i giovani artisti possono far sentire la propria voce. Se un cantautore agli inizi le chiedesse da dove partire, quale sarebbe secondo lei il primo passo da fare per costruire un percorso autentico nella musica e restare fedeli a ciò che si ha davvero da dire?

Secondo me, come dicevamo prima, è davvero importante restare fedeli a se stessi, senza copiare nessuno o diventare il clone di qualcun altro. È fondamentale. Inoltre, non bisogna inseguire a tutti i costi il successo, perché può essere una specie di lama a doppio taglio, con dei lati negativi. La cosa più importante è godersi il fatto di poter fare musica, di poter creare, anche solo questo. Non è necessario rincorrere il successo, che a volte può essere solo un incidente di percorso.


 

Macerata accoglie gli 8 Vincitori

Macerata ha accolto gli otto Vincitori della XXXVI edizione di Musicultura in conferenza stampa, alla presenza delle Autorità e dei principali partner culturali del Festival.

Ai giovani vincitori il saluto di accoglienza del Sindaco di Macerata Sandro Parcaroli e dell’assessore ai Grandi Eventi Riccardo Sacchi. “Come ogni anno, siamo entusiasti di ospitare allo Sferisterio di Macerata le serate finali di Musicultura che decreteranno il vincitore assoluto, premiato tra le tantissime proposte artistiche di qualità che hanno partecipato al festival – ha dichiarato il sindaco di Macerata Sandro Parcaroli – Musicultura è, per la città, un appuntamento atteso, sentito e in grado di esaltare la qualità degli artisti che sul palco dello Sferisterio hanno modo di farsi conoscere e apprezzare a livello nazionale”.

“L’Amministrazione comunale crede fortemente in Musicultura, un Festival che, oltre a essere un trampolino di lancio per tanti artisti, promuove la qualità, il turismo, la bellezza e l’immagine della città di Macerata con significativi benefici economici e non solo – Ha aggiunto l’assessore ai Grandi Eventi Riccardo Sacchi – Il nostro sostegno è costante e ringraziamo tutti i partner che sostengono il festival e tutti coloro che, di anno in anno, migliorano, arricchiscono e impreziosiscono questa manifestazione simbolo della città”.

Grazie alla media partnership con la Rai, Musicultura verrà promossa da Rai Radio1, Rai 2, TgR, Rainews24, Rainews.it, Rai Italia e RaiPlay che saranno impegnate a raccontare l’evento a tutto tondo durante tutta la durata del Festival.

“Personalmente, vivo il giorno dell’arrivo a Macerata dei vincitori del concorso come una festa. Ha detto Ezio Nannipieri, direttore artistico di Musicultura – Nei loro occhi leggo emozioni luminose, la curiosità di conoscersi l’un l’altro, la voglia di vivere nella loro pienezza giorni che artisticamente, professionalmente e umanamente sentono importanti.  È anche il momento in cui Musicultura consegna al giudizio del pubblico dello Sferisterio e della Rai il risultato di un lavoro di selezione scrupoloso cominciato otto mesi fa e vive questo passaggio con un misto di orgoglio e di trepidazione”.

Gli otto vincitori di Musicultura si esibiranno questa sera, nel tradizionale concerto condotto da John Vignola di Rai Radio1, alle 21.15 in Banca Macerata Arena, Piazza Vittorio Veneto e li ritroveremo poi con i grandi ospiti nelle serate finali del Festival sul maestoso palcoscenico dello Sferisterio, sia il 20 che il 21 giugno, per conquistare i voti dei 2.400 spettatori presenti in ogni serata, validi per l’ambito titolo di Vincitore Assoluto di Musicultura e il Premio Banca Macerata di 20 mila euro.

“Il rinnovo del nostro sostegno a Musicultura per il quinto anno consecutivo conferma e rafforza il brillante sodalizio tra due realtà che condividono valori comuni e uno sguardo aperto sul futuro. – Ha affermato il Presidente di Banca Macerata Ferdinando Cavallini -. Le canzoni finaliste, originali e potenti, dimostrano quanto questa manifestazione sia ormai un punto fermo nel panorama musicale nazionale. I numeri parlano chiaro: Musicultura cresce, noi cresciamo con lei, e questo sodalizio si dimostra ogni anno sempre più vivo e vincente”.

Verranno inoltre assegnati la Targa della Critica Piero Cesanelli (€ 3.000), il Premio Nuovo Imaie (€ 10.000) per la realizzazione di un tour, il Premio PMI (€ 2.000) per il miglior progetto discografico, il Premio per il miglior testo (€ 2.000), il Premio Grotte di Frasassi (€ 2.000), che prevede anche per il vincitore una residenza e una restituzione artistica site specific presso le Grotte di Frasassi, in seno a uno dei complessi carsici più spettacolari d’Europa, nel cuore delle Marche.

Per il secondo anno verrà inoltre conferito il Premio La Casa in riva al Mare (€ 2.000) lo speciale riconoscimento assegnato ad uno degli otto vincitori da una giuria di detenuti della Casa di reclusione di Barcaglione di Ancona. Il progetto è stato segnalato nel 2024 come best practice dal Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria ed è promosso dal Garante regionale dei diritti della persona – Marche, Giancarlo Giulianelli: “con il progetto La casa in riva al mare, Musicultura ed il Garante dei diritti della persona della Regione Marche intendono costruire un ponte ideale tra comunità esterna e il carcere (la casa di reclusione di Barcaglione) con lo scopo, all’una di conoscere ed all’altra di partecipare… perché per poter giudicare occorre conoscere e perché la libertà è partecipazione. Grazie Musicultura”.

“Musicultura è un vanto per le Marche perché è una proposta unica in Italia, riconoscibile e fortemente radicata a questa terra, abbraccia due città tra le più significative della nostra regione per patrimonio ed eredità culturale, Macerata e Recanati e coinvolge due atenei storici e prestigiosi, quello di Macerata e di Camerino – ha dichiarato Andrea Agostini, Presidente di Fondazione Marche Cultura -. Ed è un vanto per l’Italia tutta perché da 36 anni a questa parte ha coltivato e custodito il valore della parola, ha saputo interpretare nuovi linguaggi della musica cantautorale come di quella popolare. In un tempo in cui assistiamo ad un continuo impoverimento del lessico, Musicultura è più che mai essenziale”.

Importanti partner culturali di Musicultura sono le Università di Macerata e di Camerino e l’Accademia delle Belle Arti di Macerata. Le serate di spettacolo allo Sferisterio del 20 e 21 giugno saranno trasmesse in diretta da Rai Radio1 con Marcella Sullo, Duccio Pasqua e John Vignola alla conduzione. Diverranno anche un programma televisivo, firmato da Matteo Catalano, con la collaborazione di Carolina Catalano e per la regia di Duccio Forzano. Lo speciale Musicultura 2025 andrà in onda il 15 luglio su Rai2 in seconda serata e Rai Italia diffonderà il programma nei cinque continenti. Un piano editoriale integrato coordinerà tutte le attività social. Rainews24, Rainews.it e TgR, con dirette, servizi e rubriche completano il quadro dell’informazione e dell’approfondimento della XXXVI edizione di Musicultura.

Anche in questa edizione di Musicultura si impegna per la sostenibilità con il progetto MUSICULTURAmbiente. Verranno adottate azioni come l’uso di materiali ecosostenibili, la raccolta differenziata e le doggy bag per il cibo non consumato, in collaborazione con Cosmari e Legambiente Marche. Inoltre, ci sarà il servizio e-mobility con una flotta di 10 auto elettriche per spostamenti di artisti e ospiti, e test drive gratuiti per tutti, a cura di Alperia e Gruppo Domina.


 

Ecco i vincitori di Musicultura 2025. Carolina Di Domenico e Fabrizio Biggio conducono la Finalissima

Countdown per le fasi finali della XXXVI edizione di Musicultura in programma a Macerata dal 17 al 21 giugno, con Rai in veste di main media partner dell’evento.

La conduzione delle due serate conclusive di spettacolo, in scena il 20 e il 21 giugno allo Sferisterio di Macerata, è affidata a Carolina Di Domenico e, per la prima volta, a Fabrizio Biggio. Gli ospiti sul palco dello Sferisterio sono Riccardo Cocciante, Antonella Ruggiero, Vinicio Capossela, Eugenio Finardi, Tricarico e Valerio Lundini.

Il direttore artistico Ezio Nannipieri ha svelato gli otto vincitori del concorso che dal 1990 custodisce con cura uno spazio importante per i nuovi cantautori e tutela la qualità artistica della canzone italiana.

Ecco gli 8 vincitori 

Alessandra Nazzaro con Ouverture

Elena Mil con La ballata dell’inferno

Frammenti con La pace

Ibisco con Languore

ME JULY con Mundi

Moonari con Funamboli

Abat-jour con Oblio

Silvia Lovicario con Notte

“Ringrazio queste ragazze e questi ragazzi, che in tempi di canzoni rimasticate e di artisti bravi a fare gli affari propri ci danno una lezione di pulizia emotiva ed espressiva. – ha dichiarato il direttore artistico Ezio Nannipieri – “Il senso di Musicultura sta nell’essere al loro servizio, nel cercare di sostenerne in modo altrettanto pulito l’immaginazione, la passione e, perché no, le economie.”

Gli 8 vincitori sono stati designati a partire da una rosa di 16 finalisti dal Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, i cui primi firmatari furono nel 1990 Fabrizio De Andrè e Giorgio Caproni, e che in questa XXXVI edizione, è composto da: Francesco Amato, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Giulia Caminito, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Dardust, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, Mariangela Gualtieri, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Mariella Nava, Susanna Nichiarelli, Piero Pelù, Vasco Rossi, Ron, Sydney Sibilia, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi e Margherita Vicario.

Già da stasera si potrà cominciare ad approfondire la conoscenza degli artisti vincitori di Musicultura 2025. Rai Radio1, la radio ufficiale del festival, trasmetterà infatti il loro concerto in diretta dalla Sala A di via Asiago a partire dalle ore 21:00, con la conduzione di John Vignola coadiuvato da Duccio Pasqua. L’evento sarà ripreso e diffuso in diretta anche da RaiPlay.
Ritroveremo i protagonisti e le protagoniste del concorso tra due settimane a Macerata. Sarà il test democratico del voto del pubblico dello Sferisterio a decretare, al termine delle due serate di spettacolo del 20 e il 21 giugno, il vincitore assoluto di Musicultura, al quale andranno i 20.000 euro del Premio Banca Macerata.

Verranno inoltre assegnati la Targa della Critica Piero Cesanelli (€ 3.000), il Premio PMI (€ 2.000), il Premio per il miglior testo (€ 2.000), il “Premio Grotte di Frasassi” (€ 2.000), novità che prevede per l’artista prescelto anche l’opportunità di una residenza, seguita da una performance di restituzione artistica site specific, in seno a uno dei complessi carsici più spettacolari d’Europa, le Grotte di Frasassi, nel cuore delle Marche. Per il secondo anno verrà inoltre conferito il Premio “La Casa in riva al Mare” (€ 2.000) lo speciale riconoscimento assegnato a uno degli otto vincitori da una giuria di detenuti della Casa di reclusione di Barcaglione di Ancona. Il progetto, promosso dal Garante regionale dei diritti della persona delle Marche, Giancarlo Giulianelli, è stato segnalato nel 2024 come best practice dal Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

Le serate di spettacolo allo Sferisterio del 20 e 21 giugno saranno trasmesse in diretta da Rai Radio 1 con Marcella Sullo, Duccio Pasqua e John Vignola alla conduzione. Diverranno anche un programma televisivo, firmato da Matteo Catalano, con la collaborazione di Carolina Catalano e per la regia di Duccio Forzano. Lo speciale Musicultura 2025 andrà in onda prossimamente sulla rete Rai.

Musicultura 2025: Riccardo Cocciante ospite sul palco dello Sferisterio il 20 giugno

Riccardo Cocciante sarà ospite venerdì 20 giugno della prima delle due serate finali di Musicultura 2025, il Festival della canzone Popolare e d’Autore. Lo Sferisterio di Macerata è pronto a ospitare un’autentica leggenda, un artista che ha scritto alcune fra le pagine più belle della storia della musica italiana e internazionale tornato alla dimensione live grazie al suo spettacolo “Io… Riccardo Cocciante”.

Nell’era dell’effimero in cui siamo immersi Riccardo Cocciante si staglia come una vetta che ispira un senso di solidità, un sentimento di libertà e di purezza – ha detto il direttore artistico Ezio Nannipieri. Siamo davanti a un pioniere della canzone che solo aprendo bocca ristabilisce il giusto senso delle proporzioni artistiche. Non a caso lo corteggiamo praticamente dall’ultima volta che fu nostro ospite, se non erro nel 1997. Allo Sferisterio Cocciante ci ricorderà cosa significa dare voce all’anima. Credo che il peso specifico delle emozioni e la qualità degli applausi andranno fuori scala.

La presenza al Festival di Riccardo Cocciante si configura come un vero regalo per il pubblico, ma sarà anche l’occasione per il conferimento al grande ospite dell’’Onorificenza per Alti Meriti Artistici istituita dall’Università di Macerata e dall’Università di Camerino.
Cocciante si aggiunge ad Antonella Ruggiero, Vinicio Capossela e Tricarico, ospiti già annunciati delle attesissime serate finali di spettacolo in programma il 20 e 21 giugno a Macerata, che si preannunciano dense di emozioni e sorprese.
Accanto a questi grandi protagonisti della canzone italiana si esibiranno, gli otto giovani artisti vincitori della XXXVI edizione di Musicultura, individuati al termine di una lunga selezione iniziata con 1.176 candidature.

Un incentivo concreto alle carriere dei giovani artisti vincitori arriverà dai consistenti premi che il prestigioso concorso di Musicultura mette a loro a disposizione. Primo tra tutti i 20 mila euro del Premio Banca Macerata, che andrà al Vincitore Assoluto, decretato in base all’esito dei voti del pubblico dello Sferisterio. Verranno inoltre assegnati la Targa della Critica Piero Cesanelli (€ 3.000), il premio “La casa in riva al mare” (€ 2.000), il premio PMI (€ 2.000) e il premio per il miglior testo (€ 2.000).

Tricarico, Antonella Ruggiero e Vinicio Capossela sono i primi protagonisti di Musicultura 2025

Musicultura apre il sipario sulla XXXVI edizione annunciando i primi ospiti che saliranno sul palco dello Sferisterio di Macerata nelle due serate finali del Festival, in programma venerdì 20 e sabato 21 giugno 2025.

Venerdì 20 giugno, andranno in scena due tra i più originali cantautori del panorama italiano: a dieci anni dalla sua ultima partecipazione al Festival torna Vinicio Capossela, artista poliedrico e sperimentatore sonoro in grado di fondere mito e presente, sacro e profano; e Tricarico, penna fuori dagli schemi e autore di brani dal lirismo tagliente e imprevedibile.
Sabato 21 giugno sarà, invece, la volta di una voce iconica della musica italiana: Antonella Ruggiero, interprete raffinata e dallo stile inconfondibile, capace di attraversare generi e decenni con eleganza e intensità.

Cresce intanto l’attesa per conoscere i nomi degli otto vincitori del Concorso, che nelle serate finali di Musicultura saranno protagonisti sul palco insieme a prestigiosi ospiti del festival. Dopo una selezione partita da oltre mille candidature, le sedici proposte finaliste sono in questi giorni al vaglio dell’illustre Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, che designerà gli otto vincitori e che è composto: Francesco Amato, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Giulia
Caminito, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Dardust, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, Mariangela Gualtieri, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Mariella Nava, Susanna Nichiarelli, Piero Pelù, Vasco Rossi, Ron, Sydney Sibilia, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi e Margherita Vicario.

Gli artisti vincitori del concorso, si esibiranno tutti e otto sia venerdì 20 che sabato 21 giugno. La somma dei voti del pubblico delle due serate consacrerà il Vincitore Assoluto della XXXVI edizione, al quale andrà il Premio Banca Macerata di 20.000 euro.
I nomi dei vincitori saranno svelati il prossimo 12 giugno, durante il concerto in diretta su Rai Radio1 dalla storica Sala A di Via Asiago a Roma, appuntamento attesissimo che rappresenta uno dei momenti cardine del percorso artistico della manifestazione.

La direzione artistica di Musicultura, fedele alla propria vocazione di valorizzazione della canzone d’autore contemporanea, promette anche per quest’anno un cartellone ricco di sorprese: i presentatori delle due serate e gli ospiti in cartellone verranno annunciati nei prossimi giorni.

Musicultura presenta REFRESH

Con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”, Musicultura arricchisce la settimana finale del Festival con una nuova iniziativa: Refresh.

Dal 17 al 19 giugno, in Piazza Vittorio Veneto a Macerata, tre serate di musica live a ingresso gratuito offriranno al pubblico l’occasione di ritrovare alcuni artisti già premiati sul palco dello Sferisterio. Un nuovo spazio d’ascolto nel cuore della città pensato per valorizzare i talenti emersi dal Festival.

Programma

MARTEDÌ 17 GIUGNO

Yosh Whale

MERCOLEDÌ 18 GIUGNO

The Snookers

GIOVEDÌ 19 GIUGNO

Nico Arezzo

Anna Castiglia

INTERVISTA – Quando il suono trasmette, le parole non servono

Se si parla di affinità musicale, quella tra Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello non può non essere citata. Vent’anni di amicizia, di spettacoli in giro per il mondo hanno creato tra loro una connessione unica, fatta di complicità e note che si rincorrono tra loro in un dialogo che fluisce naturalmente, senza bisogno della mediazione della parola. La loro musica è un viaggio continuo, animato dalla ricerca non solo del sublime, ma anche e soprattutto dell’emozione, del sentimento che la musica riesce a veicolare senza artifici. In occasione della loro partecipazione al concerto dei finalisti di Musicultura 2025, Fabrizio Bosso ci apre le porte del suo mondo: un luogo in cui la tecnica è corpo ma dove la connessione è anima. Un luogo dove l’istinto dirige le mani ancor più della testa, e dove l’emozione è chiave. Con il ricordo affettuoso rivolto a Pino Daniele e al suo spirito jazz, e lanciando sguardo verso le nuove proposte, ci racconta cosa significhi rimanere ancorati con tenacia alla propria arte e alla propria espressività.

Lei e Mazzariello vi conoscete e collaborate da oltre vent’anni, condividendo un percorso artistico ricco di progetti, tournée e momenti di crescita. Dal 2010, il vostro dialogo musicale tra tromba e pianoforte ha trovato una sintonia che non si è più interrotta. Qual è la formula che vi ha permesso di mantenere un’intesa così solida nel tempo, continuando a lavorare insieme ai massimi livelli? Vi è mai capitato di dover ripensare il vostro modo di suonare insieme, riscoprendovi attraverso nuove sfumature e possibilità espressive?

Semplicemente, con Julian tutto questo avviene perché ci sono grande fiducia, complicità e stima, non solo a livello musicale, ma anche a livello umano. Suoniamo da tanti anni e una volta raggiunto un certo livello tecnico con lo strumento, che ti permette di fare il professionista, si inizia a cercare altre cose per riuscire a fare musica a certi livelli. Nel jazz è importante stare sul palco con persone di cui ci si fida e per cui si ha stima, una stima che deve andare anche al di fuori dell’ambito musicale. Ho visto, per esempio, progetti come le all star band, composte da tanti leader fortissimi, solisti fortissimi, che però magari messi insieme non funzionano. A un certo punto bisogna abbandonare la singolarità e cercare, se si vuole fare musica, di farla insieme agli altri. Con Julian c’è questa cosa: io so che lui è sempre connesso, come lui sa che io sono sempre connesso a lui, di conseguenza possiamo azzardare, assumerci dei rischi. Nella tua domanda hai fatto riferimento a una cosa bella: andare a cercare qualche affinità diversa negli anni. Ma avviene in modo naturale. Se suoniamo 3-4 giorni di fila anche con lo stesso repertorio, ogni sera c’è qualcosa che cambia, perché uno dà lo stimolo all’altro: modificando un po’ la velocità di un brano o anche solo il ritmo melodico, si può far prendere un’altra strada. Queste cose si possono fare solo tra musicisti tra loro molto coesi, che condividono fiducia. Per fare musica insieme serve questo tipo di complicità.

Nel jazz, il confine tra il controllo e l’abbandono è sottilissimo: bisogna avere una padronanza assoluta dello strumento, ma anche capacità di lasciarsi andare. Come si bilancia questa tensione tra disciplina e libertà? Vi è mai successo che l’istinto vi portasse in una direzione che la tecnica da sola non avrebbe mai suggerito?

Rispondo con un esempio: non che fosse un trombettista che non sapesse suonare, però rispetto ad altri Chet Baker era meno “pirotecnico”. Ma era un poeta: pur facendo cose meno tecniche, riusciva ad arrivare alla gente; ogni singola sua nota aveva un peso importante. Ecco, c’è anche questo modo di arrivare. Però per chi decide di intraprendere la professione la prima cosa è imparare a suonare bene lo strumento. E quando sei molto preparato, può accadere che si sfrutti la tecnica in maniera non musicale: puoi diventare un po’ un circense, uno che vuol far solo vedere che sa muovere le dita, che sa fare certe cose; ma non vien fuori la musica. Quello che hai detto è corretto: la cosa veramente difficile è bilanciare, riuscire a sfruttare tutto quello che si è studiato. Quanto suggerivano sempre i vecchi musicisti americani – «Studiate un sacco di armonia, studiate tutto, e poi quando salite sul palco, mi raccomando, dimenticate tutto quello che avete studiato» – era un modo per dire: «Liberate la mente da tutte le formule, suonate». Per farlo, bisogna riuscire ad assimilare talmente bene la tecnica che non ci devi più pensare, ma devi tirarla fuori solo per quello che ti serve musicalmente in quel momento. Ed è un lavoro, questo, che non finisce mai.

Quest’anno ricorrono dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, artista che ha segnato profondamente la musica italiana. Lo scorso anno avete pubblicato un album tributo al suo repertorio: come siete riusciti a mantenere intatta la sua cifra stilistica, reinterpretandola, allo stesso tempo, attraverso la vostra sensibilità musicale?

Rispettando le sue melodie meravigliose. Non siamo neanche andati a stravolgerle troppo armonicamente, semplicemente in alcuni brani abbiamo creato delle strutture che ci permettessero di aprire i soli ed entrare nel mondo del jazz, suoniamo la sua musica, però poi magari i soli che normalmente nei suoi concerti erano delle piccole parentesi per noi diventano nuove piattaforme per suonare, per divertirci, per poi ricollegarci al suo tema. In alcuni casi, per esempio, non ce la siamo neanche sentita di trasformare i suoi brani in brani jazz o di fare dei soli. Perché quella melodia è così perfetta che suoniamo solo quella; facciamo un’intro libera, prima, per poi andarla a suonare, per cercare di far sentire quanto ci abbia sempre ispirato la sua musica, anche nel nostro mondo jazz. Del resto, Pino Daniele comunque era un jazzista: era un grande improvvisatore ed era appassionato di jazz. Siciliy è stata scritta da Chick Corea, uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi. Per dire, ha fatto tour anche con jazzisti italiani, quindi, è molto vicino al nostro genere. Per questo non è stato difficile entrare nel suo mondo suonando la sua musica.

Tra le vostre collaborazioni più significative, WE4 (2020) si distingue per la capacità di veicolare messaggi profondi grazie alla sola musica strumentale. One Humanity, in particolare, è un inno alla solidarietà e alla fratellanza, valori essenziali in ogni epoca e contesto, ma che in quel momento storico risuonavano con particolare urgenza. Senza l’ausilio di parole, come riuscite a veicolare concetti così universali e attuali esclusivamente attraverso le note? E come è nato quel progetto?

Il progetto è nato, innanzitutto, con un quartetto che esiste da un po’. L’idea di »quest’ultimo disco era di scrivere della musica insieme, trovarci in studio, lanciare delle idee. Così è stato. Abbiamo registrato tutto il disco in presa diretta, senza fare sovra incisioni e senza cuffie. L’idea era proprio quella di tirare fuori il suono che sentivamo in quel momento senza aggiungere altre cose sopra. Il brano One Humanity è nato in un momento particolare, in un momento abbastanza tosto che stavamo attraversando tutti. Ma anche proprio per come stava andando il mondo, è venuta fuori questa melodia. L’abbiamo mandata a Julian, lui l’ha sviluppata ed è nato questo brano che creava un sound forte, profondo. Così abbiamo pensato che fosse giusto dedicarlo all’umanità, alle ingiustizie che spesso subisce. Del resto, per me nei concerti ci deve essere tutto: il momento di allegria, il momento intenso in cui si riflette su come sta andando il mondo. Ecco, quello che mi piace è quando, proprio alla fine di un concerto, arriva gente che mi dice: «Mi hai fatto piangere, mi hai fatto ridere». È quello che proviamo a portare sul palco, un po’ tutte le emozioni che sentiamo.

Avete trasformato il vostro talento in una carriera internazionale, esibendovi sui palchi più prestigiosi e collaborando con grandi nomi della musica. Guardando al vostro percorso, quale pensate sia la chiave per distinguersi oggi? E quale consiglio dareste ai giovani finalisti di Musicultura che vogliono lasciare il segno con la propria musica?

La chiave per distinguersi è essere se stessi. Sempre. Non lasciarsi influenzare da proposte che magari non senti tue. Se uno sente che quella proposta non sta nelle sue corde, non si deve far ingannare solo perché sembra che lì possano esserci i soldi o la notorietà. Questa cosa di Musicultura mi piace, perché i ragazzi non vengono qui sperando di entrare a X-Factor o di andare a Sanremo: vengono qui per portare la loro musica, far ascoltare quello che sentono. Si respira una bella atmosfera qua, anche di fratellanza, e questa cosa è molto bella. Io Sanremo l’ho fatto, 6-7 volte; è stato divertente perché ovviamente vestivo sempre i panni dell’ospite, facevo i miei soli, le mie cose, la vivevo un po’ da esterno. Però mi rendevo conto dello stress. Fare televisione e cose con un ritmo così, per 7-8 ore, può anche arrivare a distoglierti un po’ dalla musica. Quindi il consiglio che do ai giovani è, se sentono qualcosa di vero, di portarlo avanti. Poi ci vuole anche un po’ di fortuna, però sicuramente la tenacia aiuta.