INTERVISTA. A Musicultura Brunori Sas, il cantautore alla ricerca dello stupore

Dario Brunori, in arte Brunori Sas, è stato uno degli ospiti più attesi di questa XXIX edizione di Musicultura; reduce dall’esperienza televisiva del suo primo programma “Brunori Sa”, andato in onda la scorsa stagione su Rai3, domenica 17 giugno il cantautore siciliano è tornato ad esibirsi sul palco del Festival e a La Controra, occasione in cui ha intrattenuto il pubblico con i racconti incentrati sulla sua musica e sulla vita professionale.

Membro del Comitato Artistico di Garanzia del concorso, Brunori ha avuto un ruolo importante nella scelta degli 8 vincitori, avendo ascoltato il disco contenente i brani dei 16 finalisti di Musicultura e avendo dato un voto alle proposte artistiche che ha ritenuto più interessanti. In riferimento alla sua musica socialmente “impegnata”, grazie alla quale ha ottenuto grandi riconoscimenti, ha confessato: “Ho avvertito un’emergenza emotiva di raccontare la cronaca”. È un artista, oltre che uno dei più famosi cantautori della scena musicale italiana, che negli anni ha saputo raccontare la società con parole semplici e vere, mantenendo un proprio stile e facendo dell’onestà artistica la sua cifra stilistica. Anche alla redazione di Sciuscià ha voluto parlare delle tante sensazioni e dei pensieri racchiusi nelle sue canzoni, ma anche del nuovo progetto vissuto come conduttore.

L’Amnesty International Italia ha premiato il suo pezzo, L’uomo nero, come miglior brano sui diritti umani. Un testo sottile e politicamente impegnato. Com’è nato? C’è stato un evento particolare che l’ha spinto a scrivere di intolleranza?

Sì, la storia è nata quando ho incontrato un ragazzo sulla linea 90 a Milano, che cantava il Corano. Questo evento ha scatenato in me una sorta di attrito tra il mio non essere influenzato da ciò che mi circonda e la realtà intorno, fatta di una serie di paure che pensavo di non avere. Quel momento e tante altre occasioni mi hanno spinto a scrivere il pezzo. Ho sicuramente cercato di raccontare da una parte la sensazione di amarezza che stiamo vivendo tutti, dunque la consapevolezza che ci sia un ritorno di fiamma di alcune vicende che pensavamo fossero seppellite, di paure e pregiudizi considerati ormai lontani; dall’altra invece l’idea che di fronte a tutto questo non possiamo puntare il dito contro qualcuno e ammettere che alcuni argomenti non ci interessino. Dobbiamo provare a comprendere noi stessi e le nostre angosce per capire anche gli altri, cercando così di trovare una chiave di lettura che non sia solo “io sono contro di te perché tu pensi qualcosa che per me è assurdo”. Citando una frase attribuita a Gaber, ognuno deve analizzare prima il mostro che ha dentro, per poi capirlo. In ogni caso, molte cose che sto dicendo adesso le sto comprendendo mano a mano, a posteriori; nel momento in cui scrivo sono spinto dalle mie emozioni e non so davvero i motivi che ci sono dietro ad alcuni argomenti che affronto nei miei brani.

Restando in tema, secondo lei perché si avverte di più questa intolleranza di cui parla? Come mai sta aumentando il nazionalismo e forse il cinismo, nel nostro Paese? 

Sicuramente il motivo risiede nell’incertezza e nell’insicurezza nei confronti del futuro. Lo straniero è sempre stato il bersaglio più semplice; questo lo dicono anche molti di studiosi. Accusare una minoranza è più facile e consente di dare spiegazioni che altrimenti sarebbero troppo complesse da ricercare. Noi sappiamo benissimo che la realtà che viviamo oggi non può essere causata semplicemente dall’arrivo di altre persone nel nostro Paese; così capita che l’immigrato viene visto come una sorta di capro espiatorio, un problema concreto e visibile. Baumann affermava che se non ci fosse stata la figura dello straniero, qualcuno avrebbe dovuto inventarla. Chi governa sa che è facile agire in questa direzione. Purtroppo, come diceva una famosa sentenza di un filosofo, quando c’è in atto una guerra tra le fasce dei più poveri, il massimo potere ne esce vincitore e a lui conviene questo odio.

Quest’anno ha indossato anche le vesti di conduttore televisivo e protagonista in “Brunori Sa”, un programma di ironia, poesia e musica. Com’è nato questo progetto? 

È nato un po’ per caso e senza tante aspettative. Abbiamo voluto creare una trasmissione che potesse fungere da documentario, da fiction e da serie televisiva. Ad ogni puntata ho invitato alcuni amici: cantautori e non, per cui provo ammirazione o con i quali ho instaurato, negli anni, rapporti di amicizia. È stato fondamentale che io già conoscessi le persone che ho voluto nel mio programma, perché con loro ho avuto la giusta confidenza per trattare alcune tematiche. L’argomento di ogni episodio è stato poi decisivo nella scelta sia delle materie da affrontare, sia dei brani da eseguire.

Molti la etichettano nel genere “indie”, nato per contraddistinguere gli artisti indipendenti. Com’è cambiato questo stile? Chi sono oggi i cantautori indie? 

L’indie è un contenitore di cose diverse fra loro, ma allo stesso tempo collegate da un’attitudine a creare “dal basso”, per far sì che i progetti vengano fuori quasi in una maniera spontanea. Gli artisti indie non si sono mossi secondo le regola classiche della discografia “ufficiale”; partendo da questa premessa, c’è distanza dal percepire lo stile indipendente come un’estetica musicale. C’è da dire che oggi identifichiamo con l’indie l’itpop, una corrente melodica, all’italiana, che racconta situazioni vicine ad una parte della società, quella dei giovani. Personalmente io non mi riconosco nell’atteggiamento attuale dell’indie; questo genere prima era caratterizzato da suoni aspri, si poteva definire combattivo e combattente. Adesso analizzare i suoi contenuti può essere interessante; si potrebbe fare un confronto con la narrazione degli anni ’90 e quella attuale, in modo da cogliere i cambiamenti della società e della fascia giovanile.

Facendo parte del Comitato Artistico di Garanzia del Festival, ha ricevuto il disco con i brani dei 16 finalisti di Musicultura, per poter ascoltare e valutare le proposte in concorso. Su quale aspetto si è focalizzata di più la sua scelta di voto? 

Mi hanno sorpreso maggiormente le proposte artistiche che hanno un qualcosa di innovativo da raccontare. Come ascoltatore cerco degli elementi che vadano al di là della tradizione, seppure come cantautore sia legato ad essa. Sollecito a proseguire il loro percorso quegli artisti che, anche in modo naïf, mi fanno provare stupore, curiosità e voglia di conoscenza.

INTERVISTA: “Un film è un viaggio”: il regista Gianni Amelio a La Controra di Musicultura 2018

Venerdì 15 giugno, a La Controra della XXIX edizione di Musicultura, Gianni Amelio ha presentato il libro “Padre quotidiano”, nel quale delinea i tratti principali del rapporto molto sofferto tra genitore e figlio, che lui stesso ha analizzato attraverso il cinema e la scrittura.

Da “Colpire al cuore” fino a “La tenerezza”, sotto l’occhio della sua cinepresa si sono susseguiti quasi 40 anni di storia e di cinema d’autore italiano; nei suoi film i temi inerenti all’attualità, alla politica e alla società sono analizzati sempre attraverso un’indagine sull’introspezione umana, mettendo in risalto sentimenti ed emozioni. L’argomento centrale, in gran parte della produzione cinematografica del regista, è la paternità, che gli è molto caro: Amelio infatti ha dovuto affrontare un’infanzia difficile, avendo vissuto l’abbandono da parte del padre; lui stesso inoltre ha un figlio in adozione, un ragazzo albanese conosciuto durante le riprese del film “Lamerica”.

In questa intervista, il famoso sceneggiatore ha parlato di questo e di molto altro anche con la redazione di Sciuscià, lasciandosi andare ai racconti sulla sua vita e sulla brillante carriera all’insegna della cinematografia.

Da “Colpire al cuore” fino al suo ultimo film “La tenerezza”, il rapporto tra padre e figlio è stato un tema costante in tutta la sua produzione cinematografica; come mai? 

Diciamo che le storie e i sentimenti che uno racconta, così come gli argomenti di un film o di un libro, non arrivano mai per caso. A volte non bisogna neanche andarli a cercare, perché vivono in ognuno di noi e, quando capiscono che è il momento giusto, bussano per uscir fuori e ci dicono: “Quand’è che parli di noi? Quand’è che ci racconti?”. Io ho avuto un’infanzia che non rientra proprio nella norma familiare, perché sono vissuto senza una figura paterna, che tra l’altro ho conosciuto solamente quando avevo 17 anni. Tutto questo mi ha segnato in maniera negativa. A scuola mi ripetevano che non avevo un papà, eppure sapevano che non ero orfano. Mio padre era emigrato in Argentina e aveva in qualche modo abbandonato mia madre, come era successo anche a mia nonna e a tanta gente del mio paese, che è San Pietro di Magisano, in provincia di Catanzaro. All’epoca da noi esistevano le “vedove bianche”, ovvero quelle donne rimaste sole, a casa, per occuparsi dei figli perché i loro mariti sono stati costretti, per cercare fortuna, ad allontanarsi dalla loro terra per andare dall’altra parte dell’oceano. Questa è la mia storia, ma è anche quella di tante famiglie calabresi e siciliane che hanno vissuto negli anni prima della guerra e anche nel dopoguerra. Noi eravamo un po’ come i migranti di adesso o come gli albanesi che venivano nel nostro Paese. Il tema della paternità, che ricorre spesso nei miei film, nasce come una fatalità, da un bisogno interiore: nel momento in cui una persona ha sperimentato sulla propria pelle certe esperienze, è chiaro che in qualche modo queste emergano.

“Lamerica” è la storia di un viaggio verso l’Italia: quello dei tanti albanesi che fuggono dalla povertà, ma anche quello di Michele, che cerca di tornare a casa in Sicilia. Perché nei suoi film – penso ad esempio anche a “Il ladro di bambini” – troviamo spesso dei personaggi “in cammino”? 

Perché il cammino è una ricerca che dovrebbe portarci ad una vita migliore. Da una parte anche questo tema è autobiografico, dato che anche io mi sono dovuto spostare dal mio paese per lavorare. Anche un film è un viaggio, che prende il via con delle persone dapprima sconosciute, che poi però diventano come membri di una famiglia. Raccontare una storia è come muovere i passi in un percorso che si snoda tra i nostri sentimenti. Il mestiere del regista è formato da due aspetti: da un lato si cerca di raccontare la propria esperienza e si è sempre protesi verso la ricerca di una realtà e di un futuro; dall’altra bisogna tener conto del prodotto cinematografico, che è un po’ la metafora di questa indagine.

È proprio durante le riprese di “Lamerica” che si svolgono i fatti narrati nel libro “Padre quotidiano”: per quale motivo ha deciso di raccontarli scrivendo un romanzo, piuttosto che stando dietro la macchina da presa? 

Ho realizzato “Lamerica” in un momento in cui sentivo il bisogno di raccontare come un paese, l’Albania di allora, si sforzasse il più possibile per uscire dalla condizione spaventosa nella quale si trovava. Il mio intento non era quindi quello di filmare vicende già riprese e mostrate. Successivamente ho capito che m’interessava sperimentare un’altra forma di comunicazione, ovvero la scrittura. Non è stato facile, pur essendomi cimentato durante la mia carriera nella realizzazione delle sceneggiature dei miei film; lavorare ad un testo cinematografico è diverso, perché in esso le battute possono anche trasformarsi in corso d’opera. Invece per scrivere un libro bisogna trovare le parole giuste, il tono esatto ed essere il più possibile sinceri, senza nascondersi dietro le cose. E’ stato naturale, necessario, quasi obbligatorio, utilizzare un altro mezzo per raccontare determinati momenti.

Anche se nel suo cinema prevalgono spesso l’intimità e i sentimenti, ogni suo film ha anche uno sguardo critico sulla società. Quali temi legati alla contemporaneità ha voluto mettere in luce in “La tenerezza”? 

In “La tenerezza” ho voluto dare risalto all’intimità degli uomini e a ciò che si nasconde dietro dietro ad una famiglia apparentemente felice, come l’incomprensione tra un padre e una figlia; magari ho affrontato temi meno sociali e meno politici rispetto a quelli presenti in “Ladro di bambini” o “Così ridevano”, in cui trattavo la migrazione interna in Italia. Però secondo me le storie familiari vanno raccontate, dato che il privato è anche politico. Non è che i sentimenti personali siano staccati dalla realtà e dal nostro ruolo all’interno della società: tutto è collegato e in ogni momento vissuto esplodono le nostre pulsioni, ad un certo punto. In “La tenerezza”, che è forse il film più personale che ho realizzato, da una parte racconto la mia età, perché è la prima volta che inserisco un protagonista che ha i miei stessi anni e poiché in qualche modo mi interrogo sul motivo dell’incomunicabilità tra genitori e figli; dall’altra mi soffermo su una piccola famiglia, apparentemente felicissima, che nasconde però delle nevrosi. Faccio riferimento anche a delle vicende che purtroppo ci circondano e che ogni tanto vediamo esplodere persino nella cronaca.

 Alcuni artisti che partecipano a questa edizione di Musicultura hanno espresso il loro desiderio di comporre colonne sonore per il cinema: vuole dare loro qualche consiglio su come adattare un brano ad un prodotto cinematografico? 

Io penso ad entrambi le cose, dunque alla colonna sonora e all’immagine; la maggior parte della volte però ho prima in mente la musica. Mi appassionano molto gli artisti che cantano dei loro tormenti, dei dolori e di vicende che sento a me vicine. Così nei miei film, piuttosto che inserire una musica intesa come commento di un episodio, spesso preferisco includere delle melodie che nascono da una storia ben precisa. Oppure ci sono pezzi che io amo, indipendentemente dal progetto a cui lavoro;  ad esempio “La tenerezza” non ha una colonna sonora composta da un musicista e poi applicata alle immagini, ma ha come anima una canzone greca che ho sentito quando ero ragazzino, un pezzo degli anni ’60 di cui non ho mai capito tutte le parole. Solo adesso le ho un po’ imparate, tradotte in italiano, e mi sembra che queste ben si sposino con i caratteri dei personaggi. È una musica malinconica, tenera e non drammatica; la storia invece ha degli scossoni di grande violenza. Da un lato è una colonna sonora che conduce apparentemente al sogno, dall’altro verso la realtà cruda, che ti scuote e talvolta ti uccide: questi due aspetti formano il contrasto giusto trasmettere il senso del film.

INTERVISTA. La bellezza della quotidianità nella poesia di Ron Padgett, a La Controra di Musicultura

La Controra di Musicultura è, come di consueto, anche poesia. Ron Padgett, al Cortile del Palazzo Municipale, giovedì 14 giugno ha proposto al pubblico l’opera di una vita, dialogando con il suo traduttore dall’italiano, Damiano Abeni, e con Ennio Cavalli.

Il poeta americano, voce primaria della seconda generazione del gruppo artistico d’avanguardia della New York School, ha all’attivo numerose raccolte poetiche e, nel corso della sua brillante carriera, ha ricevuto molti riconoscimenti, fra i quali ricordiamo la Frost Medal, conferitagli proprio quest’anno dalla Poetry Society of America. Ha inoltre collaborato col regista Jim Jarmusch nella sua ultima pellicola “Paterson”, scrivendo le poesie per il protagonista del film. Durante l’evento che si è tenuto a Macerata, si è assistito ad un reading a due voci: insieme ad Abeni, Padgett ha letto i suoi versi, in doppia lingua, colmi della bellezza che si può percepire nella nostra quotidianità, la stessa in cui sono custodite l’intimità e la spontaneità dei gesti e delle parole di tutti noi.

Ha lavorato nell’ultimo film del regista Jim Jarmusch “Paterson”. Com’è stato vedere le sue poesie, dalla pagina scritta, proiettate sul grande schermo? 

È stato un grande onore, oltre che un’esperienza fantastica, che mi è piaciuta tantissimo. Non mi era mai capitato di sentire le mie poesie in un’opera cinematografica, tra l’altro così importante. Nel film compaiono alcuni testi che avevo già scritto in precedenza, altri invece composti per l’occasione; è impossibile distinguerli, perché sono perfettamente omogenei. Quando Jim mi ha chiesto di scriverne di nuovi, però, all’inizio ho rifiutato: sarebbe stato un lavoro troppo impegnativo e tanta sarebbe stata la pressione. Subito dopo, invece, mi sono messo al lavoro. È stato naturale, anche perché io e lui siamo amici da molti anni.

Lei è uno dei poeti più influenti della New York School. Cosa ha significato questo movimento artistico nel panorama letterario americano? 

È il nome che gli hanno dato, New York School. In realtà non era una scuola, né un movimento, ma semplicemente un gruppo di amici. I primi che ne hanno fatto parte sono John Ashbery, Kenneth Koch, Frank O’Hara, James Schuyler. Poi c’eravamo io e altri poeti più giovani, molto influenzati dagli intellettuali di quella corrente. Non spetta a me dire quale sia stato l’impatto di questo comitiva sulla poesia americana, ma so che in ogni caso ha avuto una gran rilevanza a livello letterario.

Il numero dei lettori di poesia sta attualmente diminuendo. Qual è la ragione, secondo lei? E quale, in questo momento, il ruolo dell’arte poetica nella società?

In realtà devo dire che in America, in questo periodo, la poesia ha una visibilità sempre maggiore persino in tv, nonostante rimanga comunque un genere di nicchia. Per rispondere alla domanda, dovrei essere come un dio e tenere dunque le fila di quello che succede sulla terra.

Non è soltanto un poeta, dato che lavora anche come traduttore dal francese. Che ruolo ha avuto la poesia europea sullo sviluppo di quella americana? 

La poesia europea ha avuto una grandissima influenza soprattutto su certi autori americani, come quelli che ho nominato prima: John Ashbery, Frank O’Hara, Kenneth Koch, James Schuyler. A volte riusciamo a leggere le opere che arrivano dall’Europa direttamente in lingua originale, altre volte dobbiamo ricorrere alla versione tradotta. Uno dei poeti più importanti per Kennet Koch è stato, ad esempio, Ariosto. Poi Garcia Lorca, Apollinaire, Rilke, Majakovskij e molti altri: la lista di importanti intellettuali europei è lunga.

Musicultura è un festival che promuove la canzone d’autore. Pensa che la poesia e la musica siano così distanti o possano andare di pari passo? 

Sì, potrebbe assolutamente capitare che vadano di pari passo anche se, secondo me, una perfetta fusione tra l’arte musicale e quella poetica sia molto complessa da mettere in atto. In Gran Bretagna, durante il periodo elisabettiano, Thomas Campion, essendo sia poeta che musicista, univa queste sue attitudini, componendo dei brani. Così capitava anche in Francia. Attualmente, un esempio di questa commistione di generi si può notare in Bob Dylan. In ogni caso credo che l’ideale sarebbe riuscire a realizzare un qualcosa che bilanci gli elementi prettamente poetici, con quelli musicali.

Musicultura 2018: in onda su Radio1 Rai lo special dedicato alle tre serate delle Sferisterio

Rai Radio1 proporrà venerdì 22 giugno a partire dalle ore 21, uno speciale con il meglio delle note ascoltate sul palco dell’Arena Sferisterio di Macerata in occasione di Musicultura 2018. Le serate, condotte da Gianmaurizio Foderaro, Metis Di Meo e John Vignola, hanno visto alternarsi alcuni tra i nomi più illustri della canzone italiana ed internazionale. Così, dopo il boom di visitatori per le dirette su Facebook attraverso i canali di Rai3, Radio1, Musicultura e Sos Italia, domani sera si potranno riascoltare le performance degli otto vincitori del concorso a cui si aggiungeranno le voci di Malika Ayane, Brunori Sas, Mirkoeilcane, Procol Harum, Sergio Cammariere, Lo Stato Sociale e Willie Peyote. Uno spazio particolare sarà dedicato a Davide Zilli, emiliano che con la sua ‘Coinquilini’ si è aggiudicato l’edizione 2018 di Musicultura precedendo Daniela Pes, Marco Greco e Pollio.

“Ci siamo, quello di Radio1 è il secondo step che segue la diretta social che ha garantito – grazie a Rai3, Rai Radio1, Sos Italia e Musicultura – una ricaduta davvero importante per ciò che abbiamo proposto nell’Arena Sferisterio. – ha dichiarato il Direttore Artistico di Musicultura Piero Cesanelli – Con Davide Zilli abbiamo confermato in pieno ciò che Musicultura si è sempre prefissata:  proporre una canzone popolare ma intelligente e per nulla retorica. Fin d’ora stiamo immaginando l’edizione numero 30 di Musicultura e lo stiamo già facendo con i nostri partner storici a partire dalla Regione Marche, il Comune di Macerata e, naturalmente la Rai che ci ha seguito anche quest’anno con attenzione e professionalità. Sono molto curioso dell’impatto che Musicultura avrà questa estate su Rai3 che ci ha accolto con grande entusiasmo”.

Davide Zilli è il vincitore assoluto di Musicultura 2018. Brunori Sas e Mirkoeilcane un grande ritorno sul tempio della musica marchigiano

“È un premio che non mi aspettavo perché i cantautori sono per DNA abituati a soffrire – ha detto Davide Zilli vincitore assoluto della 29° edizione di Musicultura – ho sviluppato un po’ con gli anni il pessimismo di Giacomo Leopardi… da domani farò solo tormentoni estivi in spagnolo”.

L’ironico e irriverente professore di italiano al mattino all’Itis Da Vinci di Parma e cantautore pianista classico e jazz la sera, ha così commentato umoristicamente in conferenza stampa la sua vittoria a Musicultura 2018 con la canzone ‘Coinquilini’.
Giocando con le parole, connotate da un’ironia pungente, Davide Zilli ha dedicato il brano di teatro canzone “Coinquilini” agli studenti universitari che si trovano a vivere in quella sorta di “comunismo coatto”, come il cantautore l’ha sarcasticamente definito, che è l’appartamento condiviso. “Né fratelli né cugini, siamo coinquilini” una divertente riflessione sulla vita universitaria. A lui, oltre al Premio per il miglior testo dell’Università di Macerata e Camerino, vanno i 20 mila euro del Premio UBI Banca di Musicultura che userà per preparare il suo nuovo disco.

Il cantautore romano Marco Greco con ‘Abbiamo vinto noi’ si è aggiudicato il Premio della critica.

Una memorabile serata che ha registrato il sold out all’Arena Sferisterio di Macerata e quasi 150.000 persone che hanno assistito alle dirette su Facebook tramite le pagine di Rai3 e Rai Radio1. La conduzione dei tre brillanti presentatori, Gianmaurizio Foderaro e John Vignola di Radio 1 Rai e la splendida Metis Di Meo, ha affascinato il grande pubblico del Festival nella sfida finale tra i quattro super finalisti di Musicultura dove Davide Zilli ha avuto la meglio su Pollio, Daniela Pes e Marco Greco.

L’esibizione di Mirkoeilcane si è aperta nel ricordo di Fabrizio Frizzi che sul palco di Musicultura, un anno fa, lo ha decretato vincitore assoluto del Festival 2017. Metis Di Meo ha letto al pubblico il commovente messaggio che Mirko ha pubblicato su Facebook il giorno della scomparsa dell’amato conduttore e nel lungo ed emozionante applauso dei presenti, Mirkoeilcane ha intonato le note della canzone con cui ha vinto Musicultura ‘Per Fortuna’ dedicandola a Fabrizio Frizzi. “ Mi sembra di non essere mai sceso da questo palcoscenico, – ha detto Mirkoeilcane – qui c’è qualcosa di magico, mi sono accadute un sacco di cose nell’ultimo anno, posso dire con certezza che sono successe per merito di Musicultura.”

Il cantautore romano accompagnato dai suoi musicisti ha offerto al pubblico del Festival ‘Stiamo tutti bene’ la canzone che lo ha portato alla ribalta al Festival di Sanremo con la quale si è aggiudicato il secondo posto nella categoria Nuove Proposte e il prestigioso Premio della Critica e ha chiuso con un brano del suo nuovo disco Secondo me ‘Se ne riparla a settembre’.

Atmosfere suggestive e toccanti quelle regalate da Brunori Sas, sia al piano che alla chitarra, agli oltre 2.500 presenti allo Sferisterio con note cariche di emozioni tangibili. Il cantautore calabrese, tra i membri del prestigioso Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, ha proposto ‘Canzone contro la paura’, ‘L’uomo nero’ il brano premiato da Amnesty International per la sensibile tematica in difesa dei diritti umani, ‘Lamezia Milano’ e ha chiuso tra gli applausi emozionati del pubblico con la sua struggente ‘La verità.

Malika Ayane con la sua straordinaria voce ha ammaliato il pubblico del Festival con un inedito, e suggestivo ritratto della poetica di Jacques Brel, a quaranta anni dalla scomparsa del grande chansonnier belga. Ad aprire l’esibizione la lettura della poesia di Brel “Conosco delle barche” eseguita dall’attore Piero Piccioni
Malika Ayane ha interpretato in italiano ‘La chanson des vieux amants’’ e in francese ‘Le Prochain Amour’ accompagnata dall’ ottetto di archi dell’Accademia della Libellula con un suggestivo arrangiamento per corde. Una meravigliosa interpretazione che ha toccato il cuore dei presenti. “Brel è stato un ambasciatore dei sentimenti che abbiamo dentro, – ha dichiarato Malika Ayane – da lui mi piacerebbe imparare a tradurre le emozioni in parole e musica”
La raffinata ed eclettica cantante, applauditissima, ha chiuso l’ esibizione con una versione acustica del suo nuovo singolo “Stracciabudella” che fa parte dell’album Domino in uscita nell’ autunno prossimo, accompagnata al pianoforte da Carlo Gaudello e da Daniele Parsiani al violino.
Partner sociale di Musicultura SOS Villaggi dei Bambini un’organizzazione internazionale che opera da oltre 60 anni in 135 Paesi del mondo, per far crescere bambini e ragazzi che non hanno il sostegno della loro famiglia. “Il binomio musica-adolescenti è vincente– ha dichiarato la Presidente Maria Grazia Lanzani – ringrazio Musicultura per aver creato per noi la canzone “No child should grow up alone” i proventi andranno a sostegno dei bambini. Un messaggio molto forte per tutte le nostre organizzazioni nel mondo” .

Musicultura andrà in onda su RAI 3 il prossimo 19 agosto 2018 alle ore 23,15; Rai Radio 1 trasmetterà sabato 23 giugno “Speciale Musicultura”, dalle 21 alle 23, con il meglio delle serate finali con interviste e contributi dei grandi ospiti .

Davide Zilli è il vincitore assoluto della XXIX edizione di Musicultura

Dalla cattedra allo Sferisterio, con il brano Coinquilini Davide Zilli si aggiudica il Premio del Vincitore assoluto della XXIX edizione del Festival: “È stato veramente bellissimo, ci avete fatto sentire a casa”.

Lo Sferisterio si popola per la finale di Musicultura 2018 e, come di consueto, la serata si apre con C’è sempre un motivo di Adriano Celentano. In questa edizione del Festival la competizione è stata particolarmente serrata: 800 giovani artisti si sono iscritti al concorso, proponendo più 1200 brani al Comitato artistico di garanzia. Il primo a salire sul palco di Musicultura è Davide Zilli, uno spiritoso professore di italiano, che con il suo brano, Coinquilini, racconta la sconveniente situazione della convivenza che la maggior parte degli studenti universitari deve affrontare. È poi il momento di Daniela Pes, che si esibisce con Ca milla dia dì, un pezzo in lingua sarda modellato sui testi poetici di Don Gavino Pes. “Conserverò questa esperienza come un bellissimo ricordo”, dichiara la cantautrice sarda. Il terzo vincitore è Marco Greco il suo brano è Abbiamo vinto noi, il cantautore romano così si esprime davanti al pubblico: “È stata un’avventura splendida, emozionante e rivitalizzante. Musicultura sta facendo sopravvivere la raffinatezza”. L’ultimo artista è Pollio con Generico, che così ringrazia la città di Macerata e la popolazione: “Il pubblico ti accoglie, i maceratesi ci hanno ospitato in questo luogo facendoci sentire a casa”. Sul palco dello Sferisterio torna Mirkoeilcane, un anno dopo la sua vittoria alla XXVIII edizione del Festival, Mirkoeilcane e rivolge un augurio ai vincitori: “Che rimanga a loro la stessa immagine di questo luogo che è rimasta a me”. La prima canzone che canta sul palco è quella che l’ha portato al successo nella scorsa edizione del concorso, Per fortuna, che Mirko dedica a Fabrizio Frizzi; seguono poi Stiamo tutti bene e Se ne riparla a settembre.

A Musicultura 2018 è presente anche Maria Grazia Lanzani, rappresentante dell’associazione SOS villaggio dei bambini, importante associazione che si occupa di bambini senza cure familiari e che agisce in ambito internazionale; proprio lei dichiara: “Siamo qui perché la musica rappresenta la cultura, ma anche la solidarietà. La musica è universale, grazie ad essa i bambini riescono a comunicare tra di loro. Spero che questa esperienza possa essere messa a disposizione anche dei nostri ragazzi che hanno talento”. Nel corso della serata interviene anche il sindaco Romano Carancini: “A Musicultura e a Macerata si fa musica d’autore ad altissimo livello”.

Ospite della serata è Brunori Sas: il cantastorie della contemporaneità, membro del Comitato Artistico di Garanzia, diverte il pubblico con le sue battute e lo fa emozionare con alcuni dei suoi ultimi brani: Canzone contro la paura, L’uomo nero, Lamezia Milano e La verità. “È importante mettere in evidenza all’idea che stiamo dando spazio all’essere umano”, ricorda il cantautore cosentino.

Musicultura omaggia Jacques Brel con una poesia recitata da Piero Piccioni, che introduce anche il terzo ospite della serata: Malika Ayane. L’artista si esibisce con La chanson des vieux amants, resa in italiano da Battiato, e Le prochain amour, come lei stessa spiega: “Brel è stato un ambasciatore dei sentimenti che abbiamo dentro, da lui mi piacerebbe imparare a tradurre le emozioni in parole e musica”. Malika congeda con il pubblico di Macerata con il suo nuovo singolo Stracciabudella, che anticipa l’uscita del nuovo album “Domino”, così spiega la scelta del titolo del nuovo singolo: “È una canzone d’amore da ascoltare all’inizio di una storia, nei momenti tristi, anche quando l’amore finisce, le emozioni che si provano in questi momenti vanno dritte nello stomaco.”

Arriva il momento della premiazione di Marco Greco, vincitore del Premio della Critica; infine l’atteso momento della proclamazione del vincitore assoluto: è Davide Zilli a ricevere il Premio UBI – Banca del valore di 20.000 euro. Con le parole del professore e cantautore, termina la XXIX edizione di Musicultura: “È stato veramente bellissimo, ci avete fatto sentire a casa, ringrazio tutto lo staff di Musicultura, la mia band, la mia compagna e i miei studenti, quelli che ho avuto in passato, quelli di adesso e quelli che avrò in futuro. Insegnare e suonare sono due cose complementari; vorrei continuare a fare questa doppia vita dando il massimo sia da un lato sia dall’altro”.

UBI Banca è lieta di essere anche quest’anno su questo palco, come main partner di Musicultura, e di partecipare ad  un appuntamento ormai consolidato a livello nazionale ” ha dichiarato Paolo Galli, Responsabile della Direzione Territoriale di Macerata di UBI Banca. “Per il gruppo UBI  è sempre un orgoglio rivestire un ruolo così importante e sostenere il vincitore del festival  nel  muovere i primi passi in autonomia nel mondo della musica. La vicinanza a progetti culturali è parte integrante dell’azione di UBI Banca a favore del Paese e in particolare dei territori di maggiore presenza dell’istituto. In particolare il nostro sostegno a Musicultura, attraverso l’assegnazione del premio, vuole garantire continuità ad una manifestazione che è momento di intrattenimento e spettacolo, capace di promuovere bellezze, eccellenze e qualità del nostro territorio, come nella vocazione territoriale della nostra Banca. Grazie  a Musicultura e  complimenti al talento di Davide Zilli al quale auguriamo un percorso pieno di soddisfazioni”.

L’ultima serata del concorso, per la proclamazione del vincitore assoluto del Festival

Un ricordo e un omaggio ad un carissimo amico del Festival, Fabrizio Frizzi, ha dato il via alle finali: il fratello Fabio Frizzi al pianoforte, per l’occasione si è esibito con La Compagnia, ed ha ricevuto le chiavi dell’Arena Sferisterio, consegnate dal sindaco di Macerata Romano Carancini.

Ora la XXIX edizione di Musicultura si avvia verso la finalissima del concorso, presentata da John Vignola, Gianmaurizio Foderaro e Metis Di Meo; stasera infatti all’Arena Sferisterio si esibiranno i quattro artisti più votati dal pubblico nelle due serate precedenti, del 14 e 15 giugno: Marco Greco, con il brano “Abbiamo vinto noi”, Daniela Pes con “Ca milla dia dì”, Davide Zilli con “Coinquilini” e Pollio con “Generico”; sarà proprio uno di loro ad aggiudicarsi il Premio UBI – Banca del valore di 20.000 euro.

Stasera la rassegna si concluderà, come sempre, con lo spettacolo di grandi ospiti di successo; saranno infatti sul palco Brunori Sas, Mirkoeilcane, vincitore della XXIII edizione della rassegna, e per la prima volta Malika Ayane, con l’Accademia della Libellula.

Per chi volesse seguire l’ultimo appuntamento di Musicultura, questo sarà trasmesso in diretta sulle pagine Facebook di Musicultura, Rai3 e Radio1 Rai.

Musica, cultura e spettacolo: l’Arena di Macerata nei giorni scorsi ha ospitato grandi nomi della musica italiana e internazionale, i Procol Harum, Lo Stato Sociale, Ron Padgett, Sergio Cammariere, Willie Peyote, Cinzia Leone, La Compagnia di Musicultura, oltre agli altri quattro vincitori del concorso, quindi Alberto Nemo, Zoni Duo, Francesco Rainero e Rakele.
Sono stati assegnati, durante le due serate finali di giovedì e venerdì, alcuni importanti riconoscimenti: Daniela ha vinto il Premio Nuovo IMAIE per la realizzazione di un tour e il Premio SIAE per la Migliore Musica, Davide Zilli il Premio per il Miglior Testo e Pollio invece ha ricevuto il Premio per la Miglior Interpretazione.

Siamo dunque giunti al momento conclusivo del concorso, in attesa di sapere chi sarà il vincitore assoluto della XXIX edizione di Musicultura, per festeggiare insieme, ancora una volta, la canzone popolare e d’autore.

Serata finale: domenica show con Brunori Sas, Mirkoeilcane e Malika Ayane. Live su Facebook

Tutto pronto all’Arena Sferisterio di Macerata dove, domani domenica 17 giugno a partire dalle ore 21, si svolgerà la serata finale di Musicultura che Rai3 e Radio1 proporranno in prima battuta live su Facebook in simulcast. Per la Rai è la prima esperienza crossmediale che viene proposta on line che anticipa la messa in onda in tv e radio: “Siamo davvero incuriositi da questo mix speciale di musica, contenuti, sguardo ai giovani e racconto del territorio: tutti elementi che appartengono all’identità di Rai3 e alla necessità dell’azienda di fare Servizio Pubblico”, ha spiegato Alessandro Lostia, Vice direttore di Rai3.

Dopo il live su Facebook, il 22 giugno proporremo uno straordinario speciale su Musicultura – ha detto Mario Prignano, Vice Direttore di Radio1che conterrà il meglio delle note ascoltate a Macerata. Sarà una primizia per i nostri ascoltatori attenti e interattivi”.

Sul palco dello Sferisterio, accompagnati dalle voci di Metis Di Meo, Gianmaurizio Foderaro e John Vignola, saliranno, tra gli altri: Brunori Sas, Mirkoeilcane e Malika Ayane.

INTERVISTA. Dori Ghezzi a La Controra: “Fabrizio ha avuto ragione nel credere a Musicultura”

Nonostante sia così semplice nella forma, “Lui, io, noi” è un titolo per nulla scontato; queste tre parole, infatti, racchiudono tre mondi, diversi ma intrecciati. L’autrice è, assieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, Dori Ghezzi, il cui primo accorgimento, scrivendo il libro, è stato quello di non dipanare una tale aggrovigliata matassa di rapporti umani ma, al contrario, lasciarne intatta la bellezza e la complessità.

Tra le pagine rivive un grandissimo uomo che ha significato tanto per molti, non solo per chi con lui ha condiviso i momenti più importanti: Fabrizio De André è stata una figura di riferimento per intere generazioni e continua ad esserlo, sulla scia dei valori che ha sempre vissuto, prima che cantato. Di questo ci parla, con una tenerezza luminosa, Dori Ghezzi, la sua straordinaria compagna.

“Lui, io, noi” è una raccolta degli incontri e dei momenti più significativi della vostra vita insieme, scritta con Giordano Meacci e Francesca Serafini, gli sceneggiatori del film “Principe Libero”. Come è nata l’idea di realizzare un libro a più voci?

Non è nata da me, come non è stata una mia idea la realizzazione del film; per anni non ho voluto approcciarmi ad opere del genere. Tuttavia, quando mi sono trovata di fronte Francesca e Giordano, mi sono convinta che era il momento per farlo e che avevo trovato le persone giuste. Insieme abbiamo parlato del libro dopo il film, dal quale alcuni anni fa è partito il progetto.

Dopo l’uscita del film “Principe Libero”, oltre ai tanti apprezzamenti, sono state espresse diverse perplessità su quello che non era stato raccontato. Considerato che, naturalmente, in una produzione del genere tagli e leggeri adattamenti sono inevitabili, quale scena, nel ricordo di Fabrizio, sceglierebbe di girare, immaginandosi lei dietro alla macchina da presa?

Ho sposato questo tipo di film per far conoscere alla gente il Fabrizio giovane e creativo del primo periodo della sua vita, nonché la sua formazione. Mi è mancata molto la sua parte fanciullesca, quando da bambino viveva a Revignano D’Asti, in campagna. Proprio questa sua fase ha giustificato tutte le decisioni che ha preso successivamente, come la scelta di abitare in Sardegna; purtroppo non è stato possibile mostrare questo periodo della sua infanzia, nonostante fosse già presente nella sceneggiatura. Il resto, soprattutto quel taglio a fine anni ’80, è stato voluto, anche perché è da lì che comincia il momento più noto della vita di Fabrizio. È stata fatta una scelta drastica, poiché non è stato possibile prendere tutto in considerazione: puntare sulla sua attività creativa o sul suo essere uomo, sulla sua umanità.

Ironicamente Fabrizio diceva che avrebbe voluto vivere come un moderno Oblomov, il personaggio letterario ottocentesco, celebre per la sua indolenza. Voleva così rimarcare la sua pigrizia-attiva che lo portava a chiudersi in camera per ore, circondato dalle letture più disparate. È vero che in questi momenti appuntava citazioni e suggestioni su fogli sparsi, e che quelle diventavano poi le sue canzoni?

È vero, lo ha sempre fatto. Quando aveva l’urgenza di memorizzare qualcosa, a prescindere da dove si trovava, la prima cosa che gli capitava sottomano diventava la sua pagina. Così ho trovato molti suoi appunti, scritti dove capitava. Ho cercato di raccogliere il possibile, perché per me era prezioso tutto di Fabrizio. Per quanto riguarda Oblomov, posso dire che mi sento anch’io come lui: ognuno di noi, proprio perché ha una vita sempre più convulsa, quando è a casa ha bisogno di lasciarsi andare, magari sul letto; così capitava a lui, che rimaneva lì ore e ore. Non tutto quello che scriveva in questi momenti rientrava comunque nelle sue canzoni. Magari in qualche caso erano scritti mirati, perché stava già lavorando su un tema; altre volte erano semplicemente delle riflessioni istintive riguardo ciò che stava leggendo.

Lei si è spesa, anche attraverso la Fondazione Fabrizio De André, per divulgare e far conoscere la figura e la poetica di Fabrizio. Anche in considerazione dell’anniversario dei 20 anni dalla sua scomparsa, quali sono i prossimi progetti della fondazione?

Non ci consideriamo artefici, come fondazione, di aver mantenuto in vita Fabrizio, perché lo ha fatto semplicemente lui, da solo. Spesso seguiamo soltanto delle iniziative che altri ci propongono. Ovviamente per il ventennale dalla sua scomparsa sono previste alcune manifestazioni in tutta Italia. Quello che mi colpisce maggiormente però è vedere come l’11 gennaio, il giorno del compleanno di Fabrizio, nascano nelle maggiori piazze italiane degli incontri spontanei durante i quali si canta e si suona per ore in sua memoria. Io non ho mai voluto partecipare a questi progetti per non interrompere la loro magia.

Fabrizio fu uno tra i primi firmatari del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, allora Premio Città di Recanati. Cosa lo spinse ad aderire a quel nuovo progetto? Ci racconta un aneddoto di quelle giornate a Recanati? Un’ultima curiosità: Leopardi era tra i poeti amati da Fabrizio?

Considerando che Fabrizio era sempre molto schivo, lui deve aver nutrito una grande fiducia per il nuovo premio che stava nascendo. Ha avuto ragione nel credere a Musicultura, un festival importante per l’Italia, che ha dato inizio alla ricerca di talenti orientati anche sull’aspetto letterario della canzone. Mi ricordo che ne ero anch’io coinvolta in prima persona, perché quando arrivava questa “montagna” di pezzi da ascoltare, lo facevamo insieme per giornate intere. Per quanto riguarda la poesia, diciamo che era più orientato verso quella francese, anche se sicuramente apprezzava altrettanto i grandi della letteratura italiana, come Leopardi.

INTERVISTA. Sergio Cammariere a Musicultura 2018: un grande “cantautore piccolino”

“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”: si definisce così in un suo brano Sergio Cammariere, riconoscendosi come allievo di una  scuola cantautorale italiana, quella genovese, che annovera nomi celebri, come Fabrizio De André, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Gino Paoli, con il quale ha collaborato e suonato in varie occasioni.

Artista raffinato e aperto anche a suoni internazionali, dopo aver composto molte colonne sonore per svariati registi, pubblica nel 2002 il suo primo disco, “Dalla pace del mare lontano”. Seguono poi numerosi lavori: “Cantautore piccolino”, “Carovane” – per ricordarne alcuni – “Piano”, del 2017, un album incentrato, appunto, sulla sola melodia del pianoforte, senza intromissione della voce. In occasione della sua partecipazione a Musicultura 2018, Cammariere parla di sé e della sua musica con la redazione Sciuscià.

Prendiamo in prestito le parole di un suo testo: “tutto quello che un uomo” come lei ha vissuto nella sua carriera, con quali parole si potrebbe descrivere?

Con le stesse parole che ho utilizzato nelle mie canzoni. “Tutto quello che un uomo sognare potrà”: tutto è partito da un sogno che si è avverato. È stato qualcosa di straordinario. È accaduto che, dopo tantissimi anni di gavetta, a 42 anni mi sia trovato a Sanremo a cantare questa bella canzone.

La sua musica si apre a sonorità internazionali; ci sono degli elementi musicali di altri paesi che le piacerebbe sperimentare e che attualmente la incuriosiscono?

Certamente. Ho realizzato già sette album da cantautore e tante colonne sonore; mi piace molto mettermi alla prova. Voglio ricordare un disco del 2009 che è stato molto sperimentale: si chiamava “Carovane”; in quel lavoro ho coinvolto, oltre alla mia famiglia del jazz, anche dei musicisti indiani con il sitar e le tabla, ai quali si è aggiunta poi anche l’orchestra d’archi. È un progetto che include sonorità molto particolari: la sperimentazione per i creativi è fondamentale, perché grazie ad essa è possibile conoscere sentieri nuovi e linguaggi diversi per comunicare l’anima.

Il suo ultimo album, “Piano”, è puro suono ed esprime il rapporto profondo tra lei e il pianoforte; è un gesto d’amore verso il potere riflessivo della musica, dunque. Come nasce l’idea di pubblicare un lavoro solo strumentale?

L’idea è partita tanti anni fa: la mia amica Maria Sole Tognazzi mi chiese dei pezzi strumentali per il suo film “Ritratto di mio padre”, dedicato a Ugo Tognazzi. Così nel 2011 ho iniziato a scrivere dei brani con l’accompagnamento del solo pianoforte. Poi altri registi esordienti mi hanno chiesto altre musiche, che ho composto negli anni successivi. A mano a mano si è formata una scaletta di 30 singoli e tra questi ne ho scelti 16 che sono entrati a far parte di “Piano”. Non è quindi un disco nato negli ultimi 3 mesi, ma è un album pensato in sette anni, che ha dunque avuto una lunga incubazione. Sono contentissimo di esprimere attraverso questi pezzi la parte più profonda di me, perché mi sono messo veramente a nudo, accompagnato dal mio strumento: senza voce, senza parole.

“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”, cantava qualche tempo fa in una sua canzone; poi però ha duettato con Paoli nel brano Cyrano e insieme avete fatto diversi concerti. Quanto ha influito la musica del maestro sul suo percorso artistico? Com’è nata la vostra collaborazione?

Sì, il nostro prossimo concerto sarà il 25 giugno al Teatro Petruzzelli di Bari. La musica di Paoli ha influito tantissimo, perché lui è un grande maestro, un patriarca ed è un rappresentante della grande scuola genovese. Io e Gino nei nostri spettacoli omaggiamo questo panorama artistico e i grandissimi cantautori che ne hanno fatto parte: suoniamo dei brani di Tenco, di Bindi, di Lauzi e anche di Endrigo, che sono stati dei grandi patriarchi della canzone italiana. Paoli lascerà nel firmamento della musica mondiale almeno dieci hit di successo, come La gattaSapore di saleUna lunga storia d’amore e Senza fine. La nostra collaborazione è nata perché ho incontrato 4 anni fa il suo manager, Aldo Mercuri, che poi è diventato anche il mio. Era un ex musicista di Gino, suonava il basso; adesso invece è diventato il nostro agente.

Quello di oggi è un ritorno, perché più di dieci anni fa si è già esibito sul palco di Musicultura. Ci vuole raccontare com’è stata quella esperienza?

Ogni volta che torno allo Sferisterio provo sempre una bella emozione. Prima di salire sul palco sono assai preso e ansioso. Non so perché mi viene in mente questo aneddoto: ricordo che quando mi sono esibito per la prima volta a Musicultura, con me c’era anche Fiorello; mi lanciò una bottiglietta d’acqua e io non riuscii ad afferrarla al volo. Credo che l’Arena abbia un’atmosfera molto particolare e suggestiva.