INTERVISTA – A La Controra con Giulio Scarpati, protagonista dell’appuntamento “A tu per tu”

Giulio Scarpati, attore di teatro, cinema e televisione, noto, tra le sue tante interpretazioni, per il suo ruolo da protagonista nella fiction “Un medico in famiglia”, si è raccontato, giovedì 22 giugno, a Palazzo Conventati, in un coinvolgente “A tu per tu”, condotto da Michela Pallonari.

Dal rapporto viscerale con la madre, all’incontro con il grande regista Ettore Scola, Scarpati ha ripercorso alcuni dei momenti salienti della sua carriera e della sua vita personale.

Di seguito, l’intervista realizzata dalla nostra redazione.

Di certo non rinnega il ruolo di Lele in “Un medico in famiglia”, ma i personaggi che lei ha interpretato per film, fiction e teatro sono moltissimi. In quale si è sentito più affine?

Mi è rimasto nel cuore recitare, per il cinema, la parte di Rosario Livatino, il giudice ragazzino, una persona speciale, che ha vissuto una storia terribile. La tematica per me era anche fondamentale da trattare: la magistratura dei giovani, gli stessi che credevano di non essere in grado di combattere Cosa Nostra e che, invece, hanno dato un apporto fondamentale allo Stato.

Nel 2014 è uscito il suo primo libro, “Ti ricordi la casa rossa? –Lettera a mia madre”, che ha dedicato a sua madre: è un viaggio nella memoria, per aiutare e per imparare a ricordare. Mettere nero su bianco i pensieri le è servito per esorcizzare un momento particolare della sua vita?

Sì, moltissimo; volevo che tutti capissero che quando si è affetti dall’Alzahaimer  è normale fare errori. La conoscenza di questa malattia mi ha aiutato a non sentirmi solo ed estraneo al caso. Il problema dell’Alzheimer è socialmente gravissimo: è un costo umano; dal punto di vista psicologico, i parenti fanno molta fatica ad assimilare la perdita di memoria di un proprio caro.

Ha portato e porterà in scena lo spettacolo “Una giornata particolare”, tratto dall’omonimo film di Ettore Scola, con cui tra l’altra ha lavorato in “Mario, Maria e Mario”. Cosa le rimane dell’incontro con il regista? C’è un aneddoto che vuole raccontarci?

All’epoca ero abituato a lavorare con registi della mia generazione, quindi solitamente  cercavo di creare dei rapporti paritari; quando ho conosciuto Ettore Scola, era la prima volta che lavoravo con un regista di quella tradizione mitica del cinema italiano; ammiravo e ammiro tutt’oggi i suoi film. Ricordo che, dopo un paio di giorni di lavoro in cui lui non mi ha rivolto parola, io gli ho detto: “Ettore, dobbiamo parlare, perché il nostro rapporto non funziona”. Lui, così, mi ha risposto: “Non pensavo fossimo fidanzati”. Quella fu una battuta che all’inizio mi spiazzò, ma che poi finì per costruire un rapporto di amicizia. La grandezza di Ettore Scola era la sua capacità di raccontare la vita in maniera comica e tragica, nello stesso momento.

Secondo lei, una manifestazione del calibro di Musicultura in che modo può essere funzionale per la promozione della cultura del nostro paese? Curare la teatralità della performance: quanto conta, al giorno d’oggi, per un cantautore?

Sicuramente conta moltissimo curare l’aspetto teatrale di un artista che si esibisce sul palco; ad esempio, oggi con il videoclip e con Internet hai subito l’immagine visiva della canzone e di un cantante. Se pensiamo a tanti anni fa, oltre al concerto, sentivi i dischi: solamente il live ti dava la dimensione teatrale e scenica dello spettacolo. Dobbiamo sostenere manifestazioni come Musicultura perché sono rivolte a tutti, perché sono popolari e perseguono l’idea che la musica, in particolare, e l’arte, in generale, siano sempre con noi, vivano al nostro fianco. Spero che il Festival possa continuare il suo percorso e che possa sempre popolare.

Oltre due milioni di telespettatori su Rai1 per Musicultura 2017

Di fronte ad oltre due milioni di telespettatori su Rai1 trionfa a Musicultura 2017 il cantautore romano Mirkoeilcane. Mirko Mancini, in arte Mirkoeilcane, classe 1986, sbaragliando gli altri finalisti , Francesco Papageorgiou, Francesca Sarasso e Alessandro Sipolo.

“Vorrei dedicare questo premio a Maria, una donna coraggiosa.” è così che Mirkoeilcane ha accolto il Premio del Vincitore assoluto di Musicultura 2017 del valore di 20.000 euro.

Un finale straordinario per Musicultura 2017, il Festival diretto da Piero Cesanelli, condotto da Fabrizio Frizzi e caratterizzato dalla diretta radiofonica su Rai Radio 1 presentata da John Vignola e per la prima volta dalla diretta televisiva su Rai1 firmata dal regista Stefano Mignucci sotto la supervisione del capostruttura Rai Angelo Mellone che ha tenuto incollati davanti alla tv oltre due milioni di telespettatori.

“Oltre due milioni di persone hanno potuto ammirare la bellezza dello Sferisterio di Macerata un grandissimo traguardo per la citta e per la nostra Regione.- ha dichiarato il Direttore Artistico di Musicultura Piero Cesanelli – Gli ascolti sono arrivati grazie anche al supporto della TGR Marche, Radio news 24, Rai Radio 1, e del Tg1. Ognuno da par suo, ha proposto al suo pubblico Musicultura in diretta e attraverso servizi dedicati compreso il Tg2 che ha parlato di noi attraverso la voce di Giorgia.
Speravamo in un successo soprattutto perché era la nostra “prima volta” in prima serata su Rai1. Importante e stata anche la diretta Facebook che John Vignola ha proposto dallo Sferisterio.”

Una serata indimenticabile che ha visto anche i festeggiamenti del compleanno di Roberto Vecchioni accolto da una moltitudine di candeline “digitali” i telefonini accesi dai duemila e cinquecento presenti, che hanno intonato il Tanti auguri in un’atmosfera densa di magia.
“Grazie per questo compleanno meraviglioso, – e sulle note de La mia ragazza aggiunge – è la canzone che ho cantato a Recanati quando sono venuto alla prima edizione di Musicultura 28 anni fa” e incanta il pubblico dello Sferisterio anche con la sua Sogna ragazzo, sogna.
“Sono un grande tifoso di Musicultura e di tutti coloro che l’hanno sostenuta.”
Ha poi aggiunto “La felicità è uno stato permanente di amore per la vita: credo che vivere sia la cosa più bella che ci possa capitare…non devi arrenderti mai, non devi abbatterti mai: io sono arrivato a tre quarti di secolo e penso ancora di avere 25 anni.”

Uno dei masterpiece di Ruggeri, Contessa, ha segnato il ritorno della grinta e del ritmo dei Decibel, storica formazione di Enrico Ruggeri tornata in vita dopo quarant’anni e che lo rivede insieme ai compagni di una vita Silvio Capeccia e Fulvio Muzio in una straordinaria esibizione che ha caricato i presenti anche con i brani Gli anni del silenzio e My Generation.

Sul palco anche Simone Cristicchi, già vincitore assoluto di Musicultura nel 2005 ora membro del Comitato artistico di Garanzia, ha emozionato il pubblico con Ti regalerò una rosa.
“Sto rivivendo attimo dopo attimo il dietro le quinte di Musicultura insieme ai finalisti – racconta Cristicchi –, vedo i loro occhi, vedo le loro espressioni preoccupate e i loro batticuori.”

“È un’emozione ogni volta cantare e proporre la mia musica perché questa è una città fantastica”
. Apre così l’esibizione Ron tra le note di Una città per cantare
accompagnato dal coro entusiasta del pubblico dello Sferisterio, canta poi Cosa Sarà e Anima. “Un consiglio – dice Ron– per chi vuole fare questo mestiere: bisogna essere felici con sé stessi, è meglio che un cantautore faccia quello che si sente. Abbiamo saltato un paio di decenni senza cantautori nuovi, è ora di ricominciare”.

Il rock di Matthew Lee ha travolto il pubblico dello sferisterio con una versione speciale de L’isola che non c’è, di Bennato e Honkey Tonk Train Blues, dei Rolling Stones.
Con il surreale mondo di Guido Catalano si è conclusa tra gli applausi scroscianti dei presenti l’edizione targata 2017 di Musicultura.

INTERVISTA – Il pubblico de La Controra fa il “Giro di Italia” con Claudio Chiappucci e Carlo Latini

Il ciclismo, per dirla alla Antoine Blondin, è molto di più di uno sport: tiene vivi i suoi eroi e mantiene saldo il legame tra passato e presente. Fausto Coppi, Michele Gismondi, Gino Bartali, Giovannino Corrieri, Marco Pantani, Claudio Chiappucci, Vincenzo Nibali e Michele Scarponi: nomi, questi, che passano di padre in figlio e di nonno in nipote. La bicicletta e la strada come la penna e la carta, con la quale sono state scritte alcune delle pagine più belle della storia del nostro Paese. Una serie di tappe percorse nella terza serata di eventi de La Controra di Musicultura, nell’incontro “Il Giro di Italia, storia di un grande romanzo popolare” che ha visto a Palazzo Conventati la partecipazione di Carlo Latini e lo stesso Claudio Chiappucci. In questa occasione, “El Diablo” ha ricordato anche due campioni marchigiani “Michele Gismondi – ciclista montegranarese, fedele gregario di Fausto Coppi – ho avuto modo di incontrarlo in qualche evento. Lo ricordo per la sua personalità vulcanica, energica un po’ come Michele Scarponi. Credo sia proprio la vostra terra fatta così – riferendosi alle Marche.” Con il ciclista varesino, detto anche “Il mago della pioggia”, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere per la redazione Sciuscià del Festival.

Lo scrittore e giornalista francese Antoine Blondin disse: “Il ciclismo ha il dono di non dimenticare, di mantenere vivi i suoi eroi, di rendere vicini tempi lontani. Accorcia le distanze dei ricordi”. Il ciclismo è lo sport che, in effetti, riesce ad unire un nonno al proprio nipote. Hai battuto, a bordo della tua bicicletta, le strade di tutta Italia e non solo. Quali esperienze porti con te? Cosa rappresenta il ciclismo per le persone?

Il ciclismo è tutta la mia vita: grazie ad esso ho girato il mondo, conosciuto persone ed ho avuto l’opportunità di diventare qualcuno. Continuo a seguire il ciclismo ancora oggi; è come il primo amore che non si scorda mai. Questo sport mi ha regalato emozioni e continua a darmene; poi credo di averne anche restituite alcune, ai più grandi ai più piccoli. E’ bello notare che le persone ricordano ancora i tempi in cui ero in auge come ciclista. Molti mi hanno raccontato come l’attività sportiva sia riuscita a risolvere momenti particolari della loro vita. Proprio per il suo carattere popolare, il ciclismo aiuta a  lo fronteggiare le difficoltà che incrociamo lungo il nostro percorso.

Nel libro “El Diablo Racconta – Chiappucci, una vita in fuga” viene ricordato anche Marco Pantani, il quale, all’esordio nel professionismo e per varie stagioni, è stato suo compagno. Come descriverebbe Il Pirata ai più giovani che non hanno avuto la fortuna di vederlo correre? Ha qualche aneddoto, non ancora rivelato, legato a voi due? 

Ovviamente è stato mio compagno. Mi piace raccontare com’è nato il rapporto con Marco, che era uno come tanti, voleva emergere e dimostrare chi era; in più lui era molto caparbio. Forse il suo problema è stato quello di essere stato all’inizio troppo introverso e di non esser riuscito ad esprimersi come voleva. Nonostante ciò, notavo la sua continua voglia di migliorarsi. Il mio unico dispiacere è che avrei voluto correre più anni insieme.

Recentemente il mondo del ciclismo e lo sport in generale hanno pianto la prematura scomparsa del nostro conterraneo Michele Scarponi. Cosa ha perso il ciclismo italiano?

Perdere Scarponi è stato come perdere la fantasia. Era uno dei pochi ragazzi solari che, nonostante la stanchezza, rideva e scherzava. Un corridore d’altri tempi, capace di essere gregario e capitano nello stesso tempo, di stare in mezzo alla gente; queste qualità sono difficili da notare nei ciclisti di oggi. Come ho detto, lui era un corridore più vicino alla mia generazione, rispetto a quella attuale. Il ciclismo non dimenticherà Michele, che è stato in grado di costruire vittorie da gregario.

Viene dal ciclismo, dove il “sudore” e la fatica sono i comuni denominatori. Cosa prova nel vedere lo sport sempre più dominato dal “dio denaro”?

Sai il ciclismo sta nel mezzo: è tra lo sport più ricco, ossia il calcio, e gli altri più poveri. Il ciclismo è fatica, sudore, passione, sofferenze, sacrifici. Chi pedala sa cosa vuol dire gestire la propria fortuna.

Musicultura, da ventotto anni, corre la propria corsa nello scenario artistico italiano. Lei ha una canzone che l’ha accompagnata durante tutti i chilometri che ha percorso?

El Diablo de I Litfiba; con questo brano di Piero Pelù si è creata una sinergia: in un certo senso, mi rappresentava. 

INTERVISTA – L’uomo oltre l’attore: Massimo Ciavarro si racconta a La Controra di Musicultura

Se non mi fosse capitata questa cosa, quando ero appena che quattordicenne non avrei avuto una così grande crescita. La sofferenza e il dolore non fortificano ma, sicuramente, ti fanno essere più responsabile, spingono a guardare in te stesso e ad andare a fondo delle cose”: sono le parole, queste, che Massimo Ciavarro ha letto al pubblico de La Controra; L’uomo oltre l’attore, così si presenta, in un incontro dal titolo “Le parole che non ti ho detto”, a cura di Vincenzo Galluzzo. Il noto volto della commedia anni ’80 ha scritto, per l’occasione, una lettera al padre, venuto a mancare prematuramente, in cui si evince il suo desiderio spezzato di andare ancora una volta a comprare per lui le inseparabili sigarette Mercedes, così come pescare insieme.

Un viaggio che parte dagl’esordi, passando per il suo amore verso l’isola di Lampedusa, sino ad arrivare alla decisione di scrivere di sè, maturata dopo la dolorosa separazione dalla sua ex moglie, Eleonora Giorgi: Ciavarro ha raccontato questo e molto altro alla nostra redazione.

Dai fotoromanzi, al cinema e alla televisione, più tardi al teatro: qual è un’esperienza della tua carriera che ti piacerebbe poter rivivere ed un’altra, invece, che avresti voluto evitare?

Probabilmente oggi, con una maggiore consapevolezza, rifarei “Sapore di mare”. Un film a cui devo tutto: è stata la mia prima esperienza cinematografica, quella che mi ha portato al successo. Mi ricordo che ero molto emozionato sul set e non ero del tutto consapevole di cosa mi stava accadendo. Mi piacerebbe rivivere quell’esperienza in modo un po’ più consapevole.

Ogni anno organizza a Lampedusa una rassegna cinematografica dal titolo “Il vento del nord”, in collaborazione con Laura Delli Colli e Giovanni Spagnoletti: è una grande sfida. Cosa le ha dato questa stupenda isola tanto da definirla un “Locus Amoenus”? Ci racconta qualcosa di più della manifestazione?

Sono stato per la prima volta a Lampedusa nel 2004; da allora l’isola è meta fissa delle mie vacanze. Lo considero un posto particolare, vero, abitata da persone fiere e selvagge; io lì mi sento a casa, infatti conosco tutti. Dopo anni da turista, mi è venuto in mente di far qualcosa di concreto per questa terra e soprattutto per me stesso. Siccome Lampedusa non ha una sala cinematografica da più di 20 anni, mi sono attivato ed ho portato un maxischermo. I lampedusani sono persone stanziali, tanto che non hanno occasione di vivere l’esperienza del cinema in sala. Quest’anno siamo alla nona edizione de “Il vento del nord”, che prende il via la prima settimana di agosto, con l’allestimento di una vera e propria arena cinematografica.

Lo scorso anno, in un’intervista per Il Giornale, ha dichiarato che si sente “veramente tranquillo a Lampedusa”. Oggi l’isola è al centro del dibattito sul fenomeno dell’immigrazione; la quiete sembra ancora lontana, in pratica. Grandi passi però sono stati fatti dall’ex sindaco Giusi Nicolini, tanto che le è stato conferito il premio Unesco per la pace, per aver salvato la vita a numerosi rifugiati e migranti e per averli accolti con dignità. Con quali altri mezzi si può, secondo lei, far fronte a questa emergenza ed integrare maggiormente i migranti? Inoltre la cultura in che misura può dare i suoi contributi?

Lampedusa si è presa carico di questo problema per tantissimi anni autonomamente perciò, per diversi anni, non ha avuto un minuto di quiete; i lampedusani sono stati colpiti soprattutto nel turismo, la loro principale fonte di reddito insieme alla pesca. Negli anni il fenomeno dell’immigrazione ha assunto proporzioni gigantesche; per assurdo Lampedusa ha ritrovato la sua quiete, visto che i migranti, poco dopo essere sbarcati, vengono portati direttamente in Sicilia, Calabria o in altri porti italiani ed europei. L’ex sindaco, Giusi Nicolini, è riuscita a gestire il fenomeno in modo appropriato, senza costrizioni, favorendo l’integrazione dei migranti con la collaborazione degli isolani. Il problema resta comunque di difficile risoluzione in quanto nell’ultimo periodo i flussi migratori sono raddoppiati per diverse cause: in primis, la chiusura delle frontiere di molti paesi della zona Schengen e dai mai cessati bombardamenti nel Medio Oriente. Tutto ciò va a sommarsi alla crisi fortissima che attanaglia i paesi occidentali. Credo che la soluzione del problema debba passare necessariamente attraverso un allentamento di certi regimi fiscali e norme europee in modo da concentrarsi più sulla costruzione dell’uomo come persona che sulle questioni finanziarie.

Con Susanna Mancinotti hai messo nero su bianco alcune tra le tappe principali della tua vita, in “La forza di cambiare”. Quando e perché hai deciso di scrivere di te?

Ho iniziato a scrivere di me già 10 anni fa in un momento un po’ particolare della mia vita, perché mi stavo separando dalla la separazione dalla mia ex moglie, Eleonora Giorgi; in quel periodo ho affrontato una specie di seduta psicanalitica, mettendo nero su bianco i miei primi 40 anni di vita. Un giorno la Mancinotti mi ha chiamato informandomi dell’interesse della Piemme Mondadori nel pubblicare la mia storia e, successivamente, mi ha intervistato. Poi, notando che lo stile di scrittura della scrittrice stava prendendo il sopravvento sul mio, decisi di aggiungere i 10 anni mancanti a mio modo. Questo progetto letterario mi ha regalato molte soddisfazioni; da poco iniziato la scrittura di un romanzo, perché sento il bisogno costante nella mia vita di produrre qualcosa di nuovo, soprattutto durante i miei amati momenti solitari.

INTERVISTA – Eleonora Giorgi: “a tu per tu” con il pubblico de La Controra

Attrice instancabile e bellissima, Eleonora Giorgi è stata ospite de La Controra, per il format “Le parole che non ti ho detto”, a cura di Vincenzo Galluzzi; per l’occasione ha dedicato una lettera a tutti quei compagni di cinema e teatro che, tra un set e l’altro, non riesce a vedere spesso, ma che porta comunque nel cuore. “Miei cari e indimenticabili partners cinematografici, le nostre vite di artisti scorrono inarrestabili e il nostro rincontro non è mai avvenuto, ma vi penso sempre”: questo è l’incipit della lettera che l’attrice romana ha letto al numeroso pubblico di Palazzo Conventati, offrendo così un prezioso omaggio al cinema italiano e a coloro che lo hanno reso grande: Mariangela Melato, Adriano Celentano, Massimo Ranieri, Ornella Muti, Carlo Verdone, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni, solo per citarne alcuni. “Quello che più di tutti ha modificato il corso della mia vita regalandomi undici anni insieme ed un figlio è stato Massimo Ciavarro”, ha affermato poi l’attrice, che inoltre ha rilasciato un’intervista alla nostra redazione.

Nel 2016 è uscito il libro Nei panni di un’altra, in cui racconta molti aneddoti legati alla sua vita, privata e non. Si legge, ad esempio, del suo esordio nel cinema, avvenuto per caso; quando ha capito che la recitazione avrebbe fatto parte della sua vita?

L’ho capito tre anni e mezzo dopo il mio debutto, a seguito di una grossa crisi personale ed esistenziale, quando Franco Brusati mi ha scelta per “Dimenticare Venezia”. Avevo già fatto dodici film da protagonista, ma meditavo di smettere perché ero confusa, mi sentivo persa. “Dimenticare Venezia”, con Mariangela Melato ed Erland Josephson, è stato un vero e proprio spartiacque: lì mi sono innamorata.

Era poco più che adolescente quando ha preso parte a “Roma”, di Federico Fellini. Ci racconta com’è avvenuta la sua partecipazione al film?

In realtà, in quell’occasione, non ho recitato perché non ero ancora un’attrice. Ero una ragazza “bene” del quartiere Parioli e Fellini, da grande rabdomante qual era, aveva capito che c’era bisogno di innovare e aveva cominciato a cercare, attraverso i suoi organizzatori mandati nelle varie piazzette, delle super moto, possedute a Roma soltanto dai pariolini. La mia non fu nemmeno una comparsata: ero semplicemente seduta sulla moto del mio fidanzato storico. Una curiosità: su un’altra moto c’era Renato Zero, ancora ragazzo!

“A tu per tu” è l’evento in cui oggi è protagonista a La Controra; è abituata da anni ai riflettori, di cinema e teatro, e a stare a contatto con il pubblico. Quando e quanto, però, lei si confronta maggiormente con se stessa?

Io mi confronto con me stessa soprattutto alla vigilia di queste esposizioni pubbliche, che sono diventate per me delle feste di famiglia: ho la fortuna di essere cresciuta sotto gli occhi del pubblico ed essere entrata nei cuori delle persone, quindi ogni volta tutto ciò mi sembra molto “familiare”. Questo è, alle volte, estremamente stancante, impegnativo e di grande responsabilità, però mi dona tanta gratificazione.

Tutti abbiamo una canzone del cuore. La sua qual è?

Samba Saravah, di Pierre Barouh e Vinicius De Moraes: era nella colonna sonora di “Un uomo e una donna”. È un canzone d’amore che non conosce nessuno!

INTERVISTA – A Musicultura 2017, i Barcelona Gipsy balKan Orchestra: “Di Macerata ci piace la sua dimensione pacifica”

Vengono da Barcellona ed uniscono culture, valori e tradizioni differenti in un progetto musicale unico: i Barcelona Gipsy balKan Orchestra hanno affascinato il pubblico dello Sferisterio, giovedì 22 Giugno, e de La Controra, venerdì’ 22. “Ci definiamo un caos creativo, a volte possiamo esplodere e delle volte possiamo generare qualcosa di nuovo ed interessante, che arriva al cuore della gente”: Si presentano i BGKO, che hanno rilasciato un’intervista alla redazione di Sciuscià.

Nonostante abbiate provenienze e culture differenti avete deciso di stabilirvi a Barcellona. Come mai questa decisione? Questa città, con la sua storia e la sua arte, in che modo e misura si può ritrovare nelle vostre canzoni?

Tutti viviamo a Barcellona e causalmente ci siamo incontrati. Siamo dei viaggiatori, uniti dalla grande passione per la musica dell’est. Ci siamo trovati a nostro agio, perché è una città multiculturale e stimolante musicalmente e culturalmente. Abbiamo la possibilità di suonare con musicisti che vengono da tutto il mondo;  diciamo che, anche senza viaggiare, a Barcellona riusciamo ad unire culture diverse, grazie alle  Jam Session a cui partecipiamo.

Una curiosità: come è nato il vostro gruppo?

Siamo dei professionisti e ci siamo incontrati per caso: essendo gli unici che suonano musica balcanica, nell’Europa occidentale, ci siamo incontrati e siamo diventati una grande famiglia. Sul palco siamo in sette, ma ci sono vari sostituti e collaboratori che hanno partecipato a questo progetto, che mi piace definire collettivo.

La vostra proposta musicale è un incontro di più culture e tradizioni; in un’Europa in crisi d’identità, che ricerca sempre più la tipicità nazionale, qual è il segreto del successo della vostra musica?  

Non è facile collaborare con artisti che non parlano la stessa lingua, che hanno valori e tradizioni diverse che a volte si scontrano. Ci definiamo un caos creativo: a volte possiamo esplodere e delle volte possiamo genera qualcosa di nuovo ed interessante, che arriva al cuore della gente. Sicuramente questo progetto, che mira ad unire e non a dividere, piace alla gente. Abbiamo viaggiato tanto e siamo stati contenti di incontrare, lungo il nostro percorso, gente come noi, aperta, curiosa e desiderosa di aiutare gli altri. Ai nostri concerti, dedichiamo sempre una canzone a tutte quelle persone che non hanno paura; questo perché crediamo che, con la curiosità, ci si possa avvicinare a qualsiasi tipo di persona e cultura. Quando conosci veramente chi ti circonda, impari ad accettare la diversità e la scopri una ricchezza.

Come vedete cambiare la percezione della vostra musica da parte di un pubblico con un differente background musicale e culturale differente dal vostro?

Noi siamo consapevoli che il nostro gruppo sia figlio della modernità e della velocità con cui musicisti e melodie viaggiano nel mondo, per arrivare ovunque.  Siamo riusciti ad imparare un repertorio enorme grazie alle nuove tecnologie: senza aver vissuto nel Balcani, ci siamo messi in contatto con quel tipo di musica. All’inizio avevamo paura di presentare il nostro progetto in quei luoghi, ma siamo stati piacevolmente sorpresi dal riconoscimento incredibile che abbiamo ricevuto e nello scoprire che, anche al pubblico di origine balcaniche piace la nuova interpretazione della loro musica, che offriamo.

Che cosa vi ha colpito ed affascinato della città di Macerata, dello Sferisterio e di Musicultura?

Di Macerata ci piace la sua dimensione pacifica, tipica di in molti paesi del centro Italia. È bello immaginare di poter far tutto nei centri storici, che sono una ricchezza, un patrimonio artistico a cui non sempre si è abituati. Ecco, in queste piccole città ritroviamo una dimensione umana e diretta, che ci affascina da sempre.

INTERVISTA – La Rappresentante di Lista a Musicultura per costruire “insieme al pubblico qualcosa di nuovo e di unico”

Atmosfere oniriche ed interrogativi esistenziali della musica de La Rappresentante di Lista intrattengono il pubblico de La Controra, giovedì 22 giugno, e quello dello Sferisterio, venerdì 22. “Siamo felici di essere tornati, questa volta come ospiti, a casa di Musicultura” – dicono Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, prima di raccontare alla redazione di Sciuscià del loro nuovo progetto discografico “Bu bu sad”; disco, il loro, che rappresenta il culmine di un percorso di tre anni di attività artistica.

Dopo la partecipazione tra i finalisti di Musicultura nel 2014, tornate ad esibirvi sul palco dello Sferisterio. Avete pensato una performance ad hoc per questa cornice?

In realtà non abbiamo pensato ad uno show in particolare; l’opportunità di esibirci allo Sferisterio è per noi l’occasione di portare sul palco quello che siamo diventati in tre anni. Racconteremo il nostro percorso, presentando “Bu Bu Sad”, che ne rappresenta la tappa finale.

Dario, oltre ad essere un artista polistrumentista, sei anche attore: quanto ha influito quest’aspetto nel vostro percorso musicale?

Anche Veronica è un attrice e sicuramente questo ha influito molto nella nostra produzione, perché abbiamo le capacità acquisite grazie alla recitazione le abbiamo, poi, applicate nella musica. Il teatro che facciamo è fisico, lavoriamo con il corpo e le parole vengono dopo; cerchiamo di trasmettere emozioni e messaggi attraverso la fisicità e questo ci permette di dare al pubblico qualcosa di nuovo, di creare un rapporto più diretto con chi ci ascolta.

Com’è nato “Bu Bu Sad”? 

“Bu bu sad” è nato da alcuni interrogativi che ci siamo posti in questi anni, che si sono poi accumulati alle numerose suggestioni ed alle nostre esperienze quotidiane, quelle che hanno caratterizzato la nostra vita ed in particolare l’ultimo anno. Data l’amara ironia che caratterizza il nostro disco, abbiamo utilizzato una triste deformazione del gioco bubù-settete, intitolando l’album “Bu bu sad”: togliendo le mani dagli occhi, la madre fa notare a sua figlia l’amarezza della vita.

“Bu Bu Sad” si compone di canzoni con strutture più complesse rispetto ai precedenti lavori e potremmo definirlo “l’album della vostra maturità”. Questo cambiamento lo considerate più come un’evoluzione o come una sperimentazione, nata dal desiderio di allontanarsi dalle vecchie produzioni?

Noi consideriamo il nostro ultimo album come una tappa della nostra carriera musicale. Ovviamente questo cambiamento musicale è per noi anche un’evoluzione: nel progetto uniamo la sperimentazione e il desiderio di novità. Siamo contenti del risultato, perché dimostra che stiamo crescendo come gruppo.

“Suonare sul palco è un rito; un mezzo per trasformare in un incontro vivo ciò che è scritto”, avete raccontato, dopo aver registrato l’album live del tour di “ Bu Bu Sad”. Cosa vi regala il rapporto diretto con il pubblico?

Il pubblico ci suggerisce un punto di vista completamente nuovo, diverso, del nostro lavoro. A volte quelli ci ascoltano e ci seguono ci mandano messaggi sui social, dandoci le loro interpretazioni sui versi delle nostre canzoni. Il bello della musica è la sua fluidità. Costruiamo insieme al pubblico qualcosa di nuovo e di unico: questo è il regalo più grande.

Mirkoeilcane è il vincitore assoluto di Musicultura 2017

Il cantautore romano Mirkoeilcane è il vincitore assoluto di Musicultura 2017, con la sua Per fortuna che racconta in maniera scanzonata e corrosiva un disagio generazionale che si annebbia nel mondo dei social.

Mirko Mancini, vero nome di Mirkoeilcane, è cantautore e chitarrista. Solista dal 2016, quando ha pubblicato il suo primo disco omonimo, ha già vinto il Premio Bindi e il Premio Incanto. Il suo album figura tra le 50 migliori opere prime di tutta Italia al Premio Tenco.

COMUNICAZIONE IMPORTANTE per il pubblico presente allo Sferisterio durante la diretta Rai

In vista della diretta televisiva di questa sera, domenica 25 giugno 2017, il pubblico è pregato di raggiungere lo Sferisterio in anticipo.

I cancelli apriranno alle ore 19:00 ed è necessario raggiungere il proprio posto entro le 20:40.

ATTENZIONE: Dopo tale ora, potrà non essere più garantito l’accesso.

In ogni caso potrà non essere rispettata la posizione indicata sul biglietto e potranno verificarsi riallocazioni dei posti.

I magnifici quattro e la notte di Giorgia

Si accendono i riflettori sulla seconda serata delle finali di Musicultura 2017, inaugurata dai saluti di Fabrizio Frizzi e di John Vignola. Il primo degli otto vincitori ad esibirsi sul palco di questa XXVIII edizione del Festival è Mirkoeilcane, con la sua Per Fortuna; il secondo, invece, è Francesco Papageorgiou in Amo la vita da farmi male. È poi la volta di Lovain, che canta 1, 2, 3. Terzo artista ad intrattenere il pubblico con il suo brano Altalena Boy è Lucio Corsi, seguito da Nico Gulino con La musica non passa. Sesta proposta musicale: Alessandro Sipolo calca il palco dello Sferisterio, eseguendo il suo brano Cresceremo anche noi. Fabrizio Frizzi invita successivamente sul palco Francesca Sarasso, che canta Non c’incontriamo mai.

Storie di musica e di vite: le otto canzoni dei vincitori sfilano così, l’una dopo l’altra, in Arena; e poi, il momento di Fausta Truffa, che si esibisce accompagnata dal Coro dell’Università di Macerata.

La seconda parte della serata prende il via con il grande ritorno, dopo nove anni, a Musicultura di Giorgia. L’artista, definita da Elton John “una delle voci più belle del mondo”, annunciata sul palco da Fabrizio Frizzi, riceve da Flavio Corradini, Rettore UniCam, e da Claudio Ortenzi, dal Prorettore UniMc, l’onorificenza UniMarche per gli alti meriti artistici, “per l’umiltà, la naturalezza, l’entusiasmo e la sensibilità con cui ha condiviso il talento”.
Il palco è tutto suo: Oro nero e Per fare a meno di te/Buonanotte fiorellino sono le canzoni che la cantautrice romana ha regalato al pubblico di Musicultura. “Stamattina non avevo voce, ma non potevo non essere qui stasera. Sono legata a Musicultura, una manifestazione che rispetto e ammiro; è bellissimo vedere l’entusiasmo vivo e nuovo degli artisti in concorso”: queste le parole di Giorgia, ospite e grande amica del Festival, nonché membro del Comitato Artistico di Garanzia.

Continuano le sorprese in Arena: Francesca Sarasso riceve il Premio della Critica, consegnato da Silvano Gattari e Fausto Pellegrini.
Poi un gran ritorno, a casa Musicultura, de La Rappresentante di Lista, che a distanza di tre anni dalla loro partecipazione alla rassegna, incantano il pubblico dello Sferisterio con Cosa farò ed un’interpretazione di E la luna bussò.

Dopo la loro esibizione a La Controra, sbarcano di nuovo a Macerata Capitan Capitone e i Fratelli della Costa, il caleidoscopio progetto artistico di Daniele Sepe.

Il gran finale di serata viene consacrato con lo scatto di un momento, quello degli otto vincitori che, saliti sul palco, sono ora pronti all’annuncio dei quattro artisti che approdano alla finalissima del Festival: Alessandro Sipolo, Mirkoeilcane, Francesca Sarasso e Francesco Papageorgiou si esibiranno, domenica 25 giugno, per la l’ultima serata del Festival, che verrà trasmessa in diretta su Rai1 e su Radio1.