INTERVISTA. I Pinguini Tattici Nucleari infiammano lo Sferisterio per la XXXI edizione di Musicultura

Reduce dalla settantesima edizione del Festival di Sanremo, la band bergamasca approda sul palco di Musicultura con tutto il suo carico di energia, un sound fresco e vivace, una scrittura tanto ironica quanto malinconica e la grinta di chi ha la giovinezza dalla propria. Prima di presentare il loro nuovissimo singolo, La Storia Infinita, al pubblico dello Sferisterio di Macerata, i Pinguini Tattici Nucleari si sono raccontati così alla redazione di “Sciuscià”. 

La vostra carriera musicale decennale è decisamente esplosa dopo l’approdo di questo inverno sul palco del Teatro Ariston di Sanremo, favorendo il successo radiofonico del vostro brano Ringo Starr, ormai disco di platino. Come stato salire sul palco di uno dei più prestigiosi festival musicali italiani? 

Sarà forse una banalità ma è stato semplicemente emozionante: calcare quel palco pieno di storia, per noi venticinquenni, è stato come entrare nel mondo dei grandi. In più, sapere che a casa così tante famiglie sono incollate al piccolo schermo contribuisce ancora più alla magia e alla bellezza di quel momento. E poi è stato bellissimo poter vedere come si lavora ad un livello così alto e scoprire tutte le dinamiche che si vanno a creare. Inaspettatamente, anche l’ambiente che si è creato è stato molto positivo: si potrebbe pensare che nell’ambito di una kermesse musicale come Sanremo ci sia tanta rivalità tra artisti, ma in realtà tutti fanno il tifo per tutti e c’è molta solidarietà tra i vari concorrenti. 

Proprio ieri, il 28 agosto è uscito il vostro ultimo singolo, La Storia Infinita, che preannuncia forse un vostro nuovo attesissimo progetto. Cosa avete in cantiere?

 In questo momento stiamo scrivendo, ma un passo alla volta! È appena uscito per Sanremo il repack del disco Fuori dell’Hype con tre pezzi inediti. Abbiamo però sicuramente in progetto di buttare fuori tantissimo altro materiale.

A proposito di scrittura: i vostri testi sono ricchissimi di ironia pungente e dei giochi linguistici più disparati. Qual è la genesi compositiva dei vostri brani, sia dal punto di vista dei testi che degli arrangiamenti? 

Il compositore principale sia dei testi che della musica, anche se poi ci lavoriamo insieme, è sempre Riccardo, la nostra voce.  C’è comunque molto confronto sulle bozze durante il processo compositivo in sala prove; il grosso del lavoro di gruppo per un organico come il nostro è poi arrangiare i pezzi in chiave live, perché a conti fatti è quella la nostra dimensione vera e propria.

In quanto bergamaschi, vi siete trovati proprio nell’epicentro della pandemia, in momenti particolarmente dolorosi, e spesso le parole hanno lasciato posto al silenzio. Nonostante tutto, siete riusciti sempre a mantenere un contatto onesto con i vostri fan tramite i social. Quali prospettive immaginate per la musica live dopo questo periodo?

È davvero difficile dirlo.  Chiaramente speriamo per il meglio perché, al di là del fatto che ne va del nostro lavoro, la situazione riguarda l’arte in genere, la musica e quello che rappresenta per ciascuno di noi. Ovviamente bisognerà seguire le evoluzioni della pandemia, ma è davvero dura fare dei pronostici. 

Da Cartoni animati, il primo LP autoprodotto nel 2012, all’ultimo disco Fuori dall’Hype del 2019 uscito per Sony Music, avete fatto molta strada. Cosa consigliereste a chi decide oggi di intraprendere la carriera musicale, in particolare ai vincitori di Musicultura?

Di continuare a crederci, di migliorarsi ogni giorno e soprattutto di avere molta pazienza, perché le cose belle arrivano solo con la calma.

Fabio Curto è il vincitore assoluto di Musicultura XXXI. Il resoconto della finalissima

Ci siamo. Il pubblico dello Sferisterio di Macerata attende impaziente di decretare il vincitore della XXXI edizione del Festival. Ed è di nuovo la voce di Enrico Ruggeri, che intona Vecchio Frack omaggiando così Domenico Modugno, ad inaugurare la serata finale di un’edizione che definisce “temerariamente felice”. Perché? Perché nel pieno del lockdown Musicultura pensava a come rendere possibile l’impossibile!

E l’impossibile comincia col botto! Primi ospiti della finalissima sono i Pinguini Tattici Nucleari, che infiammano l’arena con Ringo Star e Ridere. “Da bergamaschi – spiega Riccardo Zanotti, frontman della band – in questo periodo difficile suonare dal vivo ci è mancato tantissimo, perché il palco è davvero il nostro habitat naturale.”

Pinguini Tattici Nucleari Musicultura

Arriva poi il primo momento dedicato all’esibizione degli artisti in concorso: dapprima è la volta di Blindur e della sua Invisibile agli occhi; subito dopo è il turno di Fabio Curto, che si abbandona alle note del suo brano, Domenica.

Sorpresa! Tra gli ospiti della serata c’è anche un grande affezionato di Musicultura, nonché membro del comitato artistico di garanzia: Roberto Vecchioni. Il Professore della musica italiana omaggia Piero Cesanelli, ideatore e direttore artistico del Festival prematuramente scomparso l’anno scorso esibendosi in un suo pezzo, Sopramilano.
“Piero – spiega Vecchioni – aveva tanta immaginazione e troppa umiltà; tutto questo bagaglio di sentimenti meritava respiro nazionale“.
“I tempi del cantautorato di qualità – conclude – non sono mai morti, Musicultura ne è testimone”.

Roberto Vecchioni Musicultura 2020

E allora largo alle nuove leve della musica di qualità nostrana con l’esibizione di altri due artisti in concorso: I Miei Migliori Complimenti, con Inter-Cagliari, e Miele, con Il senso di colpa.

È tempo di poesia. Parola, allora, a Bruno Tognolini, poeta ramingo e autore di centinaia di filastrocche per programmi come La Melevisione e L’Albero Azzurro, che intrattiene l’arena con alcune delle sue più belle filastrocche.

Bruno Tognolini

La serata continua con un talk musicale: i 4 vincitori del concorso, insieme ad Enrico Ruggeri, omaggiano Pino Daniele, Lucio Dalla, Cesare Cremonini e gli Stadio. Infine intonano tutti insieme Una storia da cantare.

Enrico Ruggeri e i 4 vincitori del concorso

Spazio al Premio della Critica: ad aggiudicarsi il riconoscimento assegnato dai giornalisti presenti in sala stampa è Blindur con la sua Invisibile agli occhi.

A seguire un’acclamata guest star internazionale: Asaf Avidan è il quarto ospite della finalissima di Musicultura e manda in visibilio il pubblico maceratese con Lost Horse e Reckoning song.

Asaf Avidan a Musicultura 2020

C’è spazio anche per il teatro sul palco dello Sferisterio, con l’esibizione dell’attrice Lucilla Giagnoni – che regala alla platea un monologo ispirato al quarto libro dell’Apocalisse –  e per le sonorità delicate e giocose del Gruppo Ocarinistico Budriese.

Lucilla Giagnoni

È la volta della voce di Francesco Bianconi, frontman storico dei Baustelle, che presenta in anteprima due brani del suo primo disco da solista: L’abisso e Quello che conta; insieme a Ruggeri, intona A me mi piace vivere alla grande, brano di Franco Fanigliulo, e svela una bella novità: dalla prossima edizione entrerà a far parte del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura.

Francesco Bianconi a Musicultura 2020

Il pubblico ora freme: vuole sapere chi è il vincitore assoluto del Festival.
Ruggeri accontenta la platea e dal palco ne scandisce il nome: Fabio Curto!
Grazie alla sua Domenica è lui ad aggiudicarsi i 20.000 euro del premio finale.

Les jeux sont faits.

Fabio Curto è il vincitore assoluto Musicultura 2020

INTERVISTA – L’abisso e altri racconti: Francesco Bianconi presenta i suoi nuovi progetti

Una storia d’amore più che ventennale quella della band indie rock toscana Baustelle; una storia appassionata di dedizione totale alla cura del dettaglio, dal suono alla parola, di luminosissime uscite discografiche e di rispetto profondissimo per il proprio pubblico.

Una storia solo momentaneamente in pausa, che vede ora l’uscita in anteprima di alcuni brani del prossimo album Forever, il primo da solista del frontman Francesco Bianconi. Alla redazione Sciuscià, il cantautore racconta anche del suo ultimo Abisso, così.

Da quando il primo luglio del 2000 l’etichetta indipendente Baracca&Burattini pubblicò l’album cult Sussidiario illustrato della giovinezza, il tuo nome è inestricabilmente legato a quello dei Baustelle. Qual è il riconoscimento di cui vai più fiero?

Non c’è un riconoscimento ufficiale o un premio in particolare: il riconoscimento più grande è quello di aver resistito tutto questo tempo, di non aver annoiato i fan con la carriera dei Baustelle. Mi sorprende sempre il riuscire a durare nel tempo, non va mai dato per scontato.

Dopo un lavoro più che ventennale, a dir poco proficuo e fortunato come frontman della band, recentemente, a maggio 2020, sono usciti due brani, Il bene e L’abisso, che anticipano il disco Forever, il tuo primo progetto solista. Da dove nasce l’esigenza di questo nuovo esperimento autonomo?

Con i Baustelle uscivamo da un periodo molto intenso, che ha visto l’uscita di due dischi nel giro di pochissimo tempo, L’amore e la violenza e L’amore e la violenza vol. 2. Sono stati degli anni molto divertenti e le tournée sono andate bene; eravamo al massimo della forma, al culmine: secondo me, per far sì che il matrimonio continui in maniera eccitante, bisogna avere il coraggio di prendersi un periodo di pausa, un periodo in cui ciascuno di noi potesse liberare i propri istinti più bestiali. È nata così l’idea di occupare quel tempo con un disco a mio nome, un po’ differente dalle cose ideate con il gruppo, anche a livello compositivo: si tratta di pianoforte, voce e quartetto d’archi, senza ritmica, forse anche per reazione agli ultimi prodotti con i Baustelle, molto ricchi e arrangiati. Ho cercato una strada differente, più intima e personale, con un focus sulla nudità. Insomma, è un disco scarno e spoglio, non immediatamente pop.

Francesco Bianconi a Musicultura 2020

Più in particolare, in L’abisso racconti: “Guardo il mondo senza gli occhi che vorrei / Perché conosco bene gli uomini / Racconto i loro demoni / Ma non riesco a scrivere dei miei / Perché io puntualmente evito l’abisso”. Eppure questo sembra già in nuce un lavoro tanto autobiografico, intimissimo, l’incubo di colui che abita disperatamente orizzonti di paura, che teme l’alba ma che in fin dei conti gode del sogno o della consolazione della notte. È così?

Dopo due ritornelli in cui mi lamento di non riuscire a venire a contatto con i miei demoni e di scrivere da anni bene di quelli degli altri, già dentro L’abisso c’è una svolta: nella dichiarazione conclusiva mi dico “basta” e finalmente discendo nel mio abisso, per la prima volta dentro me stesso. Mi rendo conto solo adesso di quanto tempo ho passato ad essere il “precisetti”, il primo della classe, il bravo in italiano, a far bene lo psicologo degli altri, raccontando fatti – magari anche miei privati – ma sempre con degli schermi o messe in scena. Mi rendo conto di essere cambiato, anche felicemente. Mi dicono che è una buona cosa: non sempre accade di essere piloti consapevoli del proprio cambiamento. Come non mai, le canzoni di questo disco riflettono il mio pensiero senza troppe metafore, giri di parole o giochi linguistici. Chi ha ascoltato questo disco in anteprima, questa sorta di autoanalisi, mi domanda quanto la scrittura delle canzoni sia stata influenzata dal corona virus. In realtà sono state scritte prima: ho incominciato a guardare l’abisso con un po’ più coraggio del solito, ma non perché sono stato costretto a casa a riflettere. La vita è bizzarra! Ho fatto un primo passo e solo poi c’è stata una catastrofe mondiale che si è rivelata in sintonia con questo mio percorso. Passare il lockdown a Milano è stata un’ulteriore occasione per discendere ancora più nell’abisso, in qualche maniera ha accompagnato un cammino che avevo già percorso.

Parliamo invece dei tuoi lavori letterari, visto che hai pubblicato due romanzi per Mondadori, Il regno animale e La resurrezione della carne. Quali sono le potenzialità – o anche i limiti – che hai trovato in questo mezzo espressivo rispetto alla musica? Stai scrivendo qualcosa di nuovo?

Mi piacerebbe scrivere un romanzo prossimamente: è già in fase embrionale, ho un’idea in testa e un file di word con degli appunti. Nella pratica della scrittura aiutano tutte le forme possibili, anche se molto differenti tra loro; per esempio, per un autore di aforismi o di haiku anche saper scrivere in forme più lunghe è un buon esercizio. Passare liberamente da una forma all’altra di creazione in scrittura aiuta nelle rispettive pratiche: a me personalmente scrivere in prosa ha giovato molto al perfezionamento della mia capacità di sintesi quando torno alle canzonette.

Il libro di Francesco Bianconi

In un mondo di ascolti veloci e distratti, quale prospettiva immagini per la più giovane scena cantautoriale italiana?

In un certo senso sono ottimista: è un periodo di transizione, di svecchiamento forse. Ci sono molte cose che non mi piacciono, spesso molto uguali tra loro, poco interessanti. Insomma, sono pochi della nuova scena cantautoriale quelli di cui comprerei il disco. Noto però anche un tentativo di tabula rasa che ogni tanto fa bene: c’è stato un cambiamento, una sorta di restaurazione di un linguaggio nuovo, come se fosse stata tirata via la tovaglia con ancora gli avanzi, con tutte le cose inutili da tenere. Ci sono quindi delle opere che dichiaratamente mi piacciono: per esempio, ho prodotto il disco di Lucio Corsi, Cosa faremo da grandi?¸ frutto di un talento straordinario. Solo grazie a quella tabula rasa si è stabilito un nuovo spazio per la creazione di talenti totalmente eccezionali e di difficile catalogazione come Lucio.

Quale consiglio daresti alle nuove leve di artisti della XXXI edizione di Musicultura?

Mi rendo conto che di questi tempi può essere difficile, ma la chiave è non pensare al successo. Può sembrare una frase retorica, ma bisognerebbe concentrarsi unicamente sul controllo totale del proprio mezzo, del suono e della parola. Mi rendo conto che i nostri erano altri tempi, quando abbiamo iniziato si riusciva a campare con la musica senza scendere a compromessi. Sono convinto che ci si può riuscire anche oggi. Ai Baustelle non fregava assolutamente nulla di essere famosi, di andare in radio o in televisione. Volevamo solo fare quello che ci piaceva, curare minuziosamente il suono della chitarra, dell’amplificatore. Oggi pur di sfondare si fanno bastare la canzone, magari fregandosene di come è vestita; tutto ciò può aiutare nel successo, ma di certo non aiuta per la resistenza al tempo.

Francesco Bianconi a Musicultura 2020

INTERVISTA – Tosca: “Musicultura è un polmone incontaminato, una bandiera del cantautorato”

Tosca non ha di certo bisogno di presentazioni: cantante, attrice, eclettica artista con un’innata propensione alla ricerca e alla sperimentazione.

Nell’elegante cornice del cortile di Palazzo Buonaccorsi ha ripercorso, insieme a John Vignola, i viaggi in giro per il mondo che hanno ispirato il suo ultimo album, Morabeza. Del resto, “nonostante il difficile periodo che stiamo vivendo, la musica – ci spiega – è un lasciapassare per qualsiasi luogo, ad Algeri come a Musicultura”.

Con lei abbiamo parlato di cosa significhi fare musica oggi, di ciò che andrebbe cambiato, di Sanremo e dei nuovi cantautori di domani.

Il suo ultimo lavoro in studio, Morabeza, conclude un lungo viaggio attraverso vari paesi del mondo; ha avuto modo di collaborare e confrontarsi con diversi artisti, passando dall’Algeria e la Tunisia al Portogallo e al Brasile, a testimonianza del fatto che la musica non ha frontiere ed è ancora una volta incontro e confronto allo stesso tempo. A livello artistico, cosa ha significato per lei questo “giro” del mondo?

È stato un grande accrescimento sia dal punto di vista artistico che personale. Sono riuscita ad incontrare tantissimi grandi artisti ma anche personalità del mondo sociale e politico. Ogni volta che andavo via avevo sempre questa sensazione di arricchimento, di quanto la persona straniera fosse un bene, un qualcuno che aveva da regalarmi delle sensazioni uniche. Così infatti è stato: sono tornata migliore, senza quelle paure con cui ero partita. Questo viaggio mi ha insegnato che i muri fanno tornare indietro, sono involutivi: il muro che mettiamo tra noi e gli altri non è che l’inizio della guerra, la barriera significa che c’è un nemico.

A tredici anni dalla sua ultima volta all’Ariston, il 2020 è l’anno della partecipazione alla 70° edizione del Festival di Sanremo con il brano Ho amato tutto, con il quale si aggiudica il premio Giancarlo Bigazzi per la migliore composizione e il sesto posto in classifica. Duetta con Sílvia Pérez Cruz con il brano Piazza grande, aggiudicandosi il primo posto nella classifica nella serata delle cover, votata dall’orchestra del Festival. A distanza di mesi, come giudica il ritorno sul palco sanremese?

Ottimo, anche da Sanremo sono uscita arricchita. Molti mi accusano di snobberia, mi dicono che in certi contesti non voglio tornare, cosa non vera. Amo il pop, l’unico problema è che non lo so fare, ci ho provato ma non ne ero capace. Cantare so cantare, ma il pop ha delle regole ed io tentavo di piegare le regole della world music o della musica d’autore ad un mondo che era invece più immediato. Prendere la decisione di fare altro non significa che non mi piaccia stare in contesti più immediati o popolari. Comunque mi sono divertita moltissimo al festival, ma ho anche rischiato tanto: sono andata con 24 anni di carriera sulle spalle e la possibilità di azzerare tutto in un minuto. Ero però così contenta di salire sul palco con Ho amato tutto, sicura come un calciatore con un pallone giusto nonostante la canzone fosse senza inciso e senza arrangiamento pop. Sì, ero sicura e lo rifarei.

Il 2020 è stato anche l’anno del Premio Tenco: due Targhe, per la miglior canzone singola con Ho amato tutto e come miglior interprete di canzoni per l’album Morabeza. È così che lei è entrata nella schiera dei pochissimi artisti italiani riusciti a guadagnarsi un doppio riconoscimento nella stessa edizione del Premio. Un riconoscimento che arriva subito dopo la fine del lockdown: come commenta questo traguardo?

Un regalo meraviglioso, inaspettato. Dire che non ci sperassi sarebbe sicuramente una bugia. Il Premio Tenco è una laurea, per me avviene in un momento in cui sono riuscita a coniugare il mondo più pop con il mondo d’autore. Per tutta la vita ho pensato che andare dritti per la propria strada ripagasse. Il mio primo maestro, Renzo Arbore, parlava di ricompensa della coerenza. Avevo un po’ perso le speranze, c’è però un momento in cui tutto si allinea e quello che hai seminato raccogli. Mi piacerebbe tanto trasmetterlo ai ragazzi che spesso si perdono in strade comode o sbagliate. “Chi comincia bene è a metà dell’opera”: così diceva mia nonna, ed aveva ragione; in questo mestiere il detto vale ancora di più.

Tosca a La Controra di Musicultura

In piena emergenza sanitaria ha deciso di incidere Il canto degli italiani, una rilettura acustica dell’inno d’Italia. Il singolo e il video che lo accompagna sono stati scelti per aprire i festeggiamenti del 75° anniversario della Liberazione del 25 aprile, la loro fruizione digitale è destinata a raccogliere fondi per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale per i volontari della Croce Rossa Italiana. In un momento così difficile e particolare qual è stata la genesi del progetto?

È avvenuto tutto in maniera naturale. Il presidente della Croce Rossa mi ha chiesto di fare un video per ringraziare tutti i volontari perché un nostro amico comune era venuto a mancare all’inizio della pandemia, quando i mezzi di protezione ancora scarseggiavano, ma nonostante tutto gente coraggiosa come lui non si tirava indietro dall’aiutare gli altri. Ho deciso di fare un GoFundMe per la Croce Rossa ed insieme a Giovanna e Massimo, i miei musicisti, abbiamo optato per Il canto degli italiani. La prima settimana del lockdown abbiamo fatto una diretta intonando tra le altre canzoni anche Fratelli d’Italia e abbiamo chiesto a tutti di cantarla a casa riprendendosi. Questo è stato il nostro messaggio: cantare quello che è il nostro sangue in maniera diversa, non solenne, ma come qualcosa di tenero, che ci protegga.

Musicultura è un Festival che resiste e conferma il suo impegno accanto alla musica e al mondo della canzone d’autore. Quale incoraggiamento sente di dare ai nuovi cantautori che si stanno facendo strada in un periodo così complesso?

Di essere coerenti, di non seguire nessuna moda: la moda la devono fare. Devono avere il coraggio di essere numeri uno e di sentire le proprie inclinazioni e peculiarità. Bisogna inseguire la propria strada senza copiare, emulare o cercando strade di facile successo. È necessario studiare, essere curiosi e costruire la propria casa mattone su mattone. Le cose arrivano quando sei strutturato, un tetto senza fondamenta viene facilmente spazzato via.

È iniziato Musicultura 2020: il resoconto della prima serata

  • Ruggeri omaggia Piero Cesanelli interpretando la sua Caffè Corretto: inizia così Musicultura XXXI
  • Vanno in finale: Miele, I Miei Migliori Complimenti, Blindur, Fabio Curto
  • Tosca e Massimo Ranieri incantano lo Sferisterio
  • Tra gli ospiti Antonio Rezza, Salvador Sobral, i Bandakadabra
  • A Blindur il premio AFI. A Miele il premio Miglior Testo. A I Miei Migliori Complimenti il premio NuovoIMAIE
Enrico Ruggeri omaggia Piero Cesanelli con l’interpretazione di Caffè Corretto

Riflettori puntati sul palco dell’Arena Sferisterio di Macerata: la trentunesima edizione di Musicultura si apre con un omaggio a Piero Cesanelli, ideatore e direttore artistico del festival dal 1990 al 2019.

“Piero Cesanelli ci ha lasciato poco meno di un anno fa, credeva nel fascino della canzone e della musica. Siamo qua a rendergli omaggio, in quest’arena che non ha nulla da invidiare ai più grandi teatri del mondo”: a ricordarlo con queste parole è Enrico Ruggeri, conduttore del Festival della Canzone Popolare e d’Autore per il secondo anno consecutivo, che inaugura la serata esibendosi proprio con un pezzo di Cesanelli, Caffè Corretto.

Si entra poi nel vivo della competizione: I miei migliori complimenti con Inter-Cagliari è il primo vincitore a salire sul palco dello Sferisterio.

Subito dopo è il turno di Fabio Curto, che presenta al pubblico maceratese il brano Domenica.

Segue poi H.E.R, che intona la sua Il mondo non cambia mai.

A chiudere la prima metà della gara è la cantautrice Hanami con Contro volontà.

i vincitori di musicultura 2020
I vincitori di Musicultura 2020 sul palco dello Sferisterio

È il momento della prima ospite della serata, regina della musica cantutoriale italiana: Tosca, che saluta la platea con queste parole: “Le nuove generazioni sono una boccata d’aria fresca, sono il nostro futuro. Grazie a Musicultura, di cuore”.
Cantante, attrice, artista eclettica con un’innata propensione alla ricerca e alla sperimentazione, incanta lo Sferisterio con i brani Giuramento e Ho amato tutto.

tosca a musicultura 2020
Tosca incanta lo Sferisterio

Spazio a Rai Radio 1 , che trasmette l’evento in diretta, con il consueto saluto da parte dei presentatori radiofonici John Vignola, Marcella Sullo e Duccio Pasqua. Anche durante il lockdown la programmazione dell’emittente ha accompagnato Musicultura nelle semifinali del concorso e “Un giorno da Gambero” ha ospitato gli otto vincitori facendoli conoscere al grande pubblico.

La competizione riprende, di nuovo spazio ai vincitori: tocca ai Senna che si esibiscono con Italifornia.

La Zero è invece la sesta vincitrice a salire sul palco con Mea Culpa.

Segue poi la performance della cantautrice Miele con Il senso di colpa.

A chiudere la rosa degli otto vincitori, infine, è Blindur con Invisibile agli occhi.

È tempo di premiazioni: il presidente dell’Associazioni Fonografici Italiani Sergio Cerruti conferisce il premio AFI a Blindur. Cerruti accompagna il momento così: “Siamo stati accanto a chi produce musica da sempre. Ci sono i grandi autori, ci sono i grandi artisti, ma ci sono anche i grandi produttori e i grandi manager. Il motivo di questo premio è principalmente la musica, nulla di più”.

La consegna del premio AFI – Associazione Fonografici Italiani a Blindur

In attesa che vengano svelati i nomi dei 4 quattro vincitori che accederanno alla finalissima di domani sera, il pubblico accoglie con un caloroso applauso il secondo ospite della serata, Massimo Ranieri, con il brano Mia ragione. “A Musicultura – spiega l’artista partenopeo – sono di casa; l’ultima volta che sono salito sul palco è stato 4 anni fa. Quest’anno è l’anniversario di un rivoluzionario maestro della musica napoletana, un vero rapper ante tempore, il divino Renato Carosone”. Ed è proprio dedicato a quest’ultimo l’omaggio musicale rappresentato dall’interpretazione di Pijate ‘na pasticca.

Massimo Ranieri ritorna sul palco dello Sferisterio a 4 anni dall’ultima partecipazione a Musicultura

È del valore di 2.000 euro il premio per il Miglior Testo, attribuito dagli studenti dell’Università di Macerata e Camerino. Ad aggiudicarselo è Miele “per la sfrontatezza con cui Senso di Colpa ha abbattuto le barriere di genere”.

Miele ritira il Premio per il Miglior Testo 2020

Premio Nuovo Imaie invece è costituito da 15.000 euro da utilizzare per la realizzazione di un tour promozionale. A gioire per questo premio è I Miei Migliori Complimenti, a cui consegna il riconoscimento John Vignola, che spiega: “Suonare live è il momento centrale per chi ha pensato una canzone e vuole proiettarla verso un suo pubblico”.

I Miei Migliori Complimenti Premio nuovo IMAIE 2020
I Miei Migliori Complimenti ritira il Premio nuovo IMAIE

Il performer Antonio Rezza si presenta al pubblico dello Sferisterio come “polemista in si bemolle”. Un progetto, quello che presenta sul palco, che nasce durante i mesi del lockdown e porta il suo autore ad una considerazione: “Se tutte le menti libere si concedessero quattro mesi di reclusione all’anno, potrebbero nascere delle produzioni esplosive”.

Il performer Antonio Rezza con Enrico Ruggeri

Il portoghese Salvador Sobral, vincitore dell’Eurovision Song Contest 2017, è abituato a palchi internazionali, ma l’intimità dell’Arena Sferisterio ha fatto davvero brillare i suoi brani Paris Tokio II e Amar pelos dois.

Salvador Sobral

Ultima ad esibirsi è la Bandakadabra, orchestra di strada nata a Porta Palazzo, cuore multietnico di Torino, con un mix di musica bandistica, jazz e folk. Uno spettacolo suggestivo, dove note e gag si incastrano perfettamente.

Bandakadabra

La serata si conclude con la proclamazione dei quattro artisti che sabato si contenderanno il premio da 20.000 euro destinato al vincitore assoluto dell’edizione:

  • Miele
  • Blindur
  • I Miei Migliori Complimenti
  • Fabio Curto

Chi sarà il vincitore assoluto della trentunesima edizione di Musicultura?

 

INTERVISTA – “Dove non siamo stati”: la poesia di Giovanna Cristina Vivinetto incanta La Controra

«[…] Col tempo avremmo imparato/ 

per non farci cogliere mai più impreparati/ 

a saper far parlare anche il vuoto». 

Nella sua più recente raccolta di poesie Dove non siamo stati (Rizzoli, 2020), presentata al pubblico de La Controra per la XXXI edizione di Musicultura, la poetessa Giovanna Cristina Vivinetto racconta di tanti strappi e mancanze, di innumerevoli fantasmi del passato, di transizioni graduali e di sorpassi lenti; ma racconta anche di altrettante rinascite luminosissime, di altrettanti dolori minimi, alle volte minimalisti, alle volte monumentali. Quella di Giovanna è una maturità artistica pura, quasi disarmante vista la giovanissima età, una maestria unica, di chi non deve di certo alzare la voce per farsi udire, di chi riesce con la più delicata delle schiettezze «a far parlare anche il vuoto» e far sì che quel vuoto – e la conseguente rinascita – arrivi proprio a tutti, anche a chi spera di non sentire. Alla redazione di “Sciuscià”, la poetessa siracusana si racconta così.

La tua prima raccolta di poesie, Dolore minimo, è stata un vero e proprio grido di identità, caso critico ed editoriale del 2018 e rarità nel mondo della poesia contemporanea. Cosa stai rivendicando oggi? Cosa è cambiato da quel recente esordio?

Ogni “istanza” che possa essere definita in qualche maniera “identitaria” e che porta avanti i diritti civili non ha mai una data di scadenza; certe battaglie sono valide in qualsiasi epoca storica, e anzi con il passare del tempo diventano ancora più attuali, basti pensare alla lotta femminista ripresa fortunatamente negli ultimi anni, dopo troppo tempo. Per quanto riguarda invece un’identità più ibrida o fluida come può essere quella LGBT, o che mi riguarda ancor più da vicino, come l’identità sessuale delle persone transessuali, la tematica è ancor più attuale. Sono argomenti recentissimi non solo nel dibattito culturale, ma anche in quello storico e politico: difatti, risale solo al 1984 la legge che permette alle persone transessuali di poter cambiare il sesso dopo una trafila burocratica e medico-chirurgica. Solo recentemente c’è stato un grande salto in avanti, grazie a una sentenza del 2015 che rende possibile cambiare sesso senza dover ricorrere necessariamente alla chirurgia. 

Essendo una tematica civile così rilevante, deve essere sempre affrontata con maggior vigore: il fatto che la poesia si faccia carico di qualcosa di così forte non può che giovare alla comunità, perché da sempre la letteratura è il veicolo di idee e concezioni che meglio permette di superare certi stereotipi. Insomma, la letteratura è una voce corale, non appartiene mai al singolo, o peggio ancora a chi la produce, ma appartiene davvero a tutti. 

Riguardo invece la tua seconda uscita, Dove non siamo stati, nella nota critica Alberto Bertoni racconta che “Orfeo torna solo nel mondo, dopo essere diventato lui Euridice”. Difatti, la raccolta si presenta come un viaggio nell’Ade, un ritorno ai fantasmi del passato. Si tratta di una trasformazione o di una resurrezione? Ovvero, c’è di mezzo un omicidio?

Sembra ci sia stato un omicidio perché in effetti nella prima sezione, quella dai toni più dark, cerco di indagare ciò che è avvenuto dopo la perdita di una parte della mia identità. Ogni transizione, che sia sessuale o meno, comporta una perdita. Tutti noi perdiamo nel corso della nostra esistenza una parte di noi stessi; la vera scommessa sarebbe proprio tentare di mantenere questa parte, o meglio di recuperarla, di tenerla in vita ricordando quello che eravamo. 

La seconda raccolta di poesie, Dove non siamo stati, è un’indagine nei confronti di un’assenza, che mi ha riguardato prima in quanto parte della mia identità, ma poi rivolta anche all’esterno: infatti, se in Dolore minimo il viaggio è in solitaria, vale a dire il percorso di un’identità che riscopre sé stessa, qui lo sguardo della mia cinepresa si allarga oltre i confini della sola identità, abbracciando quelli di un paese intero; nell’ultima sezione racconto infatti di un centro abitato, Ciuriddia, ovvero Floridia -dove sono nata e cresciuta- nell’ottica di fare i conti con una realtà che si è persa per recuperarla, dirle addio e infine andare avanti.

 Questo è il significato di tutti i diversi fantasmi che si avvicendano nel libro: capire che dove apparentemente non siamo stati e dove non saremo più in realtà continueremo ad esistere, perché dalla nostra abbiamo delle storie da raccontarci: esistiamo perché raccontiamo.  

 Parliamo di scelte stilistiche. Spesso si ravvisano delle attenzioni metriche proprie della tradizione italiana, ma in una scrittura volutamente libera, quasi prosastica. Da cosa deriva questa inclinazione?

Diversi modelli hanno influenzato la stesura di questo libro: in particolare, oltre alla compagna di letture a cui sono più affezionata, Wisława Szymborska, ci sono anche Pierluigi Cappello, Franco Buffoni e Antonella Anedda. In effetti, la raccolta è molto variegata: nella prima sezione, per esempio, ho inserito componimenti dal ritmo più serrato, in rimando alla metrica tradizionale con decasillabi, endecasillabi e dodecasillabi; nell’ultima sezione invece i versi si sono di molto allungati, perché sentivo di dovermi avvicinare all’andamento della prosa. Ho poi concluso il libro con una poesia dalla struttura più lirica, con strofe da otto versi, in maggioranza endecasillabi.

Come unicum nella scena poetica Under 30 italiana, quali sviluppi immagini per la lirica contemporanea?

La nostra tradizione poetica italiana è meravigliosa ma al tempo stesso può risultare asfissiante: i giovani dovrebbero leggere di più i contemporanei e tentare di scrollarsi di dosso tanti modelli preponderanti e tante idee precostituite. Questa è l’unica via d’accesso per scrivere qualcosa di proprio, per accedere alla modernità: frequentare i poeti viventi e smetterla di radicarsi nel passato. La maggior parte delle persone che scrive poesia oggi è ferma all’ermetismo e produce versicoli di cui non si capisce nulla. La bellezza della poesia però risiede nella chiarezza, e forse questa sua potenzialità è anche l’unica arma per fare uscire la poesia dai ranghi dove è stata rinchiusa. 

Dopo il Nobel alla letteratura di Bob Dylan, il confine tra lirica e musica è ancora più labile e ogni categoria è sorpassata. Secondo te è giusto che spesso i cantautori vengano considerati al pari dei poeti? 

Non credo di essere la persona giusta per dire qualcosa in merito, ma il concetto che dobbiamo avere in mente per intendere il futuro è quello di contaminazione delle espressioni artistiche. Non mi sorprende che un premio Nobel sia stato assegnato a un cantautore: più che scandalizzarci, dovremmo riflettere sul perché questo avvenga. Per evolversi, la poesia non può certo rimanere rinchiusa in se stessa ma deve continuamente attingere a diverse forme d’arte per arricchire il proprio mezzo comunicativo.

Zoro lascia il segno a Musicultura: l’intervista a Diego Bianchi

L’amato comico, giornalista e blogger romano Diego Bianchi, dal 2003 noto anche con lo pseudonimo di Zoro, si racconta alla giornalista Fiamma Sanò in “La versione di Zoro. Una voce fuori dal gregge”.

Prima dell’evento, organizzato all’interno de La Controra di Musicultura, la redazione di Sciuscià ha intervistato Diego Bianchi, conduttore del popolare programma TV Propaganda Live.

Ultimamente su Facebook hai ripostato uno scatto nostalgico risalente al 2013 raffigurante uno Zoro un po’ turbato al primissimo giorno di riprese della pellicola Arance e Martello, interamente diretto e interpretato da te alla tua prima prova registica. In che modo ti sei avvicinato all’universo cinematografico e, in particolare, alla regia?

Da autodidatta, nel tempo, avevo scritto tante sceneggiature per i miei lavori e avevo anche creato dei lungometraggi per la Rai. Per cui, nel momento in cui ho avuto una storia da raccontare  ̶ che era per me la cosa più importante di tutte  ̶  l’ho proposta alla Fandango, con cui lavoravo al tempo e con cui lavoro tutt’ora, e che mi ha risposto che la cosa si poteva fare. Ho provato con i miei strumenti, la mia telecamera e le mie conoscenze, ed è venuto fuori un bel lavoro. Poi, ovviamente, mi sono avvicinato al cinema anche e principalmente da cultore medio; non mi definirei nemmeno un appassionato vero e proprio.

In seguito a questa esperienza, torni ufficialmente al mondo del piccolo schermo e dal 2017 sei conduttore su LA7 di Propaganda Live, talk show satirico in onda ogni venerdì in prima serata. Come mai questa inversione di rotta?

In realtà è proprio il contrario perché, prima di cimentarmi nella regia di Arance e Martello, ero già reduce del mio primo anno di Gazebo su Rai3 e venivo comunque da The Show Must Go Off, e da tutti gli anni di lavoro con Serena Dandini; ormai lavoravo in TV. La digressione è stata quella cinematografica. Pensavo che fare un film fosse un’esperienza unica, che andava provata prima o poi, ma per la quale era importante avere sia del tempo che delle storie da raccontare. Per il momento non ho nulla in mente e non rientra tra le mie priorità assolute fare cinema, ma non nego un possibile riavvicinamento all’universo cinematografico in futuro.

diego bianchi a musicultura

Perla del palinsesto de La7, Propaganda Live è tra le trasmissioni che meglio hanno retto il colpo del lungo lockdown dei mesi scorsi e riprenderà regolarmente l’11 Settembre. Come sei riuscito a portare avanti il programma senza interruzioni, nonostante l’emergenza sanitaria in corso?

Siamo andati avanti tra tante difficoltà. A un certo punto abbiamo perso il pubblico ed è stata dura. Abbiamo fatto di necessità virtù, chiedendoci più volte quanto e se avesse senso, data la drammaticità del momento, andare avanti col nostro modo di raccontare le cose, che è serio ma anche leggero, e non solo ansiogeno come tanta dell’informazione che è stata fatta in quei giorni. Avere una voce un po’ diversa dalle altre ha probabilmente contribuito a far sì che tante persone si affezionassero a noi e che iniziasse a seguirci persino più gente del solito. Che poi banalmente ci fosse più gente a casa davanti al televisore l’abbiamo considerato, ma comunque ci ha fatto piacere che, tra le tante offerte, aspettassero e scegliessero noi.
Questo è stato ciò che ci ha fatto capire che forse era giusto continuare, nonostante l’angoscia tremenda che tutti provavamo. Sono meriti reciproci. Ci siamo fatti forza a vicenda con chi ha continuato a seguirci.

La caratteristica principale che colpisce del tuo modo di fare giornalismo è certamente la schiettezza con cui affronti i tuoi argomenti. Ma il raccontare in maniera così onesta e sfacciatamente sincera senza filtro alcuno, se non la tua immancabile e pungente ironia, ti ha mai messo in difficoltà?

Le difficoltà ci sono sempre. Io racconto solo quello che vedo.
Quando fai questo lavoro hai anche la responsabilità di raccontare le storie che ti vengono riportate esattamente così come sono. Cerco di essere il più naturale possibile, non faccio particolari censure se non quelle dettate dal buon senso. Grosse difficoltà non me ne ha mai create.

fiamma sanò e diego bianchi a musicultura

Conduttore televisivo, YouTuber, blogger, giornalista, autore, comico, e persino regista: in poche parole, chi più ne ha più ne metta. Diego Bianchi è un personaggio crossmediale che conosce molto bene il mondo dello spettacolo. Che consiglio regaleresti agli otto vincitori di Musicultura per stimolarli a proseguire il proprio percorso artistico?

Che consiglio gli darei? Sono già vincitori! Non hanno bisogno di consigli, quello che stanno facendo lo stanno facendo bene. Scherzi a parte, l’unico consiglio sincero che mi sento di regalare è di divertirsi e di provare ad essere innovativi sempre e il meno ripetitivi possibile rispetto all’esistente; di non scadere mai nella banalità per raggiungere la popolarità.

Hai partecipato come musicista a un evento collaterale del nostro festival: ci racconti quell’esperienza?

Si, ho partecipato al Festival, allora Premio Recanati, vent’anni or sono, nel 1996, con il mio gruppo Original Slammer Band, di matrice fortemente ciociara, fatta eccezione per me che ero l’unico romano. Andavamo forte, ci siamo anche autoprodotti 5 o 6 dischi ed al tempo eravamo stati selezionati da Musica che era l’inserto de La Repubblica dedicato ai giovani gruppi emergenti.

INTERVISTA – Musicultura 2020: è il Momentum dei Calibro 35

Si è aperta a suon di colonne sonore cinematografiche l’edizione 2020 di Musicultura, che né l’emergenza sanitaria dovuta al Covid né la pioggia battente che ha preceduto l’evento sono riuscite a bloccare.

Così ieri sera, in Piazza Vittorio Veneto, il sound funk e jazz dei Calibro 35 è stato protagonista di una serata in cui il pubblico del Festival ha potuto apprezzare le sonorità dei film poliziotteschi degli ‘anni 70 riproposte dalla band, che prima della sua esibizione ha rilasciato quest’intervista alla redazione di “Sciuscià”.

Gennaio 2020: i Calibro35 tornano sulla cresta dell’onda con l’uscita del nuovo album Momentum; le registrazioni sono avvenute nello studio milanese TestOne, lo stesso dove avete realizzato il primo omonimo disco dodici anni fa. Com’è stato tornare dove tutto ha avuto inizio?

È stato molto divertente ed interessante tornare sui nostri passi perché Momentumsi rifà proprio ai nostri primissimi lavori. Non si è trattato di una scelta consapevole, ma piuttosto di un puro caso fortuito. Non è stato né voluto né programmato, semplicemente è capitato.

Restiamo ancora in tema: chi sono i Calibro di Momentum?

Momentum per noi è sinonimo di una vera e propria rinascita, sia fisica che concettuale. I Calibro di Momentum sono gli stessi di dieci anni fa. Più vecchi e più stanchi, ma sempre inguaribilmente gli stessi.

Provenendo da background musicali totalmente differenti, ed essendo impegnati in carriere parallele e svariati side-project, come conciliate le vostre diverse nature e soprattutto come riuscite a mantenervi sempre integri nella vostra musica?

Sembrerà banale ma la forza dei Calibro 35 risiede proprio nella nostra diversità. Il confronto e la successiva fusione di gusti musicali ed influenze artistiche totalmente contrastanti, talmente discostanti da sembrare apparentemente quasi del tutto inconciliabili, ha insolitamente portato al crearsi di una particolare alchimia che poggia le sue basi proprio sull’ incompatibilità e che per noi ha inspiegabilmente sempre funzionato e funziona ancora oggi.

Poco più di un mese fa il mondo del cinema e quello della musica hanno pianto la scomparsa del pluripremiato maestro delle colonne sonore Ennio Morricone. Una stanza vuota, Trafelato e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospettosono solo alcuni degli innumerevoli tributi dei Calibro all’amato padrino musicale. Credete che Morricone abbia mai ascoltato le vostre reinterpretazioni?

Nel corso degli anni abbiamo avuto numerosi responsi, ma non sappiamo se Ennio Morricone abbia mai avuto modo di ascoltare uno dei nostri pezzi. Se mai dovessimo averne conferma ci sentiremmo solo che infinitamente grati ed onorati.

 

Questa è la vostra prima volta sul palco di Musicultura e a Macerata. Che cosa si prova a calcare nuovamente le scene e a ritrovarsi sul palco di un grande Festival come questo dopo tutti questi mesi di “congelamento”?

Ci riteniamo molto fortunati a poter partecipare al Festival in un momento simile. Privilegiando il lato strumentale, la musica dei Calibro 35 si concilia bene con le norme per il distanziamento sociale e anche una platea seduta e composta può renderci a suo modo omaggio. Anche molti spettatori si sono ricreduti: musica più godibile e senza interruzioni. La vera sfida sarà in autunno e in inverno quando gli spazi per esibirsi saranno notevolmente ridotti. Per quel che conta, noi restiamo positivi.

 

 

 

L’Università di Macerata rende omaggio a Piero Cesanelli

Durante la serata del 26 Agosto, in occasione dell’atteso concerto dei vincitori della XXXI edizione del Festival, l’Università di Macerata renderà omaggio all’amato e storico direttore artistico del Festival, Piero Cesanelli, scomparso lo scorso anno.

Un gesto dal valore simbolico, un riconoscimento ufficiale alla lungimiranza e all’impegno di Piero Cesanelli nel valorizzare giovani talenti: è con questo spirito che l’Università di Macerata ha deciso di rendere omaggio al patron di Musicultura nel primo anno di festival senza il suo ideatore.

Abbiamo voluto riconoscere alla sua memoria– spiega il Rettore Francesco Adornato – il sigillo dell’Ateneo. Ci uniscono la profonda passione per i giovani e i loro molteplici talenti, il comune impegno per offrire a ragazze e ragazzi le giuste occasioni per sperimentare le loro capacità e provare che sono in grado di raggiungere le mete che sognano e coltivano nel cuore”.

Il Rettore consegnerà il sigillo dell’Ateneo alla moglie di Piero Cesanelli, Paola e all’attuale direttore artistico e suo braccio destro Ezio Nannipieri durante la serata del concerto dei vincitori .
Inoltre, per rafforzare la collaborazione, avviata da anni, tra le due istituzioni, la prossima edizione “covid-free” di UniFestival – l’evento annuale che vede gli studenti Unimc organizzatori e protagonisti – sarà dedicato a Piero Cesanelli.

Ritengo– prosegue il Rettore – che ci siano consonanze significative che, negli anni, si sono tradotte in forma di collaborazione e partecipazione: con i nostri studenti impegnati nelle annuali giurie o nell’ufficio stampa; oppure con la webradio dell’Università di Macerata, Rum. Preziose occasioni artistiche, culturali, formativo-educative, di crescita e arricchimento personali”.

I Pinguini Tattici Nucleari a Musicultura 2020

I Pinguini Tattici Nucleari irrompono nel ricco cast della XXXI edizione di Musicultura.Si esibiranno sul palco del festival della canzone popolare e d’autore italiana, allo Sferisterio di Macerata, sabato 29 agosto.

“Sono ragazzi che seguiamo con attenzione fin dal loro esordio. Sanno raccontare storie, accostarsi a sentimenti complessi con leggerezza ed intelligente ironia, dedicarsi alle proprie canzoni con passione e cure artigianali. La coesistenza di tutti questi requisiti nella stessa realtà artistica è una cosa rara –osserva il direttore artistico di Musicultura Ezio Nannipieri, che aggiunge: La band guidata da Zanotti non è uno di quei fuochi di paglia che nel panorama musicale di oggi divampano e si spengono dall’oggi al domani, penso che i Pinguini siano destinati a durare tanto e stupirci ancora molto. Siamo contenti che abbiano risposto al nostro invito, li aspettiamo con stima e simpatia”.

La XXXI edizione di Musicultura si avvia intanto a vivere il suo atto finale, in presenza di pubblico allo Sferisterio di Macerata, con due serate di spettacolo (28 e 29 agosto). Le espressioni migliori della canzone italiana si intrecceranno con le suggestioni della parola poetica, Sul palco si alterneranno con set studiati ad hoc Massimo Ranieri, Tosca, ilvincitore dell’Eurovision Song Contest 2017 Salvador SobralAntonio Rezza BandaKadabravenerdì 28 agosto; Francesco Bianconi, Asaf Avidan, Gruppo Ocarinistico Budriese, Bruno Tognolini, Lucilla Giagnoni e per l’appunto i Pinguini Tattici Nucleari sabato 29 agosto.

In veste di conduttore-narratore ritroviamo Enrico Ruggeri. Il cantautore, che è anche membro del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, è alla sua seconda esperienza in questo ruolo sul palco della manifestazione.

Protagonisti delle due serate saranno anche i giovani vincitori del prestigioso concorso di Musicultura, con il pubblico dello Sferisterio chiamato ad eleggere tra loro il vincitore assoluto, al quale andranno in premio 20.000 euro.  Queste le otto proposte in gara: Fabio Curto, Miele, BlindurI Miei Migliori ComplimentiH.E.R.Senna, Hanami e La Zero. Dopo lunghe selezioni, gli otto vincitori del Festival sono stati incoronati dal prestigioso Comitato di Garanzia di Musicultura, composto da Claudio Baglioni, Brunori Sas, Vasco Rossi, Sandro Veronesi, Francesca Archibugi, Giorgia, Enzo Avitabile, Enrico Ruggeri, Alessandro Mannarino, Luca Carboni, Guido Catalano, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Frankie hi-nrg mc, Teresa De Sio, Niccolò Fabi, Dacia Maraini, Mariella Nava, Gino Paoli, Ron, Andrea Purgatori, Alessandro Carrera, Ennio Cavalli, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Willie Peyote.

Rai Radio1, la radio ufficiale del festival, trasmetterà in diretta le due serate, tra i media partner c’è anche Rai Isoradio. L’evento sarà trasmesso televisivamente da Rai2, con messa in onda il 3 settembre in seconda serata.

Gli spettacoli allo Sferisterio (biglietti disponibili su Vivaticket) sono solo una “porzione”, se pur rilevante, del “menù” più ampio del festival. Musicultura 2020 accenderà infatti la città di Macerata nell’intera settimana che va dal 24 al 29 agosto con il denso programma della Controra, la sezione cittadina della manifestazione, che propone concerti, recital, spettacoli teatrali, incontri con gli autori, tutti ad ingresso libero. Tra gli ospiti, oltre ad alcuni degli artisti che si esibiranno anche allo Sferisterio, i Calibro 35, Diego Bianchi (in arte Zoro),Giovanna Cristina Vivinetto, Ennio Cavalli, Walter Veltroni.