L’ultima serata del concorso, per la proclamazione del vincitore assoluto del Festival

Un ricordo e un omaggio ad un carissimo amico del Festival, Fabrizio Frizzi, ha dato il via alle finali: il fratello Fabio Frizzi al pianoforte, per l’occasione si è esibito con La Compagnia, ed ha ricevuto le chiavi dell’Arena Sferisterio, consegnate dal sindaco di Macerata Romano Carancini.

Ora la XXIX edizione di Musicultura si avvia verso la finalissima del concorso, presentata da John Vignola, Gianmaurizio Foderaro e Metis Di Meo; stasera infatti all’Arena Sferisterio si esibiranno i quattro artisti più votati dal pubblico nelle due serate precedenti, del 14 e 15 giugno: Marco Greco, con il brano “Abbiamo vinto noi”, Daniela Pes con “Ca milla dia dì”, Davide Zilli con “Coinquilini” e Pollio con “Generico”; sarà proprio uno di loro ad aggiudicarsi il Premio UBI – Banca del valore di 20.000 euro.

Stasera la rassegna si concluderà, come sempre, con lo spettacolo di grandi ospiti di successo; saranno infatti sul palco Brunori Sas, Mirkoeilcane, vincitore della XXIII edizione della rassegna, e per la prima volta Malika Ayane, con l’Accademia della Libellula.

Per chi volesse seguire l’ultimo appuntamento di Musicultura, questo sarà trasmesso in diretta sulle pagine Facebook di Musicultura, Rai3 e Radio1 Rai.

Musica, cultura e spettacolo: l’Arena di Macerata nei giorni scorsi ha ospitato grandi nomi della musica italiana e internazionale, i Procol Harum, Lo Stato Sociale, Ron Padgett, Sergio Cammariere, Willie Peyote, Cinzia Leone, La Compagnia di Musicultura, oltre agli altri quattro vincitori del concorso, quindi Alberto Nemo, Zoni Duo, Francesco Rainero e Rakele.
Sono stati assegnati, durante le due serate finali di giovedì e venerdì, alcuni importanti riconoscimenti: Daniela ha vinto il Premio Nuovo IMAIE per la realizzazione di un tour e il Premio SIAE per la Migliore Musica, Davide Zilli il Premio per il Miglior Testo e Pollio invece ha ricevuto il Premio per la Miglior Interpretazione.

Siamo dunque giunti al momento conclusivo del concorso, in attesa di sapere chi sarà il vincitore assoluto della XXIX edizione di Musicultura, per festeggiare insieme, ancora una volta, la canzone popolare e d’autore.

Serata finale: domenica show con Brunori Sas, Mirkoeilcane e Malika Ayane. Live su Facebook

Tutto pronto all’Arena Sferisterio di Macerata dove, domani domenica 17 giugno a partire dalle ore 21, si svolgerà la serata finale di Musicultura che Rai3 e Radio1 proporranno in prima battuta live su Facebook in simulcast. Per la Rai è la prima esperienza crossmediale che viene proposta on line che anticipa la messa in onda in tv e radio: “Siamo davvero incuriositi da questo mix speciale di musica, contenuti, sguardo ai giovani e racconto del territorio: tutti elementi che appartengono all’identità di Rai3 e alla necessità dell’azienda di fare Servizio Pubblico”, ha spiegato Alessandro Lostia, Vice direttore di Rai3.

Dopo il live su Facebook, il 22 giugno proporremo uno straordinario speciale su Musicultura – ha detto Mario Prignano, Vice Direttore di Radio1che conterrà il meglio delle note ascoltate a Macerata. Sarà una primizia per i nostri ascoltatori attenti e interattivi”.

Sul palco dello Sferisterio, accompagnati dalle voci di Metis Di Meo, Gianmaurizio Foderaro e John Vignola, saliranno, tra gli altri: Brunori Sas, Mirkoeilcane e Malika Ayane.

INTERVISTA. Dori Ghezzi a La Controra: “Fabrizio ha avuto ragione nel credere a Musicultura”

Nonostante sia così semplice nella forma, “Lui, io, noi” è un titolo per nulla scontato; queste tre parole, infatti, racchiudono tre mondi, diversi ma intrecciati. L’autrice è, assieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini, Dori Ghezzi, il cui primo accorgimento, scrivendo il libro, è stato quello di non dipanare una tale aggrovigliata matassa di rapporti umani ma, al contrario, lasciarne intatta la bellezza e la complessità.

Tra le pagine rivive un grandissimo uomo che ha significato tanto per molti, non solo per chi con lui ha condiviso i momenti più importanti: Fabrizio De André è stata una figura di riferimento per intere generazioni e continua ad esserlo, sulla scia dei valori che ha sempre vissuto, prima che cantato. Di questo ci parla, con una tenerezza luminosa, Dori Ghezzi, la sua straordinaria compagna.

“Lui, io, noi” è una raccolta degli incontri e dei momenti più significativi della vostra vita insieme, scritta con Giordano Meacci e Francesca Serafini, gli sceneggiatori del film “Principe Libero”. Come è nata l’idea di realizzare un libro a più voci?

Non è nata da me, come non è stata una mia idea la realizzazione del film; per anni non ho voluto approcciarmi ad opere del genere. Tuttavia, quando mi sono trovata di fronte Francesca e Giordano, mi sono convinta che era il momento per farlo e che avevo trovato le persone giuste. Insieme abbiamo parlato del libro dopo il film, dal quale alcuni anni fa è partito il progetto.

Dopo l’uscita del film “Principe Libero”, oltre ai tanti apprezzamenti, sono state espresse diverse perplessità su quello che non era stato raccontato. Considerato che, naturalmente, in una produzione del genere tagli e leggeri adattamenti sono inevitabili, quale scena, nel ricordo di Fabrizio, sceglierebbe di girare, immaginandosi lei dietro alla macchina da presa?

Ho sposato questo tipo di film per far conoscere alla gente il Fabrizio giovane e creativo del primo periodo della sua vita, nonché la sua formazione. Mi è mancata molto la sua parte fanciullesca, quando da bambino viveva a Revignano D’Asti, in campagna. Proprio questa sua fase ha giustificato tutte le decisioni che ha preso successivamente, come la scelta di abitare in Sardegna; purtroppo non è stato possibile mostrare questo periodo della sua infanzia, nonostante fosse già presente nella sceneggiatura. Il resto, soprattutto quel taglio a fine anni ’80, è stato voluto, anche perché è da lì che comincia il momento più noto della vita di Fabrizio. È stata fatta una scelta drastica, poiché non è stato possibile prendere tutto in considerazione: puntare sulla sua attività creativa o sul suo essere uomo, sulla sua umanità.

Ironicamente Fabrizio diceva che avrebbe voluto vivere come un moderno Oblomov, il personaggio letterario ottocentesco, celebre per la sua indolenza. Voleva così rimarcare la sua pigrizia-attiva che lo portava a chiudersi in camera per ore, circondato dalle letture più disparate. È vero che in questi momenti appuntava citazioni e suggestioni su fogli sparsi, e che quelle diventavano poi le sue canzoni?

È vero, lo ha sempre fatto. Quando aveva l’urgenza di memorizzare qualcosa, a prescindere da dove si trovava, la prima cosa che gli capitava sottomano diventava la sua pagina. Così ho trovato molti suoi appunti, scritti dove capitava. Ho cercato di raccogliere il possibile, perché per me era prezioso tutto di Fabrizio. Per quanto riguarda Oblomov, posso dire che mi sento anch’io come lui: ognuno di noi, proprio perché ha una vita sempre più convulsa, quando è a casa ha bisogno di lasciarsi andare, magari sul letto; così capitava a lui, che rimaneva lì ore e ore. Non tutto quello che scriveva in questi momenti rientrava comunque nelle sue canzoni. Magari in qualche caso erano scritti mirati, perché stava già lavorando su un tema; altre volte erano semplicemente delle riflessioni istintive riguardo ciò che stava leggendo.

Lei si è spesa, anche attraverso la Fondazione Fabrizio De André, per divulgare e far conoscere la figura e la poetica di Fabrizio. Anche in considerazione dell’anniversario dei 20 anni dalla sua scomparsa, quali sono i prossimi progetti della fondazione?

Non ci consideriamo artefici, come fondazione, di aver mantenuto in vita Fabrizio, perché lo ha fatto semplicemente lui, da solo. Spesso seguiamo soltanto delle iniziative che altri ci propongono. Ovviamente per il ventennale dalla sua scomparsa sono previste alcune manifestazioni in tutta Italia. Quello che mi colpisce maggiormente però è vedere come l’11 gennaio, il giorno del compleanno di Fabrizio, nascano nelle maggiori piazze italiane degli incontri spontanei durante i quali si canta e si suona per ore in sua memoria. Io non ho mai voluto partecipare a questi progetti per non interrompere la loro magia.

Fabrizio fu uno tra i primi firmatari del Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, allora Premio Città di Recanati. Cosa lo spinse ad aderire a quel nuovo progetto? Ci racconta un aneddoto di quelle giornate a Recanati? Un’ultima curiosità: Leopardi era tra i poeti amati da Fabrizio?

Considerando che Fabrizio era sempre molto schivo, lui deve aver nutrito una grande fiducia per il nuovo premio che stava nascendo. Ha avuto ragione nel credere a Musicultura, un festival importante per l’Italia, che ha dato inizio alla ricerca di talenti orientati anche sull’aspetto letterario della canzone. Mi ricordo che ne ero anch’io coinvolta in prima persona, perché quando arrivava questa “montagna” di pezzi da ascoltare, lo facevamo insieme per giornate intere. Per quanto riguarda la poesia, diciamo che era più orientato verso quella francese, anche se sicuramente apprezzava altrettanto i grandi della letteratura italiana, come Leopardi.

INTERVISTA. Sergio Cammariere a Musicultura 2018: un grande “cantautore piccolino”

“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”: si definisce così in un suo brano Sergio Cammariere, riconoscendosi come allievo di una  scuola cantautorale italiana, quella genovese, che annovera nomi celebri, come Fabrizio De André, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Gino Paoli, con il quale ha collaborato e suonato in varie occasioni.

Artista raffinato e aperto anche a suoni internazionali, dopo aver composto molte colonne sonore per svariati registi, pubblica nel 2002 il suo primo disco, “Dalla pace del mare lontano”. Seguono poi numerosi lavori: “Cantautore piccolino”, “Carovane” – per ricordarne alcuni – “Piano”, del 2017, un album incentrato, appunto, sulla sola melodia del pianoforte, senza intromissione della voce. In occasione della sua partecipazione a Musicultura 2018, Cammariere parla di sé e della sua musica con la redazione Sciuscià.

Prendiamo in prestito le parole di un suo testo: “tutto quello che un uomo” come lei ha vissuto nella sua carriera, con quali parole si potrebbe descrivere?

Con le stesse parole che ho utilizzato nelle mie canzoni. “Tutto quello che un uomo sognare potrà”: tutto è partito da un sogno che si è avverato. È stato qualcosa di straordinario. È accaduto che, dopo tantissimi anni di gavetta, a 42 anni mi sia trovato a Sanremo a cantare questa bella canzone.

La sua musica si apre a sonorità internazionali; ci sono degli elementi musicali di altri paesi che le piacerebbe sperimentare e che attualmente la incuriosiscono?

Certamente. Ho realizzato già sette album da cantautore e tante colonne sonore; mi piace molto mettermi alla prova. Voglio ricordare un disco del 2009 che è stato molto sperimentale: si chiamava “Carovane”; in quel lavoro ho coinvolto, oltre alla mia famiglia del jazz, anche dei musicisti indiani con il sitar e le tabla, ai quali si è aggiunta poi anche l’orchestra d’archi. È un progetto che include sonorità molto particolari: la sperimentazione per i creativi è fondamentale, perché grazie ad essa è possibile conoscere sentieri nuovi e linguaggi diversi per comunicare l’anima.

Il suo ultimo album, “Piano”, è puro suono ed esprime il rapporto profondo tra lei e il pianoforte; è un gesto d’amore verso il potere riflessivo della musica, dunque. Come nasce l’idea di pubblicare un lavoro solo strumentale?

L’idea è partita tanti anni fa: la mia amica Maria Sole Tognazzi mi chiese dei pezzi strumentali per il suo film “Ritratto di mio padre”, dedicato a Ugo Tognazzi. Così nel 2011 ho iniziato a scrivere dei brani con l’accompagnamento del solo pianoforte. Poi altri registi esordienti mi hanno chiesto altre musiche, che ho composto negli anni successivi. A mano a mano si è formata una scaletta di 30 singoli e tra questi ne ho scelti 16 che sono entrati a far parte di “Piano”. Non è quindi un disco nato negli ultimi 3 mesi, ma è un album pensato in sette anni, che ha dunque avuto una lunga incubazione. Sono contentissimo di esprimere attraverso questi pezzi la parte più profonda di me, perché mi sono messo veramente a nudo, accompagnato dal mio strumento: senza voce, senza parole.

“Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino”, cantava qualche tempo fa in una sua canzone; poi però ha duettato con Paoli nel brano Cyrano e insieme avete fatto diversi concerti. Quanto ha influito la musica del maestro sul suo percorso artistico? Com’è nata la vostra collaborazione?

Sì, il nostro prossimo concerto sarà il 25 giugno al Teatro Petruzzelli di Bari. La musica di Paoli ha influito tantissimo, perché lui è un grande maestro, un patriarca ed è un rappresentante della grande scuola genovese. Io e Gino nei nostri spettacoli omaggiamo questo panorama artistico e i grandissimi cantautori che ne hanno fatto parte: suoniamo dei brani di Tenco, di Bindi, di Lauzi e anche di Endrigo, che sono stati dei grandi patriarchi della canzone italiana. Paoli lascerà nel firmamento della musica mondiale almeno dieci hit di successo, come La gattaSapore di saleUna lunga storia d’amore e Senza fine. La nostra collaborazione è nata perché ho incontrato 4 anni fa il suo manager, Aldo Mercuri, che poi è diventato anche il mio. Era un ex musicista di Gino, suonava il basso; adesso invece è diventato il nostro agente.

Quello di oggi è un ritorno, perché più di dieci anni fa si è già esibito sul palco di Musicultura. Ci vuole raccontare com’è stata quella esperienza?

Ogni volta che torno allo Sferisterio provo sempre una bella emozione. Prima di salire sul palco sono assai preso e ansioso. Non so perché mi viene in mente questo aneddoto: ricordo che quando mi sono esibito per la prima volta a Musicultura, con me c’era anche Fiorello; mi lanciò una bottiglietta d’acqua e io non riuscii ad afferrarla al volo. Credo che l’Arena abbia un’atmosfera molto particolare e suggestiva.

INTERVISTA. Ilaria Graziano & Francesco Forni a Musicultura 2018: il racconto della loro musica

Venerdì 15 giugno in Piazza Cesare Battisti, Ilaria Graziano & Francesco Forni si sono esibiti in pubblico per l’evento “Dal blues alla canzone d’autore andata e ritorno”; il duo napoletano, che vanta tre album all’attivo e moltissimi live in Italia e all’estero, in occasione de La Controra di Musicultura ha presentato alcuni brani dell’ultimo disco, “Twinkle Twinkle”.

La storia di Graziano e Forni si è incrociata con quelle di altre persone, di luoghi e di culture differenti; le esperienze dei due artisti hanno così caratterizzato la loro musica, che risente di influssi e sonorità internazionali e che è conosciuta anche per la sua popolarità acquisita lavorando per alcuni film di successo, come L’arte della felicità” di Alessandro Rak e “Gatta Cenerentola”, diretto anch’esso da Rak, insieme a Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone. La redazione di Sciuscià li ha incontrati per un un’intervista.

Ilaria e Francesco, avete intrapreso un percorso professionale in cui sono protagonisti generi differenti e sonorità internazionali. La complicità e il sostegno reciproco giocano un ruolo decisivo nella vostra collaborazione. Mentre lavorate ad un nuovo progetto, in che modo decidete di impostarlo?

Ilaria: Impostiamo tutto il nostro lavoro sulla sintonia, sulla complicità e sulla fiducia che contraddistinguono la nostra collaborazione. Ci approcciamo in modi differenti verso la composizione dei brani, perché scriviamo in modo diverso; l’uno però completa l’altro. Cerchiamo di contaminare le nostre canzoni con l’individualità e l’intimità di ognuno di noi.

Molti dei vostri brani sono parte della colonna sonora di film di successo. Quali sono le necessità di un artista che si approccia alla scrittura di brani, in previsione di una collaborazione cinematografica?

Francesco: Abbiamo lavorato tanto per il cinema e per il teatro, soprattutto separatamente. Ci hanno richiesto dei brani da noi già incisi e presenti nei nostri dischi, che poi sono diventate colonne sonore di film. Nei nostri progetti c’è una forte componente visionaria: quando realizziamo le canzoni, proviamo ad accostare la musica alle immagini. È nata in questo modo, ad esempio, la colonna sonora di “Gatta Cenerentola”.

È uscito da poco il vostro ultimo album concepito in tour, “Twinkle Twinkle”: è un vero e proprio viaggio ricco di suoni e immagini. Qual è stato l’aspetto più divertente nella realizzazione del disco?

I: Per poter realizzare questo disco, ci siamo dovuti fermare durante il tour; poi abbiamo deciso di lavorare in posti sempre diversi, ritrovandoci in luoghi meravigliosi, immersi nella campagna e isolati dal mondo. È stata un’esperienza particolarmente intensa.

F: I nostri tre dischi sono caratterizzati da suoni che si differenziano tra loro; nel terzo album, ad esempio, abbiamo scelto delle sonorità nuove. Durante la fase di scrittura e di creazione dei pezzi, capita spesso di sperimentare un qualcosa di innovativo. In “Twinkle Twinkle” è presente unicamente il pianoforte, perché lo abbiamo trovato nella casa in campagna dove siamo stati ospiti per la sessione di cui parlava Ilaria.

La vostra carriera musicale vi ha portato a esibirvi in tutto il mondo, fino ad arrivare in Canada. Quali emozioni si provano nel sapere che la vostra musica è riuscita ad arrivare oltreoceano?

I: Tutto è nato dal desiderio di scrivere delle canzoni utilizzando linguaggi diversi, quelli che sentiamo più nostri; è stato naturale e semplice creare dei suoni nuovi per le canzoni pubblicate nel nostro disco; un progetto che è stato apprezzato anche a livello internazionale. Chiaramente per noi è emozionante vedere che un pubblico straniero senta e ammiri la musica italiana. Gli stranieri sono attenti all’aspetto melodico della parola, oltre che al suo significato.

F: Scrivere testi in lingue diverse è stato sorprendente, anche perché è stato un utile per relazionarci con altri paesi; il legame vero lo abbiamo avuto scrivendo in italiano. Misurarci con il pubblico è stato per noi formativo. Essere uno straniero all’estero ci ha consentito di vedere il nostro Paese con uno sguardo diverso.

Da 29 anni Musicultura si pone, tra i suoi obiettivi, quello di promuovere nuovi artisti della canzone d’autore; quali sono gli aspetti che vi incuriosiscono maggiormente quando ascoltate giovani proposte artistiche?

I: A prescindere dal genere, quando ascolto dei nuovi artisti cerco la folgorazione e l’identità, che sono sempre più difficili da preservare. Mi emoziona trovare un aspetto della musica che sia innovativo e diverso, rispetto ad altri già sperimentati.

INTERVISTA. Mark Harris, al pianoforte e con i dischi dei grandi artisti a La Controra di Musicultura 2018

Lunedì 11 giugno, in occasione de La Controra, Mark Harris ha intrattenuto il pubblico di Musicultura rivelando le sue testimonianze sulla canzone d’autore italiana.

Durante l’incontro, l’artista americano ha svelato tanti aneddoti sui protagonisti di alcuni degli album omonimi più di successo, gli stessi che hanno rappresentato un punto di svolta e di rinascita per artisti come Finardi, Jannacci, Gaber, De Andrè, solo per citarne alcuni. Harris vanta una brillante carriera: un percorso musicale, il suo, iniziato in America e che negli anni è proseguito in Italia, dove attualmente il musicista vive. È produttore, cantante, arrangiatore e ha lavorato con i più grandi nomi della musica italiana e internazionale; ha rilasciato, alla redazione di Sciuscià, questa intervista.

Ha vissuto tra America e Italia abbracciando la musica nei suoi vari generi; ha collaborato con grandi artisti internazionali, ma anche italiani, tra cui De Andrè, Bennato, Gaber, Jannacci, Daniele e molti altri. Qual è stato il suo primo incontro artistico in Italia?

La prima volta che ho lavorato in Italia è stato con Alan Sorrenti, in sala d’incisione; ci siamo conosciuti grazie ad un amico musicista che era stato chiamato per un progetto a cui poi ho lavorato io. Successivamente ho collaborato con Tony Esposito, nel suo primo disco. Da lì a poco c’è stata la mia esperienza con i Napoli Centrale. Devo dire però che il primo cantante che ho incontrato in Italia è stato Little Tony, nel 1967: da bambino vivevo in una casa sopra ad una trattoria e nei dintorni lui stava girando un film. Gli ho chiesto un autografo, dopo aver saputo chi fosse.

Il percorso di Musicultura, sin dagli esordi, si è intrecciato con quello di Fabrizio De Andrè, primo firmatario del comitato artistico di Garanzia. Avendo lavorato con Faber, vuole raccontarci un momento vissuto insieme? Com’è nata la vostra collaborazione?

Ho conosciuto Fabrizio in occasione della registrazione del retro del 45 giri “Una storia sbagliata” su Pasolini. Sul retro dell’album c’era un pezzo dal titolo Titti. Ci siamo trovati sin da subito. Sono tante le storie da raccontare, sicuramente troppo lunghe.

La musica sta attraversando un periodo in cui è sempre più frequente l’uso dei sintetizzatori e si ricorre ai suoni elettronici. Cosa pensa a tal proposito?

Sono stato uno dei primi a utilizzare i sintetizzatori, lavorando con i computer musical negli anni Ottanta. Già durante gli anni del liceo li usavo per la musica elettronica d’avanguardia. Musica Elettronica Viva era il gruppo formato da Alvin Curran e da diversi compositori americani e faceva cacofonia elettronica; io nel frattempo mi divertivo in mezzo a loro. All’epoca frequentavo anche il sassofonista Maurizio Gianmarco e altri musicisti della scena romana. Mi piace lavorare con i sintetizzatori, però da un po’ di anni preferisco suonare il pianoforte. Non sopporto l’uso improprio di batterie elettroniche e correttori di voce, perché credo che la musica va suonata in diretta.

Riguardo l’attuale scena musicale, c’è un artista emergente che reputa particolarmente interessante? Quali sono i musicisti che sta ascoltando in questo periodo e perché?

Tendo ad ascoltare le cose che mi sono sempre piaciute. Ogni tanto sento qualcosa che m’interessa. Mi piace scoprire su YouTube i brani di giovani artisti, considerando che ci sono tante proposte musicali interessanti. La discografia non sta attraversando un momento felice, soprattutto per ciò che interessa il guadagno. Questo è un discorso che riguarda sia i vecchi, che i nuovi musicisti. C’è anche una parte consistente della cosiddetta “musica finta”, che possiamo definire non nutriente; in ogni caso stiamo vivendo un progresso un progresso in ambito artistico e le cose vanno avanti.

Sono tanti gli artisti che ogni anno si esibiscono sul palco di Musicultura e tutti loro, pur avendo alle spalle carriere differenti, hanno in comune la passione per la musica. Che ruolo ha al giorno d’oggi il mestiere del cantautore?

Il ruolo della canzone d’autore è cambiato molto; credo che la musica di protesta di un certo tipo non sia intrattenimento puro e semplice, anche se potrebbe avere questa funzione. Ci sono alcuni artisti, come Caparezza, che scrivono testi pungenti e belli. Le canzoni, dal punto di vista testuale, non sono cambiate poi così tanto. Anche i rapper trattano temi di protesta e argomenti che però sono meno rilevanti.

INTERVISTA. Giampiero Mughini, ospite a La Controra di Musicultura 2018: “Bisogna migliorarsi”

Giornalista, opinionista e scrittore: Giampiero Mughini è un personaggio eccentrico ed eclettico che riesce a coniugare diversi interessi, come la politica, l’arte e il calcio.

Alla fine degli anni ‘60 Mughini parte dalla sua Sicilia e approda a Parigi dove vive un suo personale ‘68, trama del libro “Era di maggio. Cronache di uno psicodramma”, presentato ieri alla Biblioteca comunale Mozzi Borgetti di Macerata.

La redazione di Sciuscià l’ha incontrato per un un’intervista.

Si è autodefinito un “provocatore”. Pensa sia un aspetto intrinseco dell’opinionista? Cosa significa per lei provocare?

No, mi definiscono tale ma io non credo di esserlo; dico cose assolutamente ovvie, che non corrispondono alle idee della maggioranza delle persone, soprattutto la maggioranza dei cretini. Provocare significa scompigliare un po’ le carte in tavola: a chi è abituato a pensare in una certa maniera, io gli mostro il mio modo di vedere le cose, così lui si sforza di capire. Bisogna migliorarsi perché le idee, nel corso della vita, cambiano; poi c’è gente che impara una cosa a vent’anni e ci crede per sempre.

A proposito del suo libro “Un disastro chiamato Seconda Repubblica”, pochi giorni fa abbiamo assistito alla nascita di un governo formato da due forza politiche opposte, che non erano mai arrivate al Colle prima d’ora. Nel dibattito tra chi afferma che sia iniziata una “Terza Repubblica” e chi si vede ancora della Seconda, lei in quale pensiero si riconosce?

In effetti le cose sono cambiate molto dalla Seconda Repubblica, innanzitutto per il fatto che c’è un elemento politico nuovo rappresentato dal Movimento Cinque Stelle; io non ho votato questo partito e non l’avrei mai fatto. In ogni caso penso che si possa parlare di una Terza Repubblica; staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro. Gli italiani ora devono essere attenti su ciò che accade nel nostro Paese, che sta attraversando una situazione difficile.

A La Controra ha presentato “Era di maggio. Cronache di uno psicodramma.” A cinquant’anni dal ’68, cosa non abbiamo saputo preservare dello spirito di quelle lotte e rivoluzioni sociali e politiche? In momento storico in cui la libertà di espressione viene sottoposta sempre più alla censura, come sta accadendo in Turchia, in che modo si potrebbe reagire?

Non è esatto metterla così, perché la situazione è troppo cambiata; il Sessantotto è entrato nelle ossa di tutti quelli che ebbero vent’anni in quel momento storico. Noi comunque viviamo in un paradiso, perchè in Russia, in Turchia, in Venezuela, in Iran e in mille altri posti la libertà di espressione è un lusso. In Cina c’è gente condannata ad anni e anni di prigione per aver espresso la propria opinione, per aver scritto un articolo o aver distibuito un volantino. Ognuno di noi è impotente. È importante preservare le libertà che abbiamo in Italia. Naturalmente, cosa molto diversa dalla libertà di espressione, è quellla di insulto, di cui ne sono una testimonianza i contenuti pubblicati sui social network, verso i quali io ho moltissime riserve. Capisco però che le nuove generazioni non riescano a fare a meno delle nuove tecnologie.

A Musicultura i cantautori raccontano, attraverso l’arte della musica e della parola, la società in cui vivono. In che modo un artista si può definire rivoluzionario?

Un artista è sempre rivoluzionario quando fa qualcosa che non è mai stata fatta prima; una canzone, uno spettacolo teatrale o un film costringe il pubblico ad accettare il cambiamento e ad adattarsi. Ognuno apporta un elemento nuovo nel mondo artistico: la rivoluzione deve intendersi in questo senso, come un trasformazione inedita. Un regime non si mostra mai come un’innovazione.

INTERVISTA. A La Controra di Musicultura 2018 Mimmo Locasciulli: una vita tra arte e scienza

Mimmo Locasciulli è medico e cantautore. Era solo un bambino quando si avvicinò alla musica, una passione ereditata dalla sua famiglia. Qualche anno più tardi invece inizia a studiare medicina.

Sono proprio questi due interessi a essere al centro del suo ultimo libro autobiografico, intitolato “Come una macchina volante” e presentato a La Controra di Musicultura assieme al poeta Ennio Cavalli. Tra curiosità personali e riflessioni sulla sua carriera musicali, in questa intervista ripercorriamo il percorso artistico del cantautore abruzzese.

“Come una macchina volante” è una riflessione sui momenti più significativi della prima parte della sua vita. Come mai ha deciso di realizzare un progetto del genere?

Premetto subito che non avevo intenzione di scrivere un’autobiografia; volevo raccontare quali sono stati i passaggi determinanti che mi hanno portato a desiderare di perseguire la carriera scientifica e di fare il musicista, fin da bambino, da quando in casa arrivò un pianoforte. La mia famiglia, di generazione in generazione, ha coltivato questi interessi; così sono cresciuto con la passione per la musica e per la scienza.

La musica e la medicina sono quindi le sue più grandi passioni: qual è la canzone che ha su di lei un effetto “curativo”?

La musica mi aiuta moltissimo. Io spesso canto per me, più che per il pubblico. Ad esempio, durante i concerti ho una scaletta di 25 pezzi, di cui 15 sono previsti, già stabiliti, mentre i restanti vengono improvvisati al momento. I miei musicisti questo già lo sanno: quando comincio con delle note, loro vanno avanti e mi seguono. I miei brani e quelli degli altri hanno dunque su di me un effetto curativo.

Probabilmente la sua cifra artistica è la sperimentazione. Tra tutti i generi musicali a cui si è avvicinato, qual è quello che sente più vicino?

Tutti quanti. Ho studiato la musica classica, che amo tuttora; ho avuto sconfinamenti nel blues e nel rock. Mi piace anche il folk, la canzone d’autore. Poi ho lavorato ad alcuni progetti anche con Frankie hi-nrg mc, che è un rapper incredibile. Sono attratto da ogni forma musicale. Per me i generi musicali possono essere belli o brutti: i primi sono quelli che ti lasciano qualcosa dentro, che ti fanno ricordare, amare, detestare, che suscitano quindi delle sensazioni. Non amo invece la musica di sottofondo, ad esempio quella che mettono negli ascensori, nei supermercati, perché è detestabile.

Stiamo assistendo ad una fase della discografia in cui la promozione della musica avviene tramite piattaforme social e talent. Musicultura vuole da sempre rafforzare la relazione diretta tra l’ascoltatore e il cantautore. Qual è il ruolo dello spettacolo live? E il pubblico come vive il rapporto con l’artista?

Ho sempre pubblicato dischi per avere poi la possibilità di fare dei concerti. Il bello del lavorare ad un album non avviene in sala di registrazione, che è un momento pieno di attese e di cose noiose; è proprio incontrando il pubblico che arriva la liberazione. L’importante è essere consapevoli del valore dell’esibizione dal vivo di fronte ad una platea che è lì per te. Le persone ti ascoltano e al tempo stesso ti danno la giusta carica: è questo un aspetto bello del mio mestiere, ovvero il confronto con la gente e le risposte che questa riesce a darti.

Ha una lunga carriera alle spalle, nel 2016 ha celebrato i 40 anni di carriera con il disco “Piccoli cambiamenti”. Ci spiega il perché di questo titolo?

Nel corso della mia vita sono stato testimone di tante trasformazioni in ambito musicale, politico e sociale. Dai Beatles in poi la scena artistica ha cambiato fisionomia. Il rock e il punk hanno definito una visione del mondo che era più simile alla realtà; prima invece le canzoni erano edulcorate. La musica ha aiutato, sempre di più in tutti questi anni, a capire come andavano le cose; ha dunque rappresentato, nella sua storia, importanti cambiamenti storico-politici. Oggi purtroppo un brano viene concepito per la sua fruizione e per il proprio consumo. La mia storia musicale invece non è fatta di grandi ma di piccole evoluzioni, che non hanno mai stravolto la mia riconoscibilità artistica. È per questo motivo che ho deciso di dedicare questo disco ai piccoli cambiamenti che ho vissuto. È stato un po’ come festeggiare un compleanno insieme ai miei amici, dal momento che con me hanno collaborato colleghi che da una vita mi sono vicini, come Luciano Ligabue, Francesco De Gregori, Enrico Ruggeri e altri.

Musicultura in onda su Rai3 e Radio1

Si alza il sipario sulla XXIX Edizione di Musicultura Festival che Rai3 e Radio1 proporranno in video e audio. Le attese serate finali, condotte da Gianmaurizio Foderaro, Metis Di Meo e John Vignola, si svolgeranno il 14, 15 e 17 giugno nel suggestivo scenario dell’Arena Sferisterio di Macerata, teatro dall’acustica straordinaria.
Fiore all’occhiello della cultura e dello spettacolo italiano, col suo concorso dedicato alle espressioni artistiche della canzone popolare e d’autore Musicultura ha intercettato dal 1990 ad oggi le aspirazioni creative di quasi 25.000 giovani autori interpreti, contribuendo alla trasformazione e al ricambio generazionale della canzone italiana con la scoperta e la valorizzazione di tanti talenti meritevoli, come ad esempio è stato con Gianmaria Testa, Simone Cristicchi, Povia, Pacifico, Amalia Grè, Avion Travel, Giua, Mannarino, Momo, Max  Manfredi, Oliviero Malaspina, Lucilla Galeazzi, Grazia Verasani, Renzo Rubino,  Patrizia Laquidara, Maldestro, Chiara Dello Iacovo, Mirkoeilcane.
Gli artisti in concorso a Musicultura 2018 sono partiti in 811, un numero d’iscrizioni da record, 60 sono stati selezionati e convocati per sostenere un’attenta audizione dal vivo, tutti gli esclusi hanno ricevuto un’articolata risposta scritta. Al termine della lunga sessione di audizioni live è stata proclamata la rosa dei 16 artisti finalisti le cui canzoni, grazie alla collaborazione di Rai Radio1, sono state programmate e proposte alla grande platea radiofonica. Sarà Rai3 a trasmettere – per la prima volta – Musicultura e lo farà in seconda serata il 19 agosto.

Ecco i nomi degli otto vincitori di Musicultura 2018, con i titoli delle rispettive canzoni:
Marco Greco (Roma) Abbiamo vinto noi, Nemo (Rovigo) Ancora, Daniela Pes (Tempio Pausania – OT) Ca milla dia dì, Pollio (Settimo Milanese – MI) Generico, Francesco Rainero (Firenze) Generazione, Rakele (Campagnano di Roma – RM) La forma del tuo abbraccio, Davide Zilli (Parma) Coinquilini, ZoniDuo (Valsamoggia – BO) Sam 4 President.

Gli otto artisti vincitori propongono stili diversissimi tra loro, ma c’è un tratto comune nelle loro canzoni: nessuna di esse nasce a tavolino, tutte vanno incontro sinceramente alla sensibilità di chi le ascolta.
Rai Radio 1 trasmetterà in diretta dal Festival Musicultura a Macerata con John Vignola in “Fuori gioco” e sabato 23 giugno “Speciale Musicultura”, dalle 21 alle 23, con il meglio delle  serate finali con interviste e contributi  dei grandi ospiti .
Le tre serate di spettacolo del 14, 15 e 17 giugno potranno essere seguite via streaming sulla pagina Facebook di Musicultura, e la finalissima del 17 giugno anche in Simulcast sulla pagina Facebook di Rai3.
Aprirà il Festival, giovedì 14 giugno la leggendaria band dei Procol Harum. Gary Brooker – fondatore, compositore, pianista e voce archetipica della band – sarà accompagnato dai talentuosi musicisti che lo accompagnano in giro per il mondo da oltre quindici anni: George Whitehorn (lead guitar), Matt Pegg (bass guitar), Josh Phillips (Hammond organ), Geoff Dunn (pecussion). Attesissima nella serata finale di domenica 17 giugno Malika Ayane , che firmerà un inedito, suggestivo ritratto della poetica di Jacques Brell, a cinquanta anni dalla scomparsa del grande chansonnier belga. Tra gli altri ospiti del Festival anche Lo
Stato Sociale, Willie Peyote, Brunori Sas, Sergio Cammariere, Mirkoeilcane, Ron Padgett, L’Ensemble La Compagnia con Cinzia Leone. Tutti, nello spirito e nella tradizione del festival, porteranno sul palco testimonianze e collaborazioni artistiche che si discostano, per approccio e prospettiva, dalla routine dei circuiti promozionali. Protagonisti delle tre serate di spettacolo saranno anche gli otto vincitori di Musicultura, che si esibiranno ripetutamente dal vivo. Al termine di un percorso di selezione qualitativa durato per mesi, saranno infine i 7,500 spettatori della tre-giorni all’Arena Sferisterio a poter votare e proclamare domenica 17 giugno il vincitore assoluto di Musicultura 2018.
La Controra, la sezione del festival che in tutta la settimana fino al 17 giugno proporrà un ricco cartellone di appuntamenti – ad ingresso libero – disseminati tra piazze, cortile e palazzi del centro storico di Macerata, in bilico tra cultura, arte e spettacolo. Fra i tanti ospiti in programma Ron Padgett, Adriana Asti, Gianni Amelio, Mimmo Locasciulli, Mark Harris, Dori Ghezzi, Giordano Meacci, Francesca Serafini Alberto Radius, Cristina Donadio, Giampiero Mughini, Cinzia Leone, Francesca Romana, Enzo Gentile.
Partner sociale di Musicultura 2018 è SOS Villaggi dei Bambini, organizzazione impegnata nel sostegno di bambini privi di cure familiari o a rischio di perderle, che opera in 135 Paesi, accoglie in più di 500 Villaggi oltre 84 mila bambini, e aiuta più di 1 milione di persone. Musicultura donerà a SOS Villaggi dei Bambini una canzone i cui proventi andranno a favore dell’organizzazione.

INTERVISTA. Adriana Asti a La Controra di Musicultura 2018: il suo futuro di infinita allegria

Una carriera costellata di collaborazioni con grandi registi del ‘900, un percorso professionale ricco di incontri con le personalità più carismatiche e geniali del mondo dello spettacolo, una vita che però non le ha risparmiato malattia e sofferenza: questa è la storia di Adriana Asti.

Ha inaugurato il primo giorno di Musicultura, presentando a La Controra la sua autobiografia “Un futuro infinito”, dialogando con il poeta Ennio Cavalli. Il titolo del libro, un paradosso, rende bene la natura enigmatica dell’attrice; è al tempo stesso un modo per dichiarare, fin da subito, la predisposizione all’allegria e all’ottimismo di una donna che non ha rimpianti, che guarda soltanto in una direzione: verso il futuro. Ed è proprio dal suo romanzo che comincia la nostra conversazione.

Dalla sua autobiografia emerge chiaramente che per diversi anni, all’inizio della sua carriera, si è lasciata trasportare dal mondo del teatro in quanto spazio sospeso; era incosciente di ciò che le capitava e felice soltanto per l’occasione di andarsene finalmente da casa. Come è arrivato invece il momento della consapevolezza?

Ho iniziato a sentire maggior consapevolezza della mia professione stando in scena, dopo aver recitato e aver frequentato per molto tempo il mondo del teatro. Mi sono accorta semplicemente che la gente prestava attenzione a quello che dicevo e questo mi ha fatto piacere, dato che per me era insolito che mi si ascoltasse, non me lo aspettavo. Da qui ho cominciato a recitare.

Una delle parole che risuona di più nella sua autobiografia è sicuramente “solitudine”. Una certezza esistenziale costante e anche una ricerca, altrettanto costante, che l’ha spinta verso il teatro, dove, come dice nel libro, regna una “solitudine impeccabile”. Che tipo di solitudine ha trovato in scena?

In realtà la solitudine è un grande piacere, un privilegio del quale non posso fare a meno, ma non mi ha spinta verso il teatro. Devo dire, però, che nel mondo della recitazione non si ha la comune vita sociale, quella che avrei potuto avere a casa, a Milano. Vivi in maniera diversa anche l’essere sola, che diventa così un dono.

Si definisce, sempre e con fermezza, una donna allegra. Lo fa nonostante le ombre e le paure che in alcuni momenti della sua vita la hanno bloccata e avvicinata all’analisi col dottor Musatti, suo psicoanalista e amico per molti anni. Che cosa, nel quotidiano, le dà forza? Qual è la fonte inesauribile di questa allegria?

Io sono naturalmente allegra e questa caratteristica non è una dote che esercito. Sono ottimista, positiva; vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Mi rende felice osservare le tante cose che mi circondano e che mi incoraggiano.

Ha lavorato con registi e attori straordinari, tra i quali Visconti, Bertolucci, Pasolini, Strehler, Ronconi e Totò. Quali sono i lavori e le collaborazioni che ancora oggi ricorda con un’emozione particolare?

Tutti i lavori che ho fatto sono per me importanti e sicuramente quelli realizzati con Visconti e Strehler occupano un posto speciale. Gli spettacoli messi in scena con dei grandi registi sono stati i più significativi. È bello poter condividere il proprio mestiere con un importante professionista del settore; ogni collaborazione ti arricchisce molto e ti spinge ad andare avanti.

Musicultura promuove cantautori emergenti. A chi si affaccia per la prima volta nel mondo della musica, e quindi anche dello spettacolo, quale consiglio si sente di dare?

Bisogna sentire veramente il desiderio di intraprendere questo lavoro, oppure fare come me, che ho iniziato la mia carriera per fuggire da un qualcosa, cercando di trovare in maniera attiva, a tutti i costi, una via da seguire.