La XXX edizione di Musicultura in onda su Rai3 e RaiPlay

conducono

ENRICO RUGGERI e NATASHA STEFANENKO 

tra gli ospiti

PFM, DANIELE SILVESTRI, ANGÉLIQUE KIDJO, MORGAN, SANANDA MAITREYA & THE SUGAR PLUM PHARAOHS,THE BEATBOX & ROMA PHILARMONIC ORCHESTRA, RANCORE

 e con i giovani artisti super finalisti del concorso

FRANCESCO LETTIERI, LAVINIA MANCUSI, GERARDO POZZI, FRANCESCO SBRACCIA

 Approdano il 27 luglio su Rai 3 in seconda serata i protagonisti e le emozioni della XXX edizione di Musicultura, il festival che ha a cuore la dimensione artistica della canzone popolare. Dirige le danze un conduttore sui generis, un cantautore doc, con il suo carico di competenza ed ironia: Enrico Ruggeri. Al suo fianco la vitalità di Natasha Stefanenko. Nella cornice dell’Arena Sferisterio di Macerata tanti gli ospiti in programma, tutti portatori di testimonianza artistiche vissute, non confezionate: PFM, Daniele Silvestri, Angélique Kidjo, Morgan, Sananda Maitreya & The Sugar Plum Pharaohs, Rancore, The BeatBox e la Roma Philarmonic Orchestra. E poi le incursioni musicali dello stesso Ruggeri. In scena anche i quattro super finalisti del prestigioso concorso che dal 1990 registra l’evoluzione stilistica e favorisce il ricambio generazionale della canzone di qualità italiana: Francesco Lettieri, Lavinia Mancusi, Gerardo Pozzi e Francesco Sbraccia. Accedono alla finalissima al termine di una selezione partita da 738 proposte iniziali, che ha trovato in Rai Radio 1 una sponda radiofonica e che ha coinvolto l’illustre Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, primi firmatari del quale furono Fabrizio De André e Giorgio Caproni. Il voto del pubblico decide l’assegnazione dei 20.000 euro del primo premio assoluto.

Musicultura 2019 è stato selezionato inoltre da Rai Italia per la programmazione internazionale sul Canale 1 (Americhe, 27 luglio), sul Canale 2 (Australia  Asia, 28 luglio) e sul Canale 3 (Africa, 27 luglio).

Al via Lunaria 2019

Lunaria 2019 dà appuntamento al suo meraviglioso pubblico con un’edizione speciale, in programma a Recanati, nello scenario di Piazza Leopardi, il 31 luglio e l’8 agosto prossimi. In scena La Compagnia di Musicultura (31 luglio), con lo spettacolo “Viaggiar cantando – canzoni e canzonette” ed una vera star della musica internazionale Noa (8 agosto). Entrambi gli spettacoli saranno ad ingresso libero.

Ideata dall’Associazione Musicultura, sostenuta dal Comune di Recanati e con la collaborazione di Amat, Lunaria caratterizza da oltre venti anni le estati della cittadina leopardiana. La rassegna si è conquistata nel tempo la fiducia del pubblico con scelte artistiche che la distinguono dai consueti circuiti dei concerti estivi. Dopo dieci anni di serate memorabili condivise con l’amministrazione Fiordomo, l’oggettiva ristrettezza dei tempi di programmazione imposta dalle recenti elezioni poteva effettivamente mettere a rischio l’edizione 2019, che invece ci sarà.

“Il nuovo Sindaco Antonio Bravi e l’assessore alle Culture Rita Soccio ci hanno convocato a ridosso del loro recente insediamento per comunicarci la volontà di assicurare nei prossimi anni ulteriore slancio alla formula della rassegna; in merito abbiamo idee precise ed originali, nei prossimi mesi le fisseremo in un progetto culturale e spettacolare definitivo, tagliato su misura su una città come Recanati, che è giusto sia in ogni mossa all’altezza della sua peculiare identità” racconta il vicepresidente di Musicultura Ezio Nannipieri. “Contestualmente – aggiunge il direttore artistico Piero Cesanelli – ci è stato chiesto di fare il possibile, nonostante i ridottissimi tempi organizzativi, per non privare l’imminente estate 2019 delle notti magiche di Lunaria. Pensiamo di esserci riusciti e che il pubblico di Lunaria non rimarrà deluso, il cartellone condensa in due appuntamenti speciali il DNA della rassegna”.

La Compagnia


La Compagnia e la straripante energia che l’amato ed acclamato Ensemble tutto made in Marche profonde nei live accenderanno Piazza Leopardi mercoledì 31 luglio, a distanza di quattro anni dall’ultima partecipazione del gruppo alla rassegna.  In scena uno spettacolo mai rappresentato prima a Recanati: “Viaggiar cantando, canzoni e canzonette”, ideato e diretto da Piero Cesanelli e scritto insieme a Carlo Latini. Lo show racconta – in bilico tra racconto, suggestioni video ed emozionanti canzoni, come ad esempio “Torpedo blu”, “Nuvolari”, “Topolino amaranto” – i mille modi in cui l’evoluzione dei mezzi di trasporto ha scolpito negli ultimi cento anni l’immaginario della società in cui viviamo. Sul palco Adriano Taborro (chitarre violino mandolino), Paolo Galassi (basso e mandolino) Andrea Casta (voce, chitarra, armonica), Riccardo Andrenacci (batteria), Chopas (voce e chitarra), Marumba, (tastiere) Alessandra Tamburrini (piano), Roberto Picchio (fisa), Bobby Bottegoni (sax), Tony Felicioli (sax), Alessandra Rogante, Elisa Ridolfi, Valentina Guardabassi, Francesco Caprari (voci), Giulia Poeta e Maurizio Marchegiani (narratori), Andrea Pompei (contributi video).

Noa


Lunaria 2019 conferma anche la vocazione della città di Recanati ad essere sempre più punto di approdo di grandi artisti internazionali. Dopo le leggende di Solomon Burke, Joan Baez, Graham Nash questa volta è NOA a rispondere sì all’invito di Musicultura e ad eleggere giovedì 8 agosto Lunaria e Piazza Leopardi a location di una delle sue poche apparizioni italiane dell’estate. Siamo al cospetto di una delle voci internazionali più emozionanti, un’artista unica capace di cambiare ed evolversi in ogni progetto, mantenendo sempre il suo tratto distintivo elegante e raffinato. Cresciuta artisticamente sotto la guida di maestri come Pat Metheny e Quincy Jones, Noa ha collaborato con artisti del calibro di Stewie Wonder e Sting. Cresciuta tra Yemen, Israele e Stati Uniti, Achinoam Nini in arte Noa, è cantautrice, poeta, compositrice, percussionista, madre di tre bambini e convinta ed importante sostenitrice, nel suo Paese e nel mondo, delle ragioni del dialogo e della pace. Insieme al suo storico collaboratore musicale Gil Dor, ha pubblicato 15 album – l’ultimo dei quali “Letters To Bach” prodotto dal leggendario Quincy Jones – e si è esibita nei luoghi più importanti e prestigiosi del mondo come la Carnegie Hall e la Casa Bianca e ha cantato per tre Papi. La sua è una musica che va oltre i confini di genere musicale e di lingua, che parla ai cuori delle persone creando punti di contatto ed evocando emozioni forti, non passeggere. Ad accompagnare Noa (voce e percussioni) saranno Gil Dor (chitarre e direzione musicale), Or Lubianiker (basso elettrico) e Gadi Seri (percussioni).

INTERVISTA. Ernesto Assante ospite de La Controra: “Musicultura, il festival che continua a resistere”

Era il 1979 quando Ernesto Assante iniziò a scrivere di musica per La Repubblica; da quell’anno tante sono state le vicende, le esperienze, gli incontri che hanno consacrato il giornalista come critico musicale tra i più importanti e influenti del nostro Paese, riconosciuto per stima, dedizione verso il proprio mestiere e per il suo grande bagaglio culturale.

Nella sua carriera, oltre alla carta stampata, anche radio, televisione e da poco tempo la cattedra universitaria, che gli consente di regalare i suoi aneddoti ad un pubblico nuovo, forse lontano da alcuni modi di concepire, ascoltare, fruire della musica di una volta, come quella degli anni ’60, dell’epoca hippie, della voglia di rivoluzionare il mondo attraverso l’arte, che Assante ha raccontato in Woodstock ’69. Rock revolution, libro che ha presentato in occasione de La Controra di Musicultura e in questa intervista, realizzata dalla redazione di Sciuscià.

Giornalista per la carta stampata, per la radio, per la televisione e ora anche docente universitario. Ci parla di questa sua esperienza e di quanto abbia influito l’approccio diretto con i ragazzi, nell’esplorazione di nuovi orizzonti musicali?

Sono stato docente universitario per circa 5 anni; ora insegno al master di critica dello spettacolo all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “S. d’Amico”. È magnifico essere a contatto con gli studenti, dà soddisfazione. Trovo che, superata una certa età e avendo fatto una lunga serie di esperienze, condividerle con dei ragazzi sia la cosa migliore; in più durante le lezioni ho modo di rivivere di nuovo certe sensazioni. Se mi avessero pagato abbastanza, probabilmente lavorerei solo come professore.

In un recente articolo di Repubblica.it racconta come nasce la sua passione per il giornalismo musicale: dalla lettura spassionata di quello che l’epoca musicale forniva, al ritaglio dei settimanali, poster appesi in camera, recensione di concerti mai visti. Che consiglio si sente di dare a tutti coloro che vogliono intraprendere la sua professione?

Bisogna avere l’atteggiamento degli artisti e non dei giornalisti. Questo è un mestiere che non porta necessariamente guadagno, ma incredibile soddisfazione! Credo che ovviamente sia il lavoro più bello del mondo, che però va alimentato con grande dedizione. Nella vita ho non ho mai fatto nient’altro che questo. Un consiglio? Fare ciò che si ama, accettando qualsiasi conseguenza del caso.

Woodstock ’69. Rock revolution ripercorre lo sconvolgimento musicale e culturale che questa manifestazione mondiale ci ha lasciato. Secondo lei, in Italia, quanto c’è ancora di quell’ ideale di Woodstock?

Niente, nella maniera più totale. Ma anche tanto se si pensa a tutti quelli che immaginano ancora, anche se in minoranza, che il mondo possa essere cambiato in meglio. Speranza coltivata nel seme gettato dai quei tre giorni di Festival.

Partito su Repubblica.it in forma di scommessa folle, ora il format Webnotte è un appuntamento fisso con il popolo della rete, alla scoperta di storie musicali, dei personaggi della nuova musica e di quella di un tempo.  Come nasce il progetto?

Nasce da semplici gesti: prendo in mano il mio smartphone, lo accendo quando mi pare e metto online ciò che ritengo interessante senza imporre alla gente di assistere a qualcosa di bello, ma ordinando all’artista di suonare in una condizione semplice, come se fosse a casa mia. Webnotte ha i presupposti simili a quelli di Musicultura, ossia dare ai giovani l’opportunità di esibirsi al pubblico di Repubblica.it. Il progetto nasce perché ero insoddisfatto dalla musica italiana degli ultimi vent’anni, noiosa, che ora sto rivalutando grazie ad artisti che non necessariamente mi piacciono, ma che stimo per la passione verso ciò che fanno, per il loro impegno. Tutto questo va valorizzato e sostenuto.

Nel 2014 è stato a Musicultura come giornalista, per raccontare il Festival e coglierne i retroscena. Com’è stato ritornare?

Sono entrato in contatto con Musicultura in una delle sue prime edizioni, a Recanati. Ora torno da ospite, da intervistato e non da intervistatore: tutto ciò mi diverte, perché sono chiaramente un egocentrico, considerando il lavoro che svolgo. Mi gratifica che la mia firma sia riconosciuta e faccio finta di essere modesto, ma dentro di me sono presuntuosissimo. Tornando al festival, credo sia molto bello che da trent’anni un pubblico attento, la città, le persone che ci lavorano e che mostrano passione siano fedeli alla rassegna, con passione. Musicultura continua a resistere, nonostante le condizioni che questo Paese vuole imporci.

INTERVISTA. Carlo Massarini a La Controra 2019: “Vi racconto il rock dagli absolute beginners ad oggi”

Il sabato de La Controra ripercorre La fine del sogno, quello dei Beatles, con un grande giornalista, conduttore televisivo e radiofonico: Carlo Massarini. Un artista completo che ricordiamo soprattutto, ma non solo, per Mister Fantasy – Musica da vedere Non Necessariamente, trasmissioni televisive dedicate al rock e in particolare al concetto di videoclip.

Massarini ha rivoluzionato il modo di concepire la musica attraverso le immagini, dedicando la sua carriera allo studio di nuove tecniche cinematografiche e alla grafica computerizzata, che hanno segnato la storia dei video musicali. Nel 2009, a 25 anni di distanza dall’ultima puntata di Mister Fantasy, pubblica Dear Mister Fantasy, fotolibro sugli anni ’70 e ’80, periodi storici che ha raccontato come fotografo e giornalista musicale: un” diario di bordo” per rivivere il rock dell’epoca attraverso parole e immagini, le stesse che il giornalista ha presentato alla redazione di Sciuscià, in questa intervista.

La sua trasmissione Mister Fantasy è stata la prima trasmissione italiana a riprodurre videoclip musicali: cosa ha cambiato il linguaggio del video nel rapporto tra ascoltatori e musica?

Il linguaggio del video ha cambiato il rapporto che l’ascoltatore aveva con la musica e con i musicisti. Si tratta di una rivoluzione: Mister Fantasy nasce come strumento promozionale per poter mandare in diretta televisiva gli artisti senza la loro necessaria presenza fisica. Questo cambiamento venne inizialmente adottato dai Beatles, dai Rolling Stones, dai Quee che volevano mostrare  una loro ulteriore dimensione, quella di protagonisti di mini documentari. La realizzazione delle clip divenne così, gradualmente, un’abitudine che Mister Fantasy ha voluto evidenziare. Fu l’impronta di Paolo Giaccio ad approfittarne per farci un programma vero e proprio, per esplorare il mondo del video nelle sue innumerevoli e continue sfumature: video-arte, video-moda, video-architettura. Si creò un’idea onirica della realtà.

Il videoclip ha acquisito sempre più una maggiore importanza, diventando un elemento costitutivo del prodotto musicale, quasi quanto la musica stessa: l’avvento di Internet ha amplificato una tendenza già in atto o ne ha creata una nuova?

Internet è stato importante perché, al di là dell’avere una banca dati pazzesca, ha anche fornito ai musicisti la possibilità di esprimersi in modi diversi. Ci sono stati siti strumentali per la scoperta di nuove band e seguaci, che identificandosi con questi gruppi emergenti, hanno contribuito a costruire quello che oggi definiamo il “social”; ciò ha permesso una cambiamento nel rapporto tra musicisti e pubblico.

Oggi è a Musicultura per parlare dei Beatles: sono state le divergenze musicali a farli allontanarli o quell’invadente successo e tutto ciò che gravitava intorno a loro?

È un insieme di cose. In questa risposta, occorre indubbiamente menzionare Yoko Ono. Lei rappresenta quella forza decisionale mancata a John Lennon, arrivando a chiuderlo in una sorta di bolla autoreferenziale, fino ad allontanarlo dal gruppo. La sua presenza inizia a diventare sempre più fastidiosa: dall’intervento nelle incisioni fino a metterlo in difficoltà con gli altri membri della band. Lo scioglimento de “i quattro di Liverpool” è dovuto anche dal manager americano, Allen Klein, che iniziò a lavorare con la band, impressionando Lennon per la profonda conoscenza dei suoi lavori (recitò a memoria il testo di molti dei suoi brani). Proprio per la sua elevata preparazione, John convinse George Harrison e Ringo Starr che Klein era l’uomo giusto per loro. McCartney, però, dissentì e si rifiutò di firmare un accordo, mandando su tutte le furie i suoi tre compagni di gruppo. Questo fondamentale disaccordo portò allo scioglimento della band. Tutto ciò che è stato fatto dopo, non ha mai raggiunto la consistenza e la continuità di quanto fatto prima, artisticamente.

Secondo lei bisogna guardarsi nostalgicamente indietro, tra le grandi leggende del rock, per trovare gli innovatori o gli “absolute beginners” ci sono ancora oggi?

Per saper rispondere a questa domanda bisognerebbe avere il senso della prospettiva. Ovviamente gli innovatori pescano sempre dal passato. Tutti i grandi della musica hanno un punto di riferimento solido dal quale partire. Non nascondo, però, che anche adesso ci sono proposte interessanti, ma serve una certa distanza storica per giudicarle fino in fondo.

Da giornalista e conduttore radiofonico, quale domanda porrebbe agli 8 vincitori di Musicultura?

Istintivamente chiederei che visione hanno del loro percorso. Quanto hanno intenzione di mettersi in discussione? Quanto sono artisti e quant’è profonda la loro visione in questo momento? Mi piacerebbe sapere da loro dove vogliono arrivare: è importante darsi obbiettivi con una scadenza, avere una solidità interiore.

INTERVISTA. A La Controra di Musicultura, da De André a The André

The Andrè è un vero fenomeno del web, che prende ispirazione dall’amore per la musica di Faber. Proprio da questa premessa, nasce l’idea dell’artista di interpretare i brani degli autori oggi più in voga nel genere trap, imitando la voce di Fabrizio De Andrè.

Vanta oltre 4 milioni di visualizzazioni su Youtube  e si sta affermando sempre di più nella scena artistica, come un progetto innovativo, ironico, intelligente. Venerdì 22 Giugno The André è stato il protagonista di un talk show condotto da John Vignola a La Controra di Musicultura e, per l’occasione, ha intonato delle cover più significative del suo album Themagogia.

Ad incuriosire il pubblico della rete è stata la sua identità mascherata. Come mai ha deciso di tenerla nascosta?

Il mio progetto nasce su Youtube senza un volto, con la pubblicazione di video le cui immagini illustravano i cantanti trap, autori dei brani che eseguivo imitando la voce di De André. L’intento era quello di preservare il più possibile l’illusione e la suggestione. Quando poi hop iniziato ad esbirmi dal vivo, ho voluto mantenere il mistero sulla mia identità, per non disturbare l’ascoltarore, per salvaguardare l’illusione della vocalità e della sonorità tipica di Faber.

Quindi, come nasce l’idea di cantare con una voce che somiglia incredibilmente a quella di De AndréÈ stata una sua idea o è il frutto di una collaborazione?

Il progetto nasce da alcuni scambi di messaggi vocali su WhatsApp tra me e un mio amico, in cui cercavamo di interpretare alla maniera di De André delle canzoni di Dalla e Guccini. Siamo approdati a Fabri Fibra e poi alla trap, genere musicale che viene considerato come il nuovo cantautorato. È nato tutto per gioco.

Vuole dunque dimostrare quanto la trap abbia delle radici cantautoriali o si tratta di un’operazione satirica, la sua?

In principio il mio intento era satirico, proprio per mettere in relazione due mondi che, almeno per il mio punto di vista, avevano poco in comune. Nell’approfondire poi la coscienza di questo genere, ho conosciuto artisti che hanno un approccio piuttosto serio nei confronti della musica; oserei dire in maniera “più artistica” (ride).

È per la prima volta ospite di Musicultura, in veste di ideatore di una nuova corrente musicale contemporanea o come unicum?

Non ho la presunzione di aver inaugurato nessuna corrente e non so se, ora come ora, esista qualcosa di simile al mio progetto. Di sicuro ci sono molti artisti che rivisitano i generi della trap e dell’indie in modo ironico.

Secondo lei in che modo oggi un cantautore può essere rivoluzionario e rompere gli schemi?

Una cosa che manca moltissimo nella musica mainstream contemporanea è l’impegno politico e sociale. Ad esempio l’indie è molto introspettivo, caratteristica che non è della trap. Forse l’impegno sociale potrebbe far la differenza, per diventare un cantautore rivoluzionario.

INTERVISTA. Detto Mariano a La Controra di Musicultura, per raccontare “Una musica lunga una vita”

Compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, pianista, paroliere e produttore: Detto Mariano è un artista a tutto tondo. A lui, il compito di analizzare il legame che si crea quando la musica incontra la parola, durante l’evento “una Musica lunga una Vita”, che si è svolto mercoledì 19 Giugno a La Controra di Musicultura.

Ha fatto rivivere, con i suoi racconti, le pietre miliari della canzone d’autore, come L’immensità, Mi ritorni in mente, Acqua azzurra, acqua chiara. Marchigiano d’origine, Detto Mariano ha cavalcato la scena musicale fin da piccolo. Durante il servizio militare ha conosciuto Adriano Celentano e da quell’incontro, l’ascesa della sua carriera, consacrata da una miriade di arrangiamenti e di brani per cantanti famosi e colonne sonore di film ancora oggi trasmessi dalle maggiori emittenti nazionali.

L’incontro con Adriano Celentano ha segnato una svolta decisiva nella sua carriera: su quali aspetti musicali vi siete trovati subito in sintonia? Cosa ha fatto scattare la “scintilla”?

Io e Adriano Celentano ci siamo incontrati durante il servizio di leva e, in quell’occasione, siamo diventati amici. Ci siamo conosciuti in maniera rocambolesca o, come si dice oggi, “alla Celentano”. Morale della favola: la casualità ci fece incontrare perché lui guidava la jeep del capitano che doveva portarmi dall’ospedale militare al campo estivo. Tra noi è nata un’amicizia, che invece non è scattata con il gruppo che mi aveva affidato, I Ribelli, perché erano di estrazione rock, mentre io venivo dal Conservatorio. Loro avrebbero voluto farmi suonare il pianoforte anche con i piedi, come faceva all’epoca Jerry Lee Lewis; io, invece, consideravo questo gesto come un andare contro la religione: baciavo il pianoforte, non ci avrei mai messo i piedi sopra! È per questo motivo che mi hanno allontanato. Un altro episodio rocambolesco è il mio essere diventato l’“Arrangiatore ufficiale del CLAN”, nonostante fossi stato allontanato dal Gruppo. Celentano, per la casa discografica di sua proprietà, aveva già realizzato tutte le basi con un famosissimo arrangiatore ma, suo fratello Alessandro, aveva fatto in modo di farmi rifare una di esse: il brano intitolato “Sei rimasta sola”. Adriano, dopo aver ascoltato la nuova base, mi chiese di rifare col mio stile anche tutte le altre che aveva già pagato. Fu questo il meccanismo che, rocambolescamente, ha consacrato il mio ingresso nel Clan.

L’immensità, Mi ritorni in mente, Acqua azzurra, acqua chiara: ha costruito e arrangiato le musiche che calzano perfettamente con il senso profondo dei testi. Ci racconta il processo creativo di questi brani?

Sì, non era solo la musica a guidare le mie scelte emotive ma lo erano anche i testi. Tu citi Mi ritorni in mente, Acqua azzurra, acqua chiara delle quali oltre alla melodia non si possono non apprezzare i geniali testi di Mogol, come anche quello de  L’immensità (di cui tra l’altro sono anche co-compositore). E’ proprio questo che ho sottolineato, sia nella mia “Commedia Musicale Autobiografica” che nel talk show de La Controra, ovvero come si arriva da un semplice provino cantato (da Battisti in quel caso) con il solo accompagnamento della chitarra, alla versione completa di musica, testo e arrangiamento.

Arrangiatore, paroliere, pianista, produttore discografico ed editore musicale. Se dovessi definirti con una sola parola, quale sceglieresti?

Detto Mariano! Mi sembra una parola che comprende tutto. L’hai detto tu: sono un compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, pianista, paroliere, produttore ed editore musicale.

Hai composto colonne sonore per il cinema e per i cartoni animati. Come cambia l’approccio tra la realizzazione di questi prodotti culturali?

Sono stato fortunato anche nel comporre le musiche per i cartoni animati come ad es. GundamJudo Boy, i film Il Bisbetico Domato, Mia moglie è una strega, tra i tanti. Il mio sito è www.dettomariano.com, che mi piacerebbe andaste a visitare: molti conoscono i titoli di alcune pellicole, senza conoscerne l’autore. Quando in sala avevo 90 elementi d’orchestra per lavorare su un film, accettando le proposte di alcuni produttori che mi chiedevano di realizzare le musiche per i cartoni animati, mi ritagliavo gli ultimi 15 minuti per creare le sigle che poi sarebbero state ascoltate da quei bambini, oggi quarantenni che, proprio per quello, sentono la differenza tra i prodotti musicali di allora e quelli di oggi.

Se un artista di Musicultura gli chiedesse qual è il segreto della canzone popolare che resiste ai cambiamenti del mercato musicale, cosa risponderebbe?

Non lo so, forse per un fatto generazionale. Conosco poco della musica popolare attuale e, anche se lo cerco, non trovo qualcosa che mi colpisce in modo particolare. Non è colpa mia se ho avuto a che fare con gente come Battisti, Mina, Celentano, Albano, Mario Del Monaco. Però, per contro, la canzone vincitrice di Sanremo 2019 (il suo interprete compreso) mi piace moltissimo: ha un testo innovativo, intelligente, una musicalità arabeggiante, compresi i quarti di tono inseriti in modo elegante!

INTERVISTA. “D’Annunzio: una vera rock star!”: Giordano Bruno Guerri a La Controra di Musicultura 2019

Giovedì 20 Giugno l’autorevole e carismatico storico Giordano Bruno Guerri ha presentato il suo ultimo libro Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzionea La Controra di Musicultura, nel cortile di Palazzo Conventati. Accademico, Presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani, Guerri si è raccontato al pubblico, ripercorrendo i tratti salienti della sua vita professionale e privata: la famiglia, gli interessi, le prime esperienze tv e l’amore per Gabriele D’Annunzio.

Il suo ultimo lavoro tratta la celebre presa di Fiume del Vate, che per sedici mesi fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Cercando di valorizzarne gli aspetti innovativi e inediti, l’autore ha sottolineato come quell’impresa non fu solamente il gesto plateale di un poeta esteta, ma fu anzitutto la realizzazione politica di una «controsocietà» sperimentale.

In questi giorni gli studenti stanno svolgendo gli esami di maturità, senza una prova puramente storica: ritiene che lo studio della storia non sia adeguatamente valorizzato nella scuola come nella società di oggi?

È gravissimo che la storia non sia prevista negli esami, in quanto è la conoscenza del nostro passato e consente di capire il presente e progettare il futuro. Senza questo tipo di apprendimento, un popolo è mutilato e non potrà capire da dove viene la propria cultura.

Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzioneè una delle tante opere in cui racconta le gesta e la vita del poeta Vate della letteratura italiana. Come nasce l’interesse per Gabriele D’Annunzio?

L’interesse per D’Annunzio nacque mentre lavoravo alla tesi di laurea, ricercando il materiale di cui avevo bisogno negli archivi del Vittoriale. In quel periodo decisi di voler scrivere un libro, che pubblicai quindici anni dopo.

L’impresa di Fiume, da come spesso viene raccontata, sembra aver avuto più che un valore storico uno estetico, considerato come il gesto di un letterato al centro dell’opinione pubblica. Quei 500 giorni che cosa hanno significato per la storia italiana?

In realtà è una credenza che deriva da un errore storiografico e fu sicuramente un gesto nazionalistico logico. Si pensi, ad esempio, al clima post primo conflitto mondiale, quello che D’Annunzio chiamava Quarta Guerra d’Indipendenza. Da quel momento, prese il via una rivoluzione sociale, politica ed economica, come dimostra la Carta del Carnaro, la costituzione rivoluzionaria che il Vate diede a Fiume.

Per rimanere in tema, lei è Presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, di cui è anche direttore generale. Quali sono gli aspetti del poeta che ha voluto valorizzare, per suscitare nuovo interesse nei confronti della sua figura?

D’Annunzio viene considerato un decadente, lussurioso, peccatore e protofascista. Ho cercato, con buoni risultati, di modificare questa sua rappresentazione. Fu in realtà un modernizzatore che trasformò la società italiana, fatta di una piccola borghesia ottocentesca, in una società più dinamica e aperta. Una cosa tengo a sottolineare: non fu mai fascista.

Sarà ospite di Musicultura: quale genere musicale ascolta? Se dovesse scegliere un brano più significativo della sua vita, quale potrebbe essere?

Ascolto musica rock e pop, in prevalenza quella degli anni ’60 e ’70: Frank Zappa, Beatles e Rolling Stones. Un mio brano preferito? Love in vaindei Rolling Stones.

INTERVISTA. “Musicultura, un festival meraviglioso”: il Quinteto Astor Piazzola a La Controra

Mercoledì 18 Giugno il tango argentino del Quinteto Astor Piazzolla è stato protagonista dell’appuntamento di musica live de La Controra, al Teatro Lauro Rossi di Macerata: composizioni di grande ricchezza melodica, ritmica e armonica, quella dei cinque artisti di Buenos Aires, che hanno riportato in auge gli arrangiamenti del celebre compositore Piazzolla, brani perlopiù inediti.

Il gruppo formato da Lautaro Greco, Sebastian Prusak, German Martinez, Sergio Rivas e Cristian Zarate, sotto la direzione del maestro Julian Vat, ha incantato il pubblico presente in sala e hanno confidato, alla redazione di Sciuscià, i successi del loro progetto artistico. In qualità di portavoce della band, Vat ha rilasciato un’intervista alla redazione di Sciuscià, poco prima della loro esibizione.

Com’è nato il Quinteto Astor Piazzolla?

[Julian Vat] Il Quinteto nasce diciannove anni fa per iniziativa di Laura Escalada Piazzola, per mantenere viva l’eredità di Astor Piazzolla con ilo suo stesso spirito, il suo tango e la sua musica. Fu lei stessa a convocarmi per un provino. Tra i prerequisiti,  oltre all’esperienza e a un certo tipo di professionalità, si richiedeva un amore speciale per l’arte del Maestro.

Com’è esibirvi, presentando a tutto il mondo la musica di Piazzolla?

Credo che Astor Piazzolla sia un artista universale, perché è riuscito a descrivere, con la musica, il suo paese. Portarlo in giro per il mondo è sempre un grande onore.

I genitori di Astor Piazzola avevano origini italiane: quale emozione provate nel riportare la sua musica in Italia e suonare nel nostro Paese?

Piazzolla è legato a questo Paese per tanti motivi: è la terra di origine dei suoi genitori e il posto in cui ha prodotto gran parte della sua musica, registrando molti pezzi del repertorio con musicisti italiani. Abbiamo avuto la fortuna di suonare in Italia in varie occasioni; abbiamo una grande responsabilità, in quanto Astor è molto conosciuto e apprezzato qui.

Siete stati acclamati dalla stampa internazionale come l’unico gruppo in grado di suonare la musica di Piazzola con una ricchezza melodica e ritmica senza precedenti. Come descrivereste la vostra performance?

Cerchiamo di diffondere con umiltà tutta la musica del Maestro, un autore molto fecondo; ha, al suo seguito, più di tremila opere, tra cui due sono le più famose, forse una quindicina quelle più conosciute. Noi abbiamo la fortuna e responsabilità, anche attraverso i nostri tre dischi, di far conoscere la restante parte della sua musica meravigliosa, perché merita di essere riproposta al pubblico. A Musicultura le opere più inedite di Piazzolla, affiancate dai grandi successi come Libertango.

Musicultura, in una sola parola?

Meraviglioso. Promuovere la canzone d’autore e i nuovi talenti come noi, che non ci riteniamo di certo consacrati.

INTERVISTA. “Qui a Musicultura ho trovato l’eredità di Fabrizio”: Fabio Frizzi a La Controra 2019

Mercoledì 19 Giugno Fabio Frizzi è tornato a Macerata, come ospite di Musicultura. Proprio lo scorso anno, l’artista è salito sul palco dello Sferisterio, per ricordare suo fratello Fabrizio con gli amici del festival. Chitarra alla mano, a La Controra, l’artista si è esibito in una rivisitazione dei più celebri brani del cinema italiano. Alla redazione di Sciuscià ha rilasciato questa toccante intervista in cui parla anche del rapporto con il fratello.

Con l’avvento del digitale e con la produzione sempre più cospicua delle serie tv, il cinema sta progressivamente perdendo la sua leadership. A tal proposito, come vedrebbe un suo eventuale passaggio definitivo dal grande al piccolo schermo?

Verso la fine anni ’90 ho avuto la fortuna incontrare il regista Vittorio Sindoni, che mi ha coinvolto per circa dieci di anni in una fiction, che io ho reinterpretato esattamente con lo stesso metodo che utilizzo lavorando per il cinema. Ogni puntata, l’ho considerata un film a sé stante. Anche se oggi si sta andando verso altre frontiere, io continuo a difendere il grande schermo, per la sua importanza.

Per anni ha lavorato al fianco del celebre regista Lucio Fulci. C’è, nel panorama cinematografico italiano contemporaneo, una figura che possa essere considerata l’erede spirituale del suo cinema?

Lucio ha lasciato la sua eredità lontano dalla sua terra. Anche se nel nostro Paese ci sono cineasti molto validi, questo è un Paese un po’ sterile nell’accettare o, più semplicemente, nell’ascoltare le esigenze e le idee dei giovani. Il cortometraggio ne è un esempio, tanto apprezzato all’estero quanto sottovalutato in Italia. Dunque il semino piantato da Lucio, col cinema di genere artigianale – tanto amato oggi – sta crescendo, ma di più all’estero.

L’arrangiamento di una colonna sonora avviene dopo un primo assetto di montaggio o la musica viene concepita prima, durante l’ideazione del film insieme al regista. Qual è il tipo di approccio più in voga, oggi?

Dipende molto dalle situazioni: ci sono delle volte in cui ti chiamano per lavorare, a film girato, e hai modo di vedere il montaggio. Se il regista fosse un sarto, la sceneggiatura sarebbe il cartamodello del film, un pezzo fondamentale dell’opera. Questo è l’aspetto più delicato: ogni volta hai un riferimento nuovo e anche una brillante idea può essere considerata non valida. Servono umiltà e voglia di lavorare, in una qualsiasi professione. Il mio è un mestiere difficile, ma dà grandi soddisfazioni.

Quale potrebbe essere la colonna sonora perfetta per Musicultura?

Un mio brano, che  potrei comporre in futuro. Mi piace molto com’è organizzato questo festival e lo spirito che si respira nell’aria, che permea completamente la città. Sarebbe bello scrivere un inno per i 30 anni di Musicultura. Senza dubbio, dovrebbe trattare il tema dell’amore.

Fabrizio, un amico fedele di Musicultura. C’è un momento o un aneddoto legato al festival, che suo fratello le ha raccontato?

Mi raccontò di essere venuto a Musicultura, il primo anno della sua conduzione, con un grande punto interrogativo in tasca. Eravamo già stati insieme allo Sferisterio un po’ di tempo prima, per uno spettacolo. Sin da subito mi ha parlato benissimo di questa realtà. Ha sempre vissuto il festival con grandissimo entusiasmo, quasi come se lo considerasse un regalo da conservare gelosamente. Durante la malattia, uno dei suoi rammarichi maggiori era proprio la paura di non riuscire ad arrivare alla settimana finale del concorso.  Qui a Macerata ho trovato l’eredità di Fabrizio: la gente mi ricorda lui, come anche la città, tra i pochi luoghi che mi fanno vivere bene la mancanza di mio fratello. Lui aveva la caratteristica di essere una persona buona, capace di farsi carico delle cose belle e dare importanza a tutto quello ciò che merita di avere risalto. Voi avete perso un grande amico, io un grande fratello. Ce lo ricordiamo sempre, lui è qui!

INTERVISTA. Franz Di Cioccio a Musicultura: “Vi racconto come abbiamo vissuto il Rinascimento della musica italiana”

A parlare della Premiata Forneria Marconi, pietra miliare della storia del Progressive Rock e leggenda internazionale fin dagli anni ’70, è Franz Di Cioccio, frontman e batterista della band, ospite de La Controra e della prima Serata Finale di Musicultura; mercoledì 19 Giugno, l’artista ha raccontato le tappe del Rinascimento della musica italiana e di quando nel ’74 registrò un disco live tra il verde e i grattaceli, nell’Hyde Park di New York. Poco prima dell’incontro con il pubblico al Palazzo Conventati, Di Cioccio ha rilasciato questa intervista alla redazione di Sciuscià.

Vi esibite senza sosta dagli anni ’70, siete reduci dall’intenso tour mondiale “Emotional Tattoos tour”, che ha fatto tappa in Giappone, in America, nel Regno Unito e nel nostro Paese. Come accoglie il pubblico internazionale la vostra musica?

Bene, abbiamo abituato il pubblico tanto tempo fa alla nostra musica. Difatti, abbiamo iniziato presto a suonare all’estero, pensando fosse troppo riduttivo esibirci solo nel nostro Paese, considerando che il confronto con altre persone ci avrebbe offerto ulteriori possibilità di crescita. Siamo incuriositi dalla continua ricerca di stimoli e suoni: è la chiave del mestiere di musicista. Mano a mano questa strategia si è consolidata, di pari passo al nostro confronto con più tipologie di ascoltatori. Il coronamento della scelta di suonare all’estero è stata la vincita, lo scorso anno, del titolo di Band Internazionale all’International Prog Awards, dopo un contest del Prog Magazine inglese, rivolto a lettori di tutto il mondo. Ci capita spesso di cantare in italiano, fuori dal nostro Paese. Infatti “Emotional Tattoos” è stato registrato nella doppia versione. Nonostante questo, nell’ultimo concerto londinese abbiamo cantato in lingua originale per la melodia, la dolcezza e la poesia di alcuni testi.

Una carriera al fianco di De André, la vostra. I brani di Faber appartengono anche a questa nostra società, cinica e disincantata. In che modo, oggi, è possibile raccontare quelle tematiche cantate da Fabrizio, che continuano a essere ancora attuali?

Il nostro incontro con De André è stato un evento eccezionale, nato da una mia intuizione. In America abbiamo constatato che i generi sono rispettati e non vengono discriminati, perché chi fa musica fa parte del tessuto sociale e culturale del Paese: nascevano infatti collaborazioni molto interessanti tra cantautori e band; basti pensare a Jackson Browne con gli Eagles o Bob Dylan con i The Band. Il pubblico italiano però non era abituato a questi incontri e a questi approcci alla musica. La PFM aveva già lavorato con Fabrizio per “La buona novella”; un giorno ci venne ad ascoltare a Nuoro e ci invitò a pranzo. Ne approfittai per fargli una proposta indecente, prendere coraggio e fare quello che nessuno in Italia aveva mai fatto. Inizialmente titubante, vista la sua natura ostinata e contraria, disse “Belin, è pericoloso!? allora lo faccio!”. Abbiamo messo a sua disposizione un patrimonio musicale. Tutto questo non ha segnato solo la storia della nostra discografia, ma anche il senso della musica in Italia, dimostrando che la condivisione artistica, nella nostra ricerca e sperimentazione, avrebbe dato un grande apporto alla diffusione della poetica dei suoi testi all’interno delle canzoni.

La fruizione e la produzione della musica subiscono continuamente evoluzioni. In che modo vi approcciate ai cambiamenti, sempre più frequenti, del mercato musicale?

Non credo nel mercato musicale, propenso soltanto alla vendita dei dischi, magari di quelli più orecchiabili. Confido però nel talento delle persone. Non esiste un genere che ti fa vendere con assoluta sicurezza; esiste la capacità dell’artista, che dà la giusta carica all’animo. A discapito dei fenomeni indotti, quelli spontanei sono più duraturi perché più liberi. Non c’è una regola per arrivare al “successo”, participio passato del verbo succedere. Prima bisogna produrre un bel disco; solo quando è successo, allora arriva il successo.

La vostra storia è segnata da tanta musica e innumerevoli collaborazioni. Qual è il prossimo progetto della PFM? 

Quest’anno abbiamo fatto la tournée “PFM canta De André Anniversary”, perché spesso le cose belle in Italia non vengono ricordate. Eppure, ci sono state 45 date sold out, 6 delle quali solo a Milano. Abbiamo suonato con rigore e con maestria, ma soprattutto con passione. Fabrizio è come un’autostrada: ti fa viaggiare dove vuoi, sapendo che sarà un viaggio lungo. Il prossimo progetto? Fare un disco diverso, quindi non sapere cosa riserverà il domani. Nel futuro c’è l’intrigo, che manca nella replica di una cosa che ha già il profumo di successo. Se scaviamo attraverso le emozioni, tra i ricordi e tra i viaggi, arriverà un’idea nuova: quello sarà il prossimo album!

Quale consiglio dareste agli otto vincitori di Musicultura, per vivere una carriera premiata e fortunata come la vostra?

Uno dei consigli più semplici: essere quello che si è e mai quello che si vuol sembrare. Per fare heavy metalnon basta comprare un chiodo e suonare la chitarra bassa; l’hanno già fatto. Bisogna raccontare ciò che ci fa gioire o soffrire. Non tutti i sogni vengono subito a galla; qualcuno diventerà realtà inaspettatamente.