Ecco i vincitori di Musicultura 2025. Carolina Di Domenico e Fabrizio Biggio conducono la Finalissima

Countdown per le fasi finali della XXXVI edizione di Musicultura in programma a Macerata dal 17 al 21 giugno, con Rai in veste di main media partner dell’evento.

La conduzione delle due serate conclusive di spettacolo, in scena il 20 e il 21 giugno allo Sferisterio di Macerata, è affidata a Carolina Di Domenico e, per la prima volta, a Fabrizio Biggio. Gli ospiti sul palco dello Sferisterio sono Riccardo Cocciante, Antonella Ruggiero, Vinicio Capossela, Eugenio Finardi, Tricarico e Valerio Lundini.

Il direttore artistico Ezio Nannipieri ha svelato gli otto vincitori del concorso che dal 1990 custodisce con cura uno spazio importante per i nuovi cantautori e tutela la qualità artistica della canzone italiana.

Ecco gli 8 vincitori 

Alessandra Nazzaro con Ouverture

Elena Mil con La ballata dell’inferno

Frammenti con La pace

Ibisco con Languore

ME JULY con Mundi

Moonari con Funamboli

Abat-jour con Oblio

Silvia Lovicario con Notte

“Ringrazio queste ragazze e questi ragazzi, che in tempi di canzoni rimasticate e di artisti bravi a fare gli affari propri ci danno una lezione di pulizia emotiva ed espressiva. – ha dichiarato il direttore artistico Ezio Nannipieri – “Il senso di Musicultura sta nell’essere al loro servizio, nel cercare di sostenerne in modo altrettanto pulito l’immaginazione, la passione e, perché no, le economie.”

Gli 8 vincitori sono stati designati a partire da una rosa di 16 finalisti dal Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, i cui primi firmatari furono nel 1990 Fabrizio De Andrè e Giorgio Caproni, e che in questa XXXVI edizione, è composto da: Francesco Amato, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Giulia Caminito, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Dardust, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, Mariangela Gualtieri, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Mariella Nava, Susanna Nichiarelli, Piero Pelù, Vasco Rossi, Ron, Sydney Sibilia, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi e Margherita Vicario.

Già da stasera si potrà cominciare ad approfondire la conoscenza degli artisti vincitori di Musicultura 2025. Rai Radio1, la radio ufficiale del festival, trasmetterà infatti il loro concerto in diretta dalla Sala A di via Asiago a partire dalle ore 21:00, con la conduzione di John Vignola coadiuvato da Duccio Pasqua. L’evento sarà ripreso e diffuso in diretta anche da RaiPlay.
Ritroveremo i protagonisti e le protagoniste del concorso tra due settimane a Macerata. Sarà il test democratico del voto del pubblico dello Sferisterio a decretare, al termine delle due serate di spettacolo del 20 e il 21 giugno, il vincitore assoluto di Musicultura, al quale andranno i 20.000 euro del Premio Banca Macerata.

Verranno inoltre assegnati la Targa della Critica Piero Cesanelli (€ 3.000), il Premio PMI (€ 2.000), il Premio per il miglior testo (€ 2.000), il “Premio Grotte di Frasassi” (€ 2.000), novità che prevede per l’artista prescelto anche l’opportunità di una residenza, seguita da una performance di restituzione artistica site specific, in seno a uno dei complessi carsici più spettacolari d’Europa, le Grotte di Frasassi, nel cuore delle Marche. Per il secondo anno verrà inoltre conferito il Premio “La Casa in riva al Mare” (€ 2.000) lo speciale riconoscimento assegnato a uno degli otto vincitori da una giuria di detenuti della Casa di reclusione di Barcaglione di Ancona. Il progetto, promosso dal Garante regionale dei diritti della persona delle Marche, Giancarlo Giulianelli, è stato segnalato nel 2024 come best practice dal Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

Le serate di spettacolo allo Sferisterio del 20 e 21 giugno saranno trasmesse in diretta da Rai Radio 1 con Marcella Sullo, Duccio Pasqua e John Vignola alla conduzione. Diverranno anche un programma televisivo, firmato da Matteo Catalano, con la collaborazione di Carolina Catalano e per la regia di Duccio Forzano. Lo speciale Musicultura 2025 andrà in onda prossimamente sulla rete Rai.

Musicultura 2025: Riccardo Cocciante ospite sul palco dello Sferisterio il 20 giugno

Riccardo Cocciante sarà ospite venerdì 20 giugno della prima delle due serate finali di Musicultura 2025, il Festival della canzone Popolare e d’Autore. Lo Sferisterio di Macerata è pronto a ospitare un’autentica leggenda, un artista che ha scritto alcune fra le pagine più belle della storia della musica italiana e internazionale tornato alla dimensione live grazie al suo spettacolo “Io… Riccardo Cocciante”.

Nell’era dell’effimero in cui siamo immersi Riccardo Cocciante si staglia come una vetta che ispira un senso di solidità, un sentimento di libertà e di purezza – ha detto il direttore artistico Ezio Nannipieri. Siamo davanti a un pioniere della canzone che solo aprendo bocca ristabilisce il giusto senso delle proporzioni artistiche. Non a caso lo corteggiamo praticamente dall’ultima volta che fu nostro ospite, se non erro nel 1997. Allo Sferisterio Cocciante ci ricorderà cosa significa dare voce all’anima. Credo che il peso specifico delle emozioni e la qualità degli applausi andranno fuori scala.

La presenza al Festival di Riccardo Cocciante si configura come un vero regalo per il pubblico, ma sarà anche l’occasione per il conferimento al grande ospite dell’’Onorificenza per Alti Meriti Artistici istituita dall’Università di Macerata e dall’Università di Camerino.
Cocciante si aggiunge ad Antonella Ruggiero, Vinicio Capossela e Tricarico, ospiti già annunciati delle attesissime serate finali di spettacolo in programma il 20 e 21 giugno a Macerata, che si preannunciano dense di emozioni e sorprese.
Accanto a questi grandi protagonisti della canzone italiana si esibiranno, gli otto giovani artisti vincitori della XXXVI edizione di Musicultura, individuati al termine di una lunga selezione iniziata con 1.176 candidature.

Un incentivo concreto alle carriere dei giovani artisti vincitori arriverà dai consistenti premi che il prestigioso concorso di Musicultura mette a loro a disposizione. Primo tra tutti i 20 mila euro del Premio Banca Macerata, che andrà al Vincitore Assoluto, decretato in base all’esito dei voti del pubblico dello Sferisterio. Verranno inoltre assegnati la Targa della Critica Piero Cesanelli (€ 3.000), il premio “La casa in riva al mare” (€ 2.000), il premio PMI (€ 2.000) e il premio per il miglior testo (€ 2.000).

Tricarico, Antonella Ruggiero e Vinicio Capossela sono i primi protagonisti di Musicultura 2025

Musicultura apre il sipario sulla XXXVI edizione annunciando i primi ospiti che saliranno sul palco dello Sferisterio di Macerata nelle due serate finali del Festival, in programma venerdì 20 e sabato 21 giugno 2025.

Venerdì 20 giugno, andranno in scena due tra i più originali cantautori del panorama italiano: a dieci anni dalla sua ultima partecipazione al Festival torna Vinicio Capossela, artista poliedrico e sperimentatore sonoro in grado di fondere mito e presente, sacro e profano; e Tricarico, penna fuori dagli schemi e autore di brani dal lirismo tagliente e imprevedibile.
Sabato 21 giugno sarà, invece, la volta di una voce iconica della musica italiana: Antonella Ruggiero, interprete raffinata e dallo stile inconfondibile, capace di attraversare generi e decenni con eleganza e intensità.

Cresce intanto l’attesa per conoscere i nomi degli otto vincitori del Concorso, che nelle serate finali di Musicultura saranno protagonisti sul palco insieme a prestigiosi ospiti del festival. Dopo una selezione partita da oltre mille candidature, le sedici proposte finaliste sono in questi giorni al vaglio dell’illustre Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, che designerà gli otto vincitori e che è composto: Francesco Amato, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Giulia
Caminito, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, Dardust, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, Mariangela Gualtieri, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Mariella Nava, Susanna Nichiarelli, Piero Pelù, Vasco Rossi, Ron, Sydney Sibilia, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi e Margherita Vicario.

Gli artisti vincitori del concorso, si esibiranno tutti e otto sia venerdì 20 che sabato 21 giugno. La somma dei voti del pubblico delle due serate consacrerà il Vincitore Assoluto della XXXVI edizione, al quale andrà il Premio Banca Macerata di 20.000 euro.
I nomi dei vincitori saranno svelati il prossimo 12 giugno, durante il concerto in diretta su Rai Radio1 dalla storica Sala A di Via Asiago a Roma, appuntamento attesissimo che rappresenta uno dei momenti cardine del percorso artistico della manifestazione.

La direzione artistica di Musicultura, fedele alla propria vocazione di valorizzazione della canzone d’autore contemporanea, promette anche per quest’anno un cartellone ricco di sorprese: i presentatori delle due serate e gli ospiti in cartellone verranno annunciati nei prossimi giorni.

Musicultura presenta REFRESH

Con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”, Musicultura arricchisce la settimana finale del Festival con una nuova iniziativa: Refresh.

Dal 17 al 19 giugno, in Piazza Vittorio Veneto a Macerata, tre serate di musica live a ingresso gratuito offriranno al pubblico l’occasione di ritrovare alcuni artisti già premiati sul palco dello Sferisterio. Un nuovo spazio d’ascolto nel cuore della città pensato per valorizzare i talenti emersi dal Festival.

Programma

MARTEDÌ 17 GIUGNO

Yosh Whale

MERCOLEDÌ 18 GIUGNO

The Snookers

GIOVEDÌ 19 GIUGNO

Nico Arezzo

Anna Castiglia

INTERVISTA – Quando il suono trasmette, le parole non servono

Se si parla di affinità musicale, quella tra Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello non può non essere citata. Vent’anni di amicizia, di spettacoli in giro per il mondo hanno creato tra loro una connessione unica, fatta di complicità e note che si rincorrono tra loro in un dialogo che fluisce naturalmente, senza bisogno della mediazione della parola. La loro musica è un viaggio continuo, animato dalla ricerca non solo del sublime, ma anche e soprattutto dell’emozione, del sentimento che la musica riesce a veicolare senza artifici. In occasione della loro partecipazione al concerto dei finalisti di Musicultura 2025, Fabrizio Bosso ci apre le porte del suo mondo: un luogo in cui la tecnica è corpo ma dove la connessione è anima. Un luogo dove l’istinto dirige le mani ancor più della testa, e dove l’emozione è chiave. Con il ricordo affettuoso rivolto a Pino Daniele e al suo spirito jazz, e lanciando sguardo verso le nuove proposte, ci racconta cosa significhi rimanere ancorati con tenacia alla propria arte e alla propria espressività.

Lei e Mazzariello vi conoscete e collaborate da oltre vent’anni, condividendo un percorso artistico ricco di progetti, tournée e momenti di crescita. Dal 2010, il vostro dialogo musicale tra tromba e pianoforte ha trovato una sintonia che non si è più interrotta. Qual è la formula che vi ha permesso di mantenere un’intesa così solida nel tempo, continuando a lavorare insieme ai massimi livelli? Vi è mai capitato di dover ripensare il vostro modo di suonare insieme, riscoprendovi attraverso nuove sfumature e possibilità espressive?

Semplicemente, con Julian tutto questo avviene perché ci sono grande fiducia, complicità e stima, non solo a livello musicale, ma anche a livello umano. Suoniamo da tanti anni e una volta raggiunto un certo livello tecnico con lo strumento, che ti permette di fare il professionista, si inizia a cercare altre cose per riuscire a fare musica a certi livelli. Nel jazz è importante stare sul palco con persone di cui ci si fida e per cui si ha stima, una stima che deve andare anche al di fuori dell’ambito musicale. Ho visto, per esempio, progetti come le all star band, composte da tanti leader fortissimi, solisti fortissimi, che però magari messi insieme non funzionano. A un certo punto bisogna abbandonare la singolarità e cercare, se si vuole fare musica, di farla insieme agli altri. Con Julian c’è questa cosa: io so che lui è sempre connesso, come lui sa che io sono sempre connesso a lui, di conseguenza possiamo azzardare, assumerci dei rischi. Nella tua domanda hai fatto riferimento a una cosa bella: andare a cercare qualche affinità diversa negli anni. Ma avviene in modo naturale. Se suoniamo 3-4 giorni di fila anche con lo stesso repertorio, ogni sera c’è qualcosa che cambia, perché uno dà lo stimolo all’altro: modificando un po’ la velocità di un brano o anche solo il ritmo melodico, si può far prendere un’altra strada. Queste cose si possono fare solo tra musicisti tra loro molto coesi, che condividono fiducia. Per fare musica insieme serve questo tipo di complicità.

Nel jazz, il confine tra il controllo e l’abbandono è sottilissimo: bisogna avere una padronanza assoluta dello strumento, ma anche capacità di lasciarsi andare. Come si bilancia questa tensione tra disciplina e libertà? Vi è mai successo che l’istinto vi portasse in una direzione che la tecnica da sola non avrebbe mai suggerito?

Rispondo con un esempio: non che fosse un trombettista che non sapesse suonare, però rispetto ad altri Chet Baker era meno “pirotecnico”. Ma era un poeta: pur facendo cose meno tecniche, riusciva ad arrivare alla gente; ogni singola sua nota aveva un peso importante. Ecco, c’è anche questo modo di arrivare. Però per chi decide di intraprendere la professione la prima cosa è imparare a suonare bene lo strumento. E quando sei molto preparato, può accadere che si sfrutti la tecnica in maniera non musicale: puoi diventare un po’ un circense, uno che vuol far solo vedere che sa muovere le dita, che sa fare certe cose; ma non vien fuori la musica. Quello che hai detto è corretto: la cosa veramente difficile è bilanciare, riuscire a sfruttare tutto quello che si è studiato. Quanto suggerivano sempre i vecchi musicisti americani – «Studiate un sacco di armonia, studiate tutto, e poi quando salite sul palco, mi raccomando, dimenticate tutto quello che avete studiato» – era un modo per dire: «Liberate la mente da tutte le formule, suonate». Per farlo, bisogna riuscire ad assimilare talmente bene la tecnica che non ci devi più pensare, ma devi tirarla fuori solo per quello che ti serve musicalmente in quel momento. Ed è un lavoro, questo, che non finisce mai.

Quest’anno ricorrono dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, artista che ha segnato profondamente la musica italiana. Lo scorso anno avete pubblicato un album tributo al suo repertorio: come siete riusciti a mantenere intatta la sua cifra stilistica, reinterpretandola, allo stesso tempo, attraverso la vostra sensibilità musicale?

Rispettando le sue melodie meravigliose. Non siamo neanche andati a stravolgerle troppo armonicamente, semplicemente in alcuni brani abbiamo creato delle strutture che ci permettessero di aprire i soli ed entrare nel mondo del jazz, suoniamo la sua musica, però poi magari i soli che normalmente nei suoi concerti erano delle piccole parentesi per noi diventano nuove piattaforme per suonare, per divertirci, per poi ricollegarci al suo tema. In alcuni casi, per esempio, non ce la siamo neanche sentita di trasformare i suoi brani in brani jazz o di fare dei soli. Perché quella melodia è così perfetta che suoniamo solo quella; facciamo un’intro libera, prima, per poi andarla a suonare, per cercare di far sentire quanto ci abbia sempre ispirato la sua musica, anche nel nostro mondo jazz. Del resto, Pino Daniele comunque era un jazzista: era un grande improvvisatore ed era appassionato di jazz. Siciliy è stata scritta da Chick Corea, uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi. Per dire, ha fatto tour anche con jazzisti italiani, quindi, è molto vicino al nostro genere. Per questo non è stato difficile entrare nel suo mondo suonando la sua musica.

Tra le vostre collaborazioni più significative, WE4 (2020) si distingue per la capacità di veicolare messaggi profondi grazie alla sola musica strumentale. One Humanity, in particolare, è un inno alla solidarietà e alla fratellanza, valori essenziali in ogni epoca e contesto, ma che in quel momento storico risuonavano con particolare urgenza. Senza l’ausilio di parole, come riuscite a veicolare concetti così universali e attuali esclusivamente attraverso le note? E come è nato quel progetto?

Il progetto è nato, innanzitutto, con un quartetto che esiste da un po’. L’idea di »quest’ultimo disco era di scrivere della musica insieme, trovarci in studio, lanciare delle idee. Così è stato. Abbiamo registrato tutto il disco in presa diretta, senza fare sovra incisioni e senza cuffie. L’idea era proprio quella di tirare fuori il suono che sentivamo in quel momento senza aggiungere altre cose sopra. Il brano One Humanity è nato in un momento particolare, in un momento abbastanza tosto che stavamo attraversando tutti. Ma anche proprio per come stava andando il mondo, è venuta fuori questa melodia. L’abbiamo mandata a Julian, lui l’ha sviluppata ed è nato questo brano che creava un sound forte, profondo. Così abbiamo pensato che fosse giusto dedicarlo all’umanità, alle ingiustizie che spesso subisce. Del resto, per me nei concerti ci deve essere tutto: il momento di allegria, il momento intenso in cui si riflette su come sta andando il mondo. Ecco, quello che mi piace è quando, proprio alla fine di un concerto, arriva gente che mi dice: «Mi hai fatto piangere, mi hai fatto ridere». È quello che proviamo a portare sul palco, un po’ tutte le emozioni che sentiamo.

Avete trasformato il vostro talento in una carriera internazionale, esibendovi sui palchi più prestigiosi e collaborando con grandi nomi della musica. Guardando al vostro percorso, quale pensate sia la chiave per distinguersi oggi? E quale consiglio dareste ai giovani finalisti di Musicultura che vogliono lasciare il segno con la propria musica?

La chiave per distinguersi è essere se stessi. Sempre. Non lasciarsi influenzare da proposte che magari non senti tue. Se uno sente che quella proposta non sta nelle sue corde, non si deve far ingannare solo perché sembra che lì possano esserci i soldi o la notorietà. Questa cosa di Musicultura mi piace, perché i ragazzi non vengono qui sperando di entrare a X-Factor o di andare a Sanremo: vengono qui per portare la loro musica, far ascoltare quello che sentono. Si respira una bella atmosfera qua, anche di fratellanza, e questa cosa è molto bella. Io Sanremo l’ho fatto, 6-7 volte; è stato divertente perché ovviamente vestivo sempre i panni dell’ospite, facevo i miei soli, le mie cose, la vivevo un po’ da esterno. Però mi rendevo conto dello stress. Fare televisione e cose con un ritmo così, per 7-8 ore, può anche arrivare a distoglierti un po’ dalla musica. Quindi il consiglio che do ai giovani è, se sentono qualcosa di vero, di portarlo avanti. Poi ci vuole anche un po’ di fortuna, però sicuramente la tenacia aiuta.


 

Il concerto dei 16 finalisti – Il racconto della seconda serata di live

Dopo il successo della prima serata, il Teatro Persiani di Recanati apre le sue porte al secondo appuntamento con il concerto dei finalisti della XXXVI edizione di Musicultura. A fare gli onori di casa sono di nuovo John Vignola, Marcella Sullo e Duccio Pasqua, conduttori di Rai Radio 1; a esibirsi sono altre otto nuove leve del panorama cantautorale italiano e due ospiti d’eccezione.

Come ieri sera, spetta infatti al trombettista Fabrizio Bosso e al pianista Julian Oliver Mazzariello inaugurare l’appuntamento. Lo fanno con un omaggio a Pino Daniele, regalando al pubblico del Festival uno dei brani più celebri dell’artista napoletano: Je so’ pazzo.

Poi, Overture: ad aprire le performance dei finalisti è il brano di Alessandra Nazzaro, che affronta il palco con la stessa grazia con cui il suo pezzo svela alcune delle pieghe dell’animo umano. Il testo, struggente e profondo, narra di un addio che, in realtà, avrebbe dovuto essere pronunciato fin dal principio. Per Alessandra, ogni parola ha un peso fondamentale, tanto che si definisce «un’affezionata del testo».

Segue Ibisco, che si esibisce con una voce piena e una musicalità che fonde elettronica, spoken word e testi cantautorali. La sua canzone, Languore, è un viaggio tra sperimentazione e introspezione nell’ambito del quale ogni nota e ogni parola conducono verso un paesaggio emotivo ricco di sfumature. Il suo approccio alla musica è guidato da un’autenticità profonda, come afferma lui stesso: «Cerco sempre di scrivere cose che mi rappresentano, senza mai dover fingere».

Con Apatia, Distemah esplora temi di vulnerabilità e relazioni complesse; la sua presenza sul palco si caratterizza per una vocalità intensa e una produzione minimalista che enfatizza l’emotività del testo. La sua musica si distingue per un equilibrio tra delicatezza e forza espressiva, creando un’atmosfera coinvolgente e riflessiva. «Cerco la verità – afferma – e spero di portarla nelle mie canzoni».

La pace, il brano proposto dal duo Frammenti, è un inno alla festa, alla gioia, alla fratellanza. Alla non belligeranza. E suona davvero bene in questo 25 aprile, nonostante Francesco e Antonio, i due protagonisti di questo progetto che fonde cantautorato ed elettronica, raccontino di una conoscenza nata in una sala prove all’insegna di un’antipatia reciproca: «L’odio – scherzano rispondendo alle domande di Vignola – non è finito, ma a un certo punto abbiamo capito che per non litigare avremmo dovuto smettere di parlare e suonare di più».

Sale poi sul palco Giancarlo Giulianelli, Garante regionale dei Diritti della Persona, per presentare il progetto La casa in riva al mare, quest’anno alla sua seconda edizione, che offre a un gruppo di detenuti dell’istituto penitenziario Barcaglione di Ancona l’opportunità di partecipare a laboratori musicali curati dall’associazione Musicultura.

È poi la volta di NILO, il cui brano Tutti-nessuno è un atto di resistenza emotiva, costruito da un sound intimo e toccante che riesce ad arrivare dritto al cuore. Il pezzo è uno spunto per far riflettere chi ascolta attraverso le mille storie che racconta: «Il mio obiettivo – spiega l’artista – è di lasciare spazio alla libera interpretazione.  Il bello della musica è proprio questo: può suscitare emozioni completamente diverse in ciascuno di noi».

Segue ULULA con Pelle di Lupo, brano dalla carica sensuale molto esplicita, in grado di creare un’atmosfera suggestiva e coinvolgente, caratterizzato da sonorità alternative rock, con una costruzione melodica che fonde chitarra elettrica e sintetizzatori. «Il lupo è il mio animale guida. Mi rivedo anche nella sua solitudine» racconta a proposito del titolo del pezzo.

Ora è tempo di una nuova, graditissima, incursione sul palco dei due ospiti d’eccezione delle serate: Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello tornano a omaggiare Pino Daniele attraverso altri due classici del suo repertorio, Allora Sì e Quando. La complicità tra i due musicisti dà nuova vita alle melodie del cantautore partenopeo; la loro interpretazione dimostra quanto la produzione di Daniele fosse naturalmente predisposta all’improvvisazione: «Suonare la sua musica – afferma infatti Mazzariello – è come suonare un pezzo jazz, è come se lui creasse nei suoi brani una piattaforma per improvvisare».

Penultima tra i finalisti a esibirsi è Silvia Lovicario, la cui musicalità si distingue per una raffinata fusione di alternative rock, pop, influenze ambient e un tocco di soul, creando un’esperienza sonora intensa e coinvolgente. Nel brano Notte la sua voce si muove con delicatezza e profondità, restituendo un’atmosfera intima e suggestiva. «Il percorso che accompagna le mie canzoni – spiega – è stato lungo. Racconto storie che ho dentro, suscitando delle emozioni che provo quando suono».

A chiudere la serata sono i Nakhash, gruppo il cui brano in concorso, Gonna si distingue per una sonorità che intreccia elementi elettronici e cantautorali, creando un’atmosfera intensa, esplosiva. Forte è l’emozione, sia in platea che sul palco: «Mi tremano ancora adesso le gambe», svela a fine esibizione Elisabetta Rosso, voce della band, che poi prosegue: «Suonare a Musicultura porta all’incontro tra artisti. Comunque vada sarà stata un’esperienza formativa».

Ecco, appunto: come andrà? A deciderlo sarà ora il Comitato Artistico di Garanzia di Musicultura, costituito da Francesco Amato, Enzo Avitabile, Claudio Baglioni, Diego Bianchi, Francesco Bianconi, Maria Grazia Calandrone, Giulia Caminito, Luca Carboni, Guido Catalano, Ennio Cavalli, Carmen Consoli, Simone Cristicchi, Gaetano Curreri, dardust, Teresa De Sio, Cristina Donà, Giorgia, La Rappresentante di Lista, Ermal Meta, Mariella Nava, Susanna Nicchiarelli, Piero Pelù, Vasco Rossi, Ron, Sydney Sibilia, Tosca, Paola Turci, Roberto Vecchioni, Sandro Veronesi, Margherita Vicario.

Saranno loro, una volta ascoltati tutti i pezzi in concorso, a scegliere gli artisti che entreranno a far parte della rosa degli 8 vincitori del Festival, che il 20 e il 21 giugno si esibiranno, poi, sul palco dello Sferisterio.  Non ci resta che aspettare di conoscere le loro preferenze.


 

Il concerto dei 16 finalisti – Le esibizioni della prima serata

Il tour musicale della XXXVI edizione di Musicultura prosegue il suo viaggio a Recanati, la città di Giacomo Leopardi, dove il Teatro Persiani apre le porte a una due giorni di musica e talento. Dopo un lungo percorso di selezione tra 1.176 proposte, il festival dà ora spazio ai 16 finalisti dell’edizione 2025 con due concerti di presentazione in anteprima, trasmessi in diretta sui canali social di Musicultura e sulle frequenze di Rai Radio 1. Non a caso, a condurre i due appuntamenti sono le storiche voci dell’emittente: John Vignola sul palco, Marcella Sullo e Duccio Pasqua in collegamento.

Quest’anno, a impreziosire l’atmosfera con le loro esibizioni raffinate e coinvolgenti, due ospiti d’eccezione: il trombettista Fabrizio Bosso e il pianista Julian Oliver Mazzariello. I due maestri aprono la prima serata interpretando un brano di Gorni Kramer, tratto dal film Domenica è Sempre Domenica di Mario Riva. Con una straordinaria sintonia sonora, regalano al pubblico un jazz ricco e scoppiettante, dai toni swing, riscaldando l’atmosfera in vista dell’esibizione dei giovani artisti, a cui lasciano un suggerimento: «Salite sul palco e tirate fuori tutto ciò che avete dentro, senza pensare di dover piacere a tutti. Dovete prima di tutto piacere a voi stessi. Fate musica insieme, e ricordatevi che proprio sul palco vi dovete volere ancora più bene».

E sembrano prendere alla lettera questo consiglio i primi finalisti a esibirsi, gli Abat-Jour, che presentano il loro brano Oblio. Nomen omen: la loro performance è come una lampada che si accende in una stanza buia. La musica esplode, riempiendo l’aria e illuminando la platea, per poi affievolirsi gradualmente, come una luce che si spegne piano, lasciando un silenzio che avvolge tutto. Del resto, spiegano, «l’umore di chi sta sopra al palco condiziona tutto il pubblico», trasformando ogni performance in una comunicazione diretta e intensa con chi ascolta.

Segue Moonari, con Funamboli, la cui voce delicata accompagna un brano dal sound jazz, ben scandito da chitarra elettrica e batteria acustica, creando un’atmosfera quasi fluttuante, che riflette perfettamente il sentimento di tensione, umano e profondo, sospeso tra il desiderio di mollare tutto e la spinta verso il sublime. In questo brano, la musica diventa ricerca continua, sperimentazione e, a volte, errore creativo: «Magari – spiega l’artista – c’è un momento in cui ti sbagli o decidi di farlo, all’ultimo, e nasce una versione nuova».

Con Bimbapazza, poi, sonoalaska affronta il tema della violenza di genere, esprimendolo attraverso la sua voce delicata che, unita all’impatto sonoro della batteria, crea un vivido contrasto, come il chiaro-scuro di un ritratto. Non a caso, racconta di come il disegno sia un’altra delle sue forme di espressione, strettamente collegata alla composizione dei suoi brani: «Scrivo per immagini», confida. La sua musica, così come i vivaci canali social su cui la condivide, diventa uno spazio di educazione sociale, fungendo da vetrina per temi che, troppo spesso, non ricevono la giusta attenzione.

È poi la volta di ME, JULY e del brano Mundi, che si trasforma in un viaggio tra suoni popolari e sperimentazione elettronica, mescolando il sogno onirico alla memoria, l’italiano al dialetto. Il pezzo abbraccia una vasta gamma di sensazioni, mantenendo però sempre al centro l’amore profondo e primordiale per la terra d’origine. La sua esplorazione del Sud Italia – dal Salento alla Sicilia, passando per Napoli e la Calabria – affonda le radici in una formazione classica acquisita al conservatorio, ma anche in una ricerca più autonoma: «Una volta tornato a casa – racconta il giovane cantautore – sperimentavo con sintetizzatori e tastiere. Nel tempo ho iniziato a produrre i miei brani e anche quelli di altri, riuscendo a unire questa prospettiva con la mia formazione classica».

Tocca poi a Simona Boo e i Bimbi di Fumo, che con il brano Simun portano una ventata di estate mediterranea sul palco. La canzone, con suoni arabeggianti e avvolgenti, si fonde con il jazz creando un’atmosfera ipnotica e suggestiva. Il loro approccio alla musica è artigianale e coraggioso, un vero e proprio atto di ricerca sonora: «A volte, se qualcosa non ci convince davvero, decidiamo di scartare un intero progetto», affermano dando prova del loro impegno nel realizzare solo ciò che rispecchia pienamente la loro visione creativa.

Successivamente, i maestri Bosso e Mazzariello tornano in scena per un elegante intermezzo, eseguendo Moon Blue di Stevie Wonder. Il loro tocco trasporta il pubblico in un’atmosfera calda e avvolgente, dalle sfumature notturne e a tratti eteree, in una magia che continua con Rumba for Kampei di Fabrizio Bosso, esibizione costruita in un delicato gioco di contrasti: un dialogo tra suoni sfuggenti e ritmi intensi, che si apre e si chiude con una leggerezza sorprendente, lasciando il pubblico sospeso tra il lirismo e l’energia pura della musica.

E poi, ancora finalisti: Kyoto propone Frontiera, un brano dai toni elettronici e scuri, attraversato da echi punk e da un’estetica quasi gotica, senza però rinunciare a un’originale impronta cantautorale. Al termine dell’esibizione racconta la genesi del progetto: «Sono nata come batterista, ma nel 2020 mi sono avvicinata all’elettronica, cercando subito di unire alle mie basi testi parlati. In questo percorso ho incontrato il producer Truemantic, di cui ero fan, e da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme».

Segue Elena Mil: il suo rapporto con la musica affonda le radici in un’infanzia in cui canticchiava a bassa voce tra i banchi, guadagnandosi i rimproveri delle maestre. «Ho imparato a cantare e parlare insieme», svela. A Musicultura porta La ballata dell’Inferno, un brano che con solo voce e ukulele riesce a toccare corde profonde. L’arrangiamento, essenziale ma curato, è una scelta poetica e consapevole: ogni nota è necessaria, nulla è superfluo. È proprio nel vuoto lasciato da ciò che non c’è che la canzone respira, trovando la sua forza in un equilibrio delicato tra forma e contenuto.

A chiudere il sipario del primo appuntamento recanatese sono Belly Button e il Coro Onda con Credo, un brano rap dall’anima gospel, che si muove su un ritmo accattivante e sfumature soul. La nascita del gruppo affonda le radici in un semplice post su Facebook, ma da quell’idea estemporanea è germogliato un progetto con un’anima profonda, inclusiva e sociale, che oggi punta «a dare voce a chi non ha voce, e a creare uno spazio per chi non ce l’ha».

Il viaggio nella musica d’autore prosegue domani, stessa ora e stesso posto, con gli altri otto finalisti pronti a salire sul palco di Musicultura per raccontarsi tra note, parole e nuove emozioni.


 

INTERVISTA – Kyoto e una Frontiera per abbattere muri

Tra club underground e palchi internazionali, ha oltre 100 concerti all’attivo Roberta Russo, in arte Kyoto, che ora approda tra i 16 finalisti di Musicultura con il suo brano Frontiera. Il pezzo – che è parte di un progetto che fonde industrial, post-punk ed
elettronica scura con spoken music e testi cantautorali – racconta di «quei confini invisibili che ci troviamo ad attraversare nei momenti di trasformazione, ma anche di frontiere reali, fisiche». Questa l’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

Kyoto alle Audizioni Live di Musicultura 2025

Il tuo progetto nasce dalla fusione tra beatbox ed elettronica, ed è caratterizzato da un sound che oscilla tra atmosfere oscure e richiami alla tradizione. Partendo dalla batteria, hai trasformato il ritmo in un elemento focalizzante, costruendo un linguaggio musicale fatto di ripetizioni martellanti e testi che arrivano dritti allo stomaco. In che modo questa evoluzione sonora ha influenzato la produzione del tuo EP? Ti senti più alla ricerca di un’identità musicale precisa o preferisci sfuggire ogni tipo di staticità, lasciando che il tuo percorso resti sempre in movimento?
L’evoluzione sonora è stata un processo naturale, nato dal desiderio di trasformare il ritmo – da sempre il mio punto di partenza – in un linguaggio più articolato. Prima la batteria, poi il beatbox, e infine l’elettronica, che ha aperto uno spazio espressivo nuovo, dove suono e parola possono convivere e contaminarsi. In tutto questo percorso, l’incontro con Truemantic è stato determinante. La sua visione e la sua capacità di lavorare sul dettaglio sonoro hanno dato all’EP una struttura più solida e insieme più libera. Non è stato solo un co-produttore: oggi rappresenta almeno il 50% del progetto Kyoto, anche nei live, dove costruiamo insieme un suono che cambia da palco a palco. Non c’è la volontà di fissare un’identità chiusa. Al contrario, il progetto vive di movimento, di attraversamenti continui. Ogni brano è un punto in un percorso più grande, che ancora non ha una forma definitiva – e forse è proprio questo il suo senso.

Sei tra i 16 finalisti di Musicultura con Frontiera, brano intenso sia nel testo che nell’arrangiamento. Cosa rappresenta per te questa canzone? Perché, secondo te, è ricaduta proprio su questo pezzo la scelta della giuria del Festival?
Frontiera è un brano che lavora per stratificazioni. Parla di limiti interiori – quei confini invisibili che ci troviamo ad attraversare nei momenti di trasformazione – ma anche di frontiere reali, fisiche. Quelle attraversate da popoli in fuga, da chi è costretto a lasciare tutto, da chi vive la guerra o la perdita come condizione quotidiana. Il testo non racconta in modo esplicito, ma evoca: immagini, tensioni, movimenti. L’arrangiamento, costruito insieme a Truemantic, segue questa logica. Non c’è una vera esplosione, ma una tensione che si accumula e resta sospesa. È un brano che lavora in sottrazione, lasciando che siano il ritmo e la voce a tenere il centro, senza sovraccarichi. Forse ha colpito per questo: riesce a parlare di qualcosa di universale partendo da un’emozione molto concreta, molto umana. Frontiera non dà risposte, ma apre uno spazio di riflessione, un varco dentro cui ognuno può portare la propria storia; il fatto che sia stata selezionata da Musicultura rappresenta un segnale forte: c’è un’attenzione crescente verso forme di scrittura che cercano un linguaggio personale, anche quando questo non segue percorsi immediatamente riconoscibili.

Quella sul palco del Teatro Lauro Rossi, durante le Audizioni Live, non è stata la tua prima volta a Macerata: l’anno scorso sei stata ospite in un circolo ARCI, un ambiente intimo e underground. Come cambia il tuo approccio quando ti trovi di fronte a platee così differenti? E cosa significa per te portare la tua musica in ambienti, come può essere quello di un teatro, appunto, meno abituati alle sonorità e all’energia dei tuoi live?
Ogni spazio ha il suo linguaggio. In un club, o in un circolo, si crea subito una relazione orizzontale: il suono è più sporco, diretto, c’è contatto fisico. In un teatro, invece, l’energia va mediata, trasformata. L’ascolto è più rarefatto, ma non meno intenso. Serve un altro tipo di presenza. Il lavoro live con Truemantic è fondamentale in questo: ci permette di adattare il set in modo fluido, modificando dinamiche, texture, strutture. Il nostro obiettivo è mantenere intatta l’identità del progetto, ma farla dialogare con lo spazio. Portare un set elettronico in un teatro è una sfida: significa capire se quella tensione costruita sul dettaglio riesce a reggere anche in un contesto più distante, più formale. E ogni volta che succede, qualcosa si apre.

Parlando sempre di concerti, hai calcato palchi importanti: oltre alla tua partecipazione al Rockin’1000, in cui ti sei esibita come batterista per artisti affermati, hai anche rappresentato l’Italia all’Eurosonic Festival in Olanda. Queste esperienze hanno in qualche modo influenzato il tuo modo di vivere la musica e il tuo progetto solista?
Sono state esperienze molto diverse tra loro, ma entrambe importanti. Il Rockin’1000 è stato un momento di energia collettiva unica, in cui la musica è diventata strumento di connessione, al di là del singolo. Lì ho capito quanto conti il suonare insieme, ascoltarsi, cedere il controllo. L’Eurosonic, invece, è stato uno specchio internazionale, un confronto con progetti provenienti da tutta Europa, ognuno con il proprio linguaggio. Portare il mio set in un contesto del genere ha reso ancora più evidente quanto sia importante avere un’identità sonora chiara, ma anche aperta. Lì non puoi fingere: o hai qualcosa da dire, oppure no. Queste esperienze mi hanno aiutato a vedere il progetto Kyoto in una dimensione più ampia, non solo come espressione personale, ma come qualcosa che può dialogare con linguaggi, culture e pubblici diversi.

Guardando al futuro, qual è il sogno che ancora non hai realizzato? C’è un obiettivo che senti ancora lontano, ma che speri di raggiungere con la tua musica?
L’obiettivo più grande, oggi, è quello di abbattere qualsiasi tipo di muro – geografico, linguistico, culturale – e far arrivare questo progetto a quante più persone possibile, in Italia e fuori. Kyoto nasce da un’urgenza espressiva, ma non vuole restare chiuso in una nicchia. Al contrario: l’idea è costruire, passo dopo passo, un pubblico affezionato che riconosca un’identità forte nel progetto, che lo segua e che ne condivida il percorso. La speranza è che ciò che raccontiamo – con la musica, con i testi, con i live – riesca a toccare corde universali. E se questo avviene, se riesce a creare un legame autentico con chi ascolta, allora significa che la direzione è quella giusta.

INTERVISTA – Musicultura 2025 ULULA

Cita il commediografo latino Plauto e il De cive di Thomas Hobbes; esplora il mondo in bicicletta e i generi musicali con la sua chitarra – ma anche con molti altri strumenti -; ha alle spalle una laurea in filosofia e un percorso di studi all’accademia musicale CPM; è sempre in movimento, ma ha lasciato andare l’idea di dover arrivare, di dover raggiungere, di dover chiudere: questo il ritratto variopinto di ULULA, all’anagrafe Lorenzo Garofalo, già tra i 16 finalisti di Musicultura nel 2020 con la formazione LaForesta. Il giovane cantautore torna ora sul palco del Festival con il suo progetto solista e con la sua Pelle di Lupo.

ULULA alle Audizioni Live di Musicultura 2025

Partiamo da un verso de L’avvelenata di Guccini: “Mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più di un cantante”. E tu, invece, dopo una Laurea in Filosofia, hai deciso di dedicarti alla carriera musicale. Quanto i due ambiti – musica e filosofia, appunto – sono per te collegati? Il tuo percorso di studi gioca un qualche ruolo nella tua produzione artistica?
Sono profondamente legati, è un meccanismo automatico, nel pensiero prima e nella scrittura poi. La forza della filosofia, per me, vive nel modo di approcciarsi ai contenuti e non nei contenuti stessi. Spesso mi capita di far coincidere la filosofia con l’assenza di contenuti. Oggi che le orecchie, gli occhi, i nasi e le bocche sono ricolmi di contenuti, l’assenza è una preziosa medicina. Il mio percorso di studi è assolutamente intrecciato con la produzione di tutto quello che faccio. Mi piace pensare che quello che ho in mano oggi sia stato piantato anni fa nel fertile terreno tra i banchi del liceo artistico o nelle aule dell’università. E ora me ne sto soltanto prendendo cura. Ovviamente sto piantando anche adesso, e poi raccoglierò ancora, e ancora.

Durante le Audizioni Live, parlando della tua precedente esperienza al Festival, quando con la formazione LaForesta sei stato selezionato tra i 16 finalisti del concorso, hai parlato della necessità di fiorire anche in altri contesti e dimensioni. Cosa hai lasciato andare con il tempo? Da quali schemi sei riuscito a liberarti e quali, invece, continuano a tenerti intrappolato?
Con il tempo ho lasciato andare l’idea di dover arrivare, di dover raggiungere, di dover chiudere. L’idea che ci fosse un tempo specifico per fare o non fare. Ho invece accolto l’idea che anche le cose più importanti, a cui siamo più legati, a cui abbiamo dedicato la maggior parte delle nostre energie, della nostra volontà, del nostro amore, possano lasciarci, finire, dissolversi. E non saranno quelle che arriveranno con noi alla fine. Sono sicuramente intrappolato nella velocità con cui, anche il settore della musica, viaggia in questo momento. Spesso, per fortuna, non sto al passo, mi piace il fuoristrada, ma in ogni caso riconosco che influenza indirettamente il mio stato presente.

Hai vissuto alcune esperienze che pochi possono dire di aver fatto: due viaggi in bicicletta, uno in Marocco, l’altro dai Balcani alla Turchia. C’è qualcosa di quei giorni, di quegli odori, di quei suoni che ha influenzato, o pensi influenzerà, la tua produzione artistica?
Moltissimo di quello che succede in viaggio ritorna in quello che faccio. Viaggiare da solo in bici, per lunghissime tratte, mi mette davvero a nudo. Risulto vulnerabile, straniero ed esposto, ma anche curioso, innamorato di tutto e commosso. Ricordo bene i visi e le mani di chi mi ha aiutato, di chi ho incontrato sulla strada e con cui ho fatto un pezzetto di viaggio. Tutti i paesi, le cittadelle, i posti “di mezzo”, che mai avrei attraversato viaggiando in un altro modo. Ogni tanto mi succede di confondere i ricordi di un viaggio con quelli di un altro, i chilometri accumulati cominciano a essere davvero parecchi. Non ho mai scritto nulla di quello che vivevo in viaggio, né durante né dopo, non c’è traccia dei miei viaggi, se non dentro di me o in qualche finestrella aperta nelle mie canzoni.

Restiamo in qualche maniera all’estero: nel tuo brano Africano, canti: “Nasci dove nasci e muori dove vuoi”. Ecco, quanto ritieni relative le proprie origini e le destinazioni a cui si approda rispetto a tutto ciò che c’è nel mezzo, rispetto a un intero percorso di vita?
Le origini sono una ricchezza immensa, che forse stiamo perdendo senza accorgercene. Ovunque nel mondo, intendo. Magari è una mia sensazione, e sto sbagliando, ma la percezione che tutto stia diventando piatto, simile, sotto un unico grande tetto, è un sentimento che mi si ripropone ogni tanto. Non è ancora così, ovviamente, mi sembra però che la strada sia quella. Sarò contento, eventualmente, di essermi sbagliato. Poi chissà, le origini ci capitano addosso, non dipendono da noi ma da dove nasciamo, da chi nasciamo, però possiamo morire dove vogliamo creando nuove origini per chi verrà dopo. Allora siamo il principio e la fine al tempo stesso. Divino.

Pelle di lupo, selezionato dalla giuria di Musicultura per il tuo approdo tra i 16 finalisti del Festival, è invece un brano dalla carica sensuale molto esplicita. Perché hai scelto di dar voce senza filtri a un sentire tanto intimo come quello relativo alla sfera erotica, di cui spesso, al contrario di quanto fai tu nella tua canzone, si parla in maniera decisamente velata?
Parto dalla “pelle”, che è la prima a sentire del mondo: onesta, vera, finita, mortale, rovinata, usata. Mi immagino che parlerebbe così, senza filtri, come dice la domanda. Poi sono la testa e il cuore, che sono sotto la pelle, a fare casino. La natura più profonda che abita dentro di noi è come una bestia da domare. Parla un linguaggio diverso da quello umano, con modalità espressive differenti, che vengono spesso fraintese perché lontane dal processo evolutivo della nostra specie. Ogni tanto, però, nell’intimità di un gesto o di una confidenza, quella bestia si fa sentire forte e prepotente, lasciando le impronte del suo passaggio nella nostra vita e in quella di chi ci circonda. “Homo homini lupus”, dall’Asinaria di Plauto al De cive di Hobbes: oggi, chi siamo noi davvero, persone o ancora bestie?

INTERVISTA – Musicultura entra nella Notte di Silvia Lovicario

Nel percorso di Silvia Lovicario, la musica antica e quella contemporanea si fondono in una ricerca timbrica che si esprime anche nella scrittura dei suoi brani, sempre ricca di spazio per l’immaginazione. Con Notte, brano finalista di questa edizione di Musicultura, ha catturato l’attenzione per la sua capacità di trasformare l’ansia e il mistero dell’esistenza in una melodia che parla di relazioni, di scelte e di rinascita. In questa intervista, l’artista ci racconta il suo mondo, tra influenze musicali e futuro, in cui si immagina immersa nella natura, ma soprattutto, immersa ancora nella musica.

Silvia Lovicario alle Audizioni Live di Musicultura 2025

Partiamo dalla tua formazione: hai studiato al Conservatorio di Brescia e alla Hochschule für Musik und Theater di Monaco, fondendo gli insegnamenti di canto moderno e contaminazioni Jazz allo studio di uno strumento particolare come la viola da gamba. Come si traduce questa varietà di influenze sul palco?
Sicuramente la trasposizione nel live avviene a livello timbrico. La viola da gamba – per come è stata concepita, ovvero sia strumento melodico che armonico – è molto versatile e la gamma sonora si può ampliare con pochi accorgimenti tecnici; ma al di là della questione “fisiologica” dello strumento, probabilmente la “differenza” stilistica di ogni musicista e/o autore è data dagli ascolti e dalle esperienze musicali. Avendo avuto la fortuna di potermi affacciare su due mondi che sembrano essere molto distanti, il jazz e la musica antica, ho notato che le matrici di provenienza erano simili. Le tradizioni popolari da cui si sono poi formate le correnti stilistiche che noi adesso possiamo catalogare – Rinascimento, Barocco, Opera, Swing, Be Bop, Free Jazz ecc. – sono uno fulcro importante, soprattutto per quanto riguarda una ricerca timbrica e ritmica. La musica antica e soprattutto il repertorio per viola da gamba fondano le loro radici nella musica mediterranea e medio orientale, il jazz nella musica africana – con tutte le sue declinazioni -, sudamericana ed europea. In tutto ciò ovviamente sono figlia del XX secolo e il rock è un’espressione che mi ha sempre affascinato; perciò, in un qualche modo potrei definirlo la mia matrice di provenienza.

Notte è un brano ricco di immagini evocative e accenna a una relazione tra due persone, tra sorte ed eternità. Evocare, appunto, lasciar spazio al non detto: pensi che questo sia uno dei motivi per cui la giuria di Musicultura ha scelto proprio questo pezzo selezionandoti tra i 16 finalisti del concorso?
Credo, e spero, che Notte sia un brano più accessibile. Rispetto a Prima, per esempio, che è un brano molto ermetico e rivolto più all’interiore che all’esteriore, Notte l’ho scritto proprio rivolgendomi all’ altr*. L’ho scritto in un periodo di forte agitazione e ansia: stiamo vivendo veramente un periodo degno di un film distopico- fantascientifico; la notte è il momento del riposo, è il mistero, il paradosso dell’esistenza, il morire per rinascere. Ma cosa succede quando la luce non arriva più a svegliarci?

L’altro brano che hai presentato sul palco al Festival, in occasione delle Audizioni Live, è appunto Prima. Stavolta il testo si fa quasi enigmatico: cosa intendi quando parli di “linea di vita” che ti porta a scegliere?
Prima è un brano che parla del coraggio delle nostre scelte, di scegliere attivamente chi siamo e chi vogliamo essere. La “linea di vita” è quel momento in cui capiamo che siamo qui e abbiamo noi le redini del nostro progetto, nessuno verrà al posto nostro per decidere cosa fare, e questa presa di coscienza è molto forte, sembra difficile ma in realtà è naturale. La “linea di vita” è il dono che abbiamo ricevuto col nostro primo respiro, magari non l’avevamo chiesto e facciamo fatica a prendere questo “incarico”, ma, in fondo, è la direzione più naturale che possiamo perseguire.

La tua scrittura, ancora. E di nuovo i tuoi testi, brevi e metaforici, che lasciano molto spazio alla composizione musicale. Perché questa scelta?
Quando scrivo sento il bisogno di lasciare molto spazio alla musica, alle frequenze e alle evocazioni timbriche; così provo a concentrare in pochi versi il messaggio della canzone. Mi piace dare spazio all’ ascoltatore e rendere l’esperienza polivalente a livello semantico, così che ognuno possa leggere nei miei brani qualcosa di personale ma non troppo esplicito nei contesti.

Chiudiamo guardando al futuro: Silvia Lovicario tra 20 anni si vede a…
Aiuto, domanda difficilissima. Mhm, tra 20 anni avrò 52 anni. Dove mi vedo? Magari in una bella casa immersa nella natura, con la mia compagna e, visto che sto sognando, ci sarà ancora Lemi, il nostro cagnolino. Sicuramente starò preparando un nuovo tour.