La musica come “occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita”. L’intervista a Simone Matteuzzi, finalista di Musicultura.

Simone Matteuzzi, ventiduenne cantautore milanese, racconta alla Redazione del Festival come nascono le sue canzoni, navigando attraverso un’eterogeneità di stili alla ricerca del più adatto a esprimere la sua complessa soggettività. Il brano Ipersensibile, che gli ha aperto la strada tra i finalisti di Musicultura, esprime le difficoltà emotive nel cercare di vivere l’amore e relazionarsi con gli altri in un mondo che sottopone le persone a crescenti pressione e competitività.

Leggo nella tua biografia che hai già vinto nel 2018 il premio per cantautori della Fondazione Estro Musicale di Milano e nel 2022 il Premio “Ricerca e Contaminazione” della Pino Daniele Trust Onlus. Come stai vivendo l’esperienza di Musicultura e cosa rappresenta la partecipazione a questo festival nel tuo
percorso?
La partecipazione a Musicultura rappresenta una tappa importante nel mio percorso umano e artistico. Era da anni che sbirciavo timidamente le attività di Musicultura con grande stima e interesse, ma – forse come subendo una sorta di timore reverenziale – non avevo mai osato avvicinarmici, mettermi in gioco. Ora che ne ho avuto il coraggio si sta dimostrando un’esperienza fondamentale per la mia crescita. Mi emoziona molto far parte di un Festival in cui è posta così tanta attenzione alla canzone, e più in generale alla musica, come fatto culturale imprescindibile. Guardando “dall’alto” il mio percorso, mi sembra che l’opportunità di Musicultura si ponga in perfetta consequenzialità con le esperienze fatte finora; è un altro grande passo in avanti verso la costruzione di ciò che è per me la canzone: un’occasione costante di analisi, creazione e rielaborazione di tutti gli stimoli della vita, di ricerca concreta di se stessi e degli altri.

Sempre nella tua biografia hai dichiarato di esserti innamorato della black music, dei Pink Floyd, di Miles Davis e di Franco Battiato. In che modo questi artisti hanno influenzato il tuo percorso musicale?
Penso che la diversità in tutto ciò che ho ascoltato e assorbito negli anni sia alla base della mia “formazione” musicale. Vedo nell’accostamento di elementi differenti e nella loro pacifica convivenza la mia cifra artistica. Per descrivere la complessa architettura di una soggettività umana non penso sia sufficiente un solo stile musicale; per questo, nella mia musica confluisce naturalmente tutto ciò di cui mi sono innamorato e quello che rappresenta per me. Sono debitore alla black music, all’art-rock e al jazz: studiando la varietà di queste musiche negli anni ho imparato che con i suoni si può giocare, che il “sound” può parlare. Di conseguenza, l’accostamento di più sound, anche quasi ossimorici, in un solo brano può dipingere uno stato d’animo più articolato, complesso. Al contempo, mi sento emotivamente legatissimo al cantautorato italiano, particolarmente al lavoro di Dalla e Battiato, un esempio vivo di cultura nel senso più ampio del termine, che abbraccia la vita sotto ogni suo aspetto, saltellando con leggerezza dalla visione
spirituale a quella comica, giocosa.

Ipersensibile è il brano selezionato dalla Giuria di Musicultura. Sul sito della tua etichetta Zebra Sound leggiamo che “nasce in una fredda notte di sconforto provinciale e racconta la difficoltà emotiva del relazionarsi con persone e ambienti di una società sempre più performante”. Quali sono le difficoltà che un ventenne deve affrontare nella società di oggi?
Ipersensibile è arrivata come un vomito nevrotico dopo una lunga e sofferta nausea. Racconta appunto il disagio e la pressione che si avvertono quando ci si rende conto di essere inadatti. Nella mia esperienza di vita di giovane artista sento spesso questa pressione, anche nell’universo dell’arte, che talvolta sembra
ingiustamente fagocitato dalla forma mentis turbocapitalista che governa il mondo. L’ansia di dover arrivare o dover dimostrare di essere “meglio di” permea l’ambito creativo tanto quanto quello relazionale, sembra di dover avere sempre qualcosa da dire, di non poter accogliere il silenzio, la lentezza, che io reputo sacri. Talvolta questo turbinìo, avvertito in particolare modo in una città come Milano, sembra farcelo dimenticare riducendoci a degli esseri cinici e impauriti, per l’appunto ipersensibili ma coperti da una corazza di agitata indifferenza. Penso che l’intreccio di parole, suoni, velocità e impressioni che costituisce Ipersensibile descriva al meglio, almeno per quello che è il mio sentire, queste difficoltà emotive e cerchi in
qualche modo anche di esorcizzarle.

Durante le Audizioni Live di Musicultura hai presentato anche Zanzare, un pezzo, molto diverso da Ipersensibile, che racconta un sentimento più intimo e timido. In che modo vivi quello che hai definito come “dissidio interiore”?
Penso che ogni canzone tratti l’amore a modo suo. Se Ipersensibile racconta un “amore” davanti al quale si frappone uno scudo di negazione, cinismo e resistenza passiva, Zanzare accoglie l’amore e le difficoltà che si possono avere con esso. Non la definirei comunque una canzone “positiva”, persiste appunto un forte dissidio interiore, ma in questo caso viene espresso con più dolcezza, come infatti suggerisce la musica.
Ipersensibile non accoglie la situazione di sofferenza, la accetta con tragicità, dannazione; Zanzare, invece, apre uno spiraglio alla comprensione, alla tenerezza che può trasparire anche dalle situazioni più drammatiche. Come a dire: io sono così, la realtà che ci circonda è così, possiamo mettere nero su bianco i nostri dissidi e guardarli in faccia stando assieme anziché dannarci di una nevrotica solitudine. Proprio per questo il ritornello finale assume un aspetto corale, quasi liturgico, comunitario, e penso che questa sia la risposta migliore con cui accogliere ogni avvenimento: farlo insieme.

Rimaniamo in tema di Audizioni Live: in quell’occasione hai accompagnato la tua voce con la chitarra acustica, ma sui tuoi account social ti vediamo alle prese con diversi strumenti musicali. In che modo scegli quelli con cui accompagnare i tuoi brani?
Se potessi mi accompagnerei sempre con ogni strumento! Quello che ho avuto modo di studiare più approfonditamente negli anni è il pianoforte, ma per passione ed esigenza imbraccio spesso anche chitarra e basso. Proprio per questo motivo, non c’è una vera e propria scelta dello strumento da utilizzare per accompagnarmi dal vivo: penso ognuno di essi sia un mezzo per esprimere la propria umanità come lo è la musica in senso più ampio. Ho sempre amato sin da bambino giocare coi suoni e con le parole; più mezzi si hanno per fare questo gioco più sarà divertente. Ogni suono è un’opportunità e la tecnologia, il processing e la sintesi digitale dei suoni allargano queste opportunità pressoché all’infinito. Suono diversi strumenti
proprio per questo, per tuffarmi in questo sconfinato mare di opportunità con cui posso esprimere quello che sono e che scoprirò di essere.

“La musica mi aiuta a mettere in ordine i pensieri”: Cristiana Verardo a Musicultura 2023

Cristiana Verardo approda a Musicultura dopo una serie di progetti che la vedono partecipare a diversi festival musicali e tour internazionali. In questa intervista, la cantautrice e chitarrista salentina racconta alla Redazione di “Sciuscià” in che modo vive il suo rapporto con la musica, strumento di introspezione e di analisi delle sue esperienze ed emozioni.

Sappiamo che questa non è la prima volta che partecipi a un festival musicale. Nel 2019, per esempio, hai vinto il Premio Bianca D’Aponte. Cosa ti aspetti, ora, da un festival come Musicultura?
Non mi fa bene avere molte aspettative, preferisco vivermela e metterci tutto l’impegno possibile. Fino a ora Musicultura è stata un’esperienza bellissima e sono molto contenta che non sia finita al Teatro Lauro Rossi di Macerata, con le Audizioni Live: sono sicura che il meglio debba ancora venire e sono molto felice
mi sia stata data questa preziosa opportunità con la mia selezione tra i sedici finalisti del concorso.

La tua produzione musicale è molto sensibile alle tematiche sociali, in particolare a quella della disparità di genere. Guardando al mondo della musica, pensi che le donne abbiano ancora molta strada da fare?
Facendo riferimento alla disparità di genere in un’accezione più ampia pare sia arrivato il momento di potere avere la possibilità di percorrerla questa strada (anche se non in tutte le parti del mondo purtroppo), di poterla avere sotto i piedi. Eravamo in attesa ai “blocchi di partenza” da millenni! Per quanto riguarda la musica in Italia, i dati dicono che le cose stanno cambiando ed effettivamente me ne accorgo anch’io dalla presenza più consistente di artiste donne nei cartelloni di festival e rassegne, così come nelle classifiche, sempre in minoranza, ma almeno presenti!

Durante le Audizioni Live hai dichiarato che Ho finito le canzoni rappresenta “un segnalibro sulla prima pagina di un capitolo difficile della mia vita”. Il testo è infatti intriso di sentimenti contrastanti, dalla voglia di riscatto alla nostalgia contenuta nel verso “l’amore ci passa di fianco, non guarda nemmeno”. In che modo la musica ti è stata di supporto in questo periodo difficile?
La musica, soprattutto se la scrivo, mi aiuta a mettere in ordine i pensieri: di solito quello che scrivo è la verità più profonda delle cose che vivo. Scrivere mi mette a nudo e quindi mi aiuta a guardarmi veramente dentro.

 

3000 anni, che abbiamo ascoltato sempre durante le Audizioni Live del Festival, racconta invece una storia d’amore tra due alberi d’ulivo. Quanto sono importanti per te le radici salentine e quanto le troviamo nella tua musica?
Io sento di avere sotto i piedi delle radici elastiche che mi permettono di muovermi in libertà ma che alla fine mi fanno ritornare sempre da dove sono partita. Ho un attaccamento viscerale alla mia terra e mi piace raccontarla nella mia musica, a volte attraverso le sonorità, altre volte con le storie, come in 3000 anni.

Come ti prepari prima di salire sul palco? C’è un rituale, un gesto scaramantico, un portafortuna a cui ti affidi? Come cerchi la concentrazione prima di una performance?
Di solito ho bisogno di stare 10 minuti da sola per farmi un ripasso veloce di quello che dovrà accadere sul palco- Lo faccio per resettare, mi aiuta molto. E poi un gin tonic o un bicchiere di vino, anche quello mi aiuta molto.

“La musica può educare alla bellezza e alle intuizioni”: a tu per tu con Rosewood

Una vita dedicata allo studio e alla formazione in ambito musicale. Introspezione e sperimentazione.
Dall’amore per la sua regione ai progetti per il futuro. Giordano Conti, in arte Rosewood, conquista un posto tra i sedici finalisti della XXXIV edizione di Musicultura e si racconta così alla redazione di “Sciuscià”.

Sigarette, il singolo che hai presentato sul palco delle Audizioni Live di Musicultura, rappresenta un importante passaggio dalla tua carriera di chitarrista a quella di cantautore. Cosa ti ha spinto a prendere questa importante decisione?
Il passaggio dall’essere chitarrista all’essere cantautore è stato spontaneo e naturale. È semplicemente arrivato in seguito allo sviluppo di un forte interesse verso ambiti musicali a me prima quasi sconosciuti come quello della produzione, del canto e della scrittura. Tutto questo accade durante la quarantena, periodo nel quale ho avuto tempo di dedicarmi alla sperimentazione e in cui ho inconsapevolmente avuto uno stimolo che mi ha portato a conoscere parti più profonde di me. Penso che il cambiamento nello stile musicale sia conseguenza di questa introspezione.

Il tuo primo album, “Impersonale”, contiene solo tracce strumentali ed è un insieme di ambient e post rock. Hai realizzato poi diversi singoli dalla svolta pop con contaminazioni punk-rock, emo, trap e heavy-metal. In che modo coesistono tutte queste dimensioni sonore nel tuo progetto musicale?
Queste dimensioni sonore coesistono in quanto parte del mio percorso di studi e ascolti. Cerco sempre di inserire nella mia produzione artistica le influenze musicali dei diversi stili che ascolto e suono, in maniera più o meno evidente. Inoltre, parlando di “Impersonale” e dei singoli pubblicati successivamente, penso che ci sia uno stile chitarristico coerente e riconoscibile. Da Sigarette in poi cerco di fare in modo che queste sonorità, anche molto contrastanti, coesistano tramite l’espressione della mia personalità, del mio modo di scrittura e del mio stile
canoro. Detto in parole povere, Giordano (o “Rosewood”) è l’aspetto che accomuna tutta la mia produzione.

Hai partecipato all’edizione 2022 de “L’Umbria che spacca”, uno dei festival più conosciuti a livello nazionale che mette in luce i talenti emergenti della nuova scena musicale del territorio umbro. Cherapporto hai con la tua regione in generale e con la tua città (Terni) in particolare?
Adoro l’Umbria. La trovo stupenda da un punto di vista storico, naturalistico e artistico. È la terra nella quale sono cresciuto e nella quale ho stretto i legami con le persone che tutt’ora sono al mio fianco. La mia regione in generale mi ha dato bellissime opportunità per esibirmi, come appunto “L’Umbria Che Spacca” e un’altra importante situazione nella quale in futuro mi esibirò. Verso Terni ho invece un rapporto di amore – odio.  Terni è una città piena di personalità artistiche originali, variegate e di livello, ma ci sono pochi posti attrezzati a dovere che permettano agli artisti di esibirsi in maniera consistente. Fino a ora, ho sentito come se la città non tenesse abbastanza in considerazione e non apprezzasse i talenti musicali del territorio con la serietà che meritano. A ogni modo sembra che la situazione stia migliorando.

Hai dedicato tutta la tua vita alla formazione in ambito musicale. Come pensi evolverà il tuo percorso e quali progetti hai per il futuro?
La carriera artistica è sempre stata e rimarrà il mio focus principale. Ho deciso di affrontare un percorso di studi incentrato sulla musica per poter stimolare il più possibile la mia creatività e per conoscere approfonditamente la materia di cui ho deciso di occuparmi. Per il futuro ho in programma di scrivere tanti brani che siano sempre veri, suonare live il più possibile e fare del mio progetto artistico un lavoro a tempo pieno. Il percorso di studi che ho affrontato mi ha anche dato gli strumenti per essere un didatta. In futuro, contemplo la possibilità di avvicinarmi all’insegnamento, come già accaduto in passato. Trasmettere alle giovani menti la passione, la curiosità per la musica e gli strumenti critici per amarla e comprenderla sarebbe una grande soddisfazione personale; un buon insegnante può cambiare in meglio la vita dei suoi studenti e fare la differenza. Nell’ambitodella formazione personale, ho intenzione di frequentare nuovamente il conservatorio per dedicarmi allo studio del contrabbasso.

Manifestare la propria anima e tutto quello che di più profondo c’è in noi stessi a volte sembra impossibile o comunque estremamente difficile. Tu ci riesci attraverso la musica. Affermi che “la forma frivola non esclude un contenuto profondo, una dose di forte ansia e agitazione”. Credi che la musica abbia un potere curativo?
Credo che la musica sia un mezzo comunicativo molto potente. Oltre ad avere potere curativo, la musica e le parole sono in grado di plasmare le menti. Per questo motivo credo che alcuni argomenti vadano affrontati con più profondità da parte degli artisti e che, in generale, tutti dovrebbero fare molta attenzione al contenuto dei propri testi, cercando sempre di mandare messaggi che stimolino una riflessione o una soluzione pur non escludendo l’esternazione del problema. Come spesso accade nella musica pop gli ascoltatori sono giovani menti in processo di formazione, molto recettive per tutto quello che viene esternato dai mass media e spesso sprovviste di strumenti critici che permettano loro di comprendere il senso e la serietà di quello che ascoltano e vedono. Gli artisti sono fonte di ispirazione e possono diventare modelli costruttivi ma anche distruttivi. L’azione propedeutica della musica può aprire la strada a parti più profonde dell’essere umano e può educare la mente alla bellezza e alle intuizioni, pur non condizionando il pensiero e la libertà di agire di ogni singolo individuo. Per certi versi anche questa è una forma di guarigione.

Mira a Musicultura 2023: “In ogni azione c’è musica, basta solo saper ascoltare”

Originaria di Casapulla (Caserta), Mira, all’anagrafe Miriana D’Albore, prende lezioni di canto sin dall’età di 9 anni, per poi proseguire gli studi al Saint Louis College of Music di Roma e perfezionarsi in canto pop. La profonda curiosità musicale e la sperimentazione di generi e sonorità differenti la portano
a vivere esperienze quali Area Sanremo e X-Factor 15, fino al concerto del Primo Maggio a Roma nel 2022.
Oggi il suo nome appare tra quello dei 16 finalisti della XXXIV edizione di Musicultura e, per l’occasione, racconta alla Redazione di “Sciuscià” il suo legame indissolubile con la musica.

Da Caserta a Macerata. Come sei approdata a Musicultura e in cosa pensi si differenzi rispetto ad altri contesti musicali da te già sperimentati?
Conosco da tempo Musicultura, credo che sia una bella opportunità per chi come me è ancora agli inizi della propria carriera, basti pensare agli artisti che hanno fatto la storia di questo concorso. La cosa che più mi ha attratto è stata l’attenzione che i giudici riservano ai concorrenti, cercando di comprenderne i tratti distintivi, le peculiarità del progetto e le sfumature della personalità artistica.

Il brano Morire con te presentato alle Audizioni descrive la figura di una donna completamente padrona del suo corpo e protagonista delle sue azioni. Nella vita quotidiana quanto ti senti vicina, o ancora distante, a questo tipo di libertà femminile?
Ogni giorno cerco di avvicinarmi sempre più alla figura di donna ideale e forte descritta nel testo, ma sicuramente non è facile. Penso che ogni donna, anche al giorno d’oggi, debba continuamente scontrarsi con pregiudizi e tabù, che però allo stesso tempo la rendono più decisa e determinata. In Morire con te è la donna a prendersi gioco impavidamente di chi si permette di essere “molesto” e, più in
generale, delle varie forme di stereotipi di genere. Mi auguro che possa essere d’ispirazione per tutte quelle ragazze che ancora non si rispecchiano in una condizione di piena libertà femminile.

Da cosa nasce la curiosità per l’elettro-pop e la sperimentazione continua che ne deriva?
L’attrazione per l’elettro pop nasce innanzitutto dal genere di musica che ascolto – Björk, The Chemical Brothers, Labrinth – anche se non mi limito solo a un genere, cercando sempre di spaziare alla scoperta di nuove sonorità. Sicuramente è stato determinante anche l’incontro con il mio producer che, lavorando su questo tipo di musica, mi ha permesso di sperimentare e intensificare la mia passione.

Parliamo del potere curativo dell’arte. In interviste precedenti hai accennato al rapporto viscerale costruito con la musica, psicologa capace di ascoltare e accarezzare i pensieri. Ti va di descriverci meglio questo legame terapeutico?
La musica è la mia psicologa personale perché quando la vita mi presenta delle sfide da affrontare o una scelta difficile da prendere, mi rivolgo a lei convinta che sappia mostrarmi sempre la strada corretta da seguire. Non mi separo mai dalle mie cuffiette, sono a contatto con la musica in ogni momento della giornata e sfrutto ogni occasione per prendere nota di qualche pensiero o di qualche melodia che sviluppo poi al pianoforte. Il legame che ho con la musica è molto forte, sicuramente terapeutico, cerco di esser sempre in ascolto. In ogni cosa che facciamo, in ogni singola azione, anche se non ce ne accorgiamo, c’è sempre musica, basta solo saper ascoltare. Non riesco a immaginare una vita senza
musica.

Lo spazio musicale per eccellenza è senz’altro il palco, ma ogni luogo può trasformarsi in vetrina artistica se si ha di fronte almeno un paio d’occhi volenteroso di ascoltare. Quale spazio, che non sia un palco vero e proprio, ricordi di aver riempito con maggiore soddisfazione attraverso la tua musica?
È vero, cantare su un palco, di per sé, dà una grande soddisfazione, ma sono altrettanto convinta che ogni momento possa diventare una vetrina artistica: anche quando, magari, degli amici o dei parenti mi chiedono di cantare per loro, in contesti quindi molto diversi da un palcoscenico. Ogni volta sono ben felice di farlo, anche quelle sono occasioni che mi danno un’enorme gratificazione, con la speranza di aver donato con la mia musica belle sensazioni e buoni sentimenti.

“Quando scrivo, cerco di farmi attraversare dall’arte”: a tu per tu con AMarti.

Rock-blues, musica folk, poesia e arte di strada. Quello di AMarti è un continuo viaggio alla ricerca di se stessa e della propria felicità motivato da un forte bisogno di esprimersi con emozione, purezza e onestà. Il suo progetto artistico, nato nella provincia ferrarese e fiorito in Scozia, conquista un posto tra i sedici finalisti di Musicultura.

Hai vissuto per alcuni anni in Scozia. In che modo questa esperienza ha contribuito alla tua formazione musicale e cantautorale?

Quando sono andata in Scozia cercavo una via d’uscita dalla persona che ero diventata in Italia. Amavo cantare ma credevo di non avere il coraggio di farlo. Glasgow aveva tutte le opportunità per lanciarsi nel mondo della musica: jam session rock, blues, musica folk e arte di strada. Ricordo bene la mia prima volta a un open mic. In quel momento sentii una forte sensazione di completezza. Trovai finalmente una risposta alla domanda che ricorreva insistentemente in quegli anni: “Cosa vuoi diventare?”. Da lì è iniziato tutto. Prima cover rock-blues e soul, poi ho seguito un corso di music performance in un college di Glasgow e successivamente ho iniziato a scrivere testi inediti e melodie vocali per alcuni gruppi. Ogni tanto in quel periodo abbracciavo timidamente la chitarra per creare canzoni completamente mie, sperimentando uno strumento che conoscevo pochissimo.

Sei una busker. Dici che “la strada è un posto dove le persone possono fermarsi o non fermarsi, apprezzare o non apprezzare quello che si fa. Per me è un continuo esperimento, un buonissimo allenamento”. Come questo aspetto del tuo essere artista ti aiuta ad affrontare contesti musicali come quello di Musicultura?

In fondo il bisogno è lo stesso: esprimere me stessa completamente con emozione, purezza e onestà, sperando di attraversare gli altri, in piazza o in teatro.

Sul palco delle Audizioni Live hai presentato il singolo Pietra, un richiamo alla forza della natura in contrapposizione alla fragilità dell’essere umano. La tua è una musica che fluisce e batte a ritmo del cuore di chi la esegue. Quanto credi sia importante per un artista che fa musica raccontare la propria verità e le proprie fragilità nelle canzoni?

Credo che un’artista ne abbia un’intrinseca necessità, fa parte del suo essere. Questa ricerca è dolorosa perché ci fa scoprire parti fragili della nostra personalità e sofferenze che ci impediscono di essere pienamente felici, noi stessi e quindi verità. Vivere queste emozioni significa accoglierle con pazienza. Pietra ha significato questo. Affidandomi all’amore, rappresentato dalla forza della natura, ho scoperto in me una grande fragilità che poi ho saputo trasformare in forza.

Sei un’artista a tutto tondo. Oltre alla musica ti dedichi anche alla pittura e alla poesia. Come concili questi lati diversi della tua creatività e in che modo si contaminano tra di loro?

Cerco di usare la pittura ogni volta che rendo pubblica una canzone. A ogni brano abbino un quadro che si anima tramite una applicazione del cellulare. La pittura ha avuto anche una sua vita indipendente così come la poesia, nata qualche anno fa e sbocciata quando mi sono innamorata per la seconda volta del mare di casa, Porto
Garibaldi. Di recente le poesie che compongo spesso diventano i testi delle mie canzoni, come nel caso di Pietra.

Ti definisci una “cantautrice dream folk”. Quanto il folklore è presente nella tua musica e in che modo si declina nella composizione e nella stesura dei brani?

Quel termine me lo sono inventato. Sento in me un richiamo popolare antico unito a una sensazione sognante. Quando scrivo, cerco di farmi attraversare dall’arte. Nel farlo forse c’è sempre qualche antenna settata sulla musica araba, medievale, balcanica, bulgara, italiana del sud, celtica.

Il richiamo dell’istinto animale attraverso il rap-rock: Ferretti a Musicultura 2023

Maceratese di nascita e romano di adozione, Ferretti muove i primi passi artistici grazie agli studi in ambito teatrale, per poi approdare alla composizione musicale nel 2019 e sviluppando da qui i suoi progetti inediti. Nell’aprile 2021 l’incontro col produttore Andrea Mei dà vita a un sodalizio fondamentale per l’espressione della sua anima rap-rock, embrione dell’ultimo EP ora in cantiere e atteso per l’estate.
È proprio questa sua ricerca di «istintività e sensitività» che gli apre le porte della seconda fase del Festival, portando il suo nome tra i 16 finalisti di Musicultura 2023.
Alla Redazione di “Sciuscià” Ferretti si racconta così.

Ripartiamo dalla prima tappa live del Festival, quella delle Audizioni: com’è stato calcare il palco del Teatro Lauro Rossi di Macerata?
Le Audizioni Live sono state una bellissima esperienza, non mi aspettavo un clima così affiatato: i ragazzi che lavorano al festival sono fantastici e pieni energia, mi sono sentito coccolato dalle mille attenzioni riservate a noi artisti, quasi in imbarazzo, francamente non credo di meritarle.
Inoltre suonare in teatro è sempre magico, specie al Lauro Rossi, dato che Macerata è la città dove sono cresciuto: è stato un onore, per quello che rappresenta Musicultura.

Nel brano Sorgono canti «presentami queste tue storie […] parlo di gente»: in che misura l’ascolto di esperienze altrui arricchisce la stesura dei tuoi testi e in che modo ti rapporti a queste quando ti vengono raccontate?
Diciamo che l’ascolto mi arricchisce in generale, indipendentemente da ciò che poi riesce a generare. Credo che sia fondamentale essere aperti, reattivi e ricettivi, curiosi nei confronti del mondo e del prossimo, per poterne cogliere i dettagli: non sempre questo porta direttamente a un testo o a una canzone, ma sicuramente aiuta a stimolare la creatività.
Per come “funziono” io è essenziale fare esperienza diretta delle cose, dove possibile, anche solo per avere un’intuizione su cui poter lavorare.

Come hai spiegato in più occasioni, il tuo prossimo EP rappresenterà l’unione tra rap e rock, con focus particolare sul recupero di istintività e sensitività. Per definizione la sensitività è capacità di sentire, percepire gli stimoli attraverso i sensi: quale tra i cinque sensi riconosci come essenziale per entrare in contatto col tuo istinto, con la natura, e poi con la scrittura?
Quando parlo di istinto mi riferisco a una peculiarità animale, che non è propria del genere umano, o forse è solo sopita. Ciò che mi affascina è la capacità di poter sentire indipendentemente da dove sia rivolto il nostro focus, per esempio: se camminassimo alle spalle di un gatto, anche facendo attenzione a non fare rumore, quasi sicuramente lui si accorgerebbe di noi prima che riuscissimo a raggiungerlo.
Spesso quando ci sentiamo osservati, lo siamo davvero: se qualcuno ci fissa bastano pochi secondi e senza neanche accorgercene, naturalmente, alziamo lo sguardo e lo rivolgiamo verso il soggetto in questione. Ecco, io vorrei poter perfezionare questo tipo di sensibilità, con la consapevolezza che non
sarà mai pienamente controllabile. I sensi più utili in questi termini sono quelli che ci permettono di agire al di là del nostro spazio, della nostra chinesfera: quindi olfatto, vista e udito.

Il regista britannico Peter Brook ha descritto i tre elementi necessari all’esistenza del teatro: uno spazio vuoto da riempire, un attore in movimento e uno spettatore che gli rivolga l’attenzione. Il legame è tra persone capaci di condividere lo stesso tempo e spazio e di generare arte. Come percepisci la presenza del pubblico, sia teatralmente che musicalmente?

Tutto accade sempre e solo grazie a un legame tra persone, ancora meglio se capaci di condividere: nello spettacolo dal vivo questa è una caratteristica fondamentale in quanto genera momenti irripetibili.
La percezione che si ha del pubblico dipende dall’energia messa in campo prima dall’artista a cui viene o meno restituita: è qualcosa che si sente e non si spiega, si sente se c’è e forse ancora di più quando manca, perché l’assenza per certi versi è più potente della presenza. L’unica certezza è che quando delle anime manifestano la propria volontà di incontrarsi, come nel caso di artista e pubblico, qualche cosa
succede sempre.

“La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia”: così cantava Guccini. Ecco: com’è per Ferretti, invece, il vivere in provincia?
Per essere chiaro, mi cito da solo: “Come una pentola di fango che ribolle dove corpi senza volto ci trascinano sul fondo”. Per me vivere in provincia è allo stesso tempo la cosa migliore e peggiore che mi sia capitata. Il rapporto che ho con il posto in cui sono nato e cresciuto alterna momenti di amore e odio, entrambi vissuti visceralmente. Ciò che amo è sotto gli occhi di tutti, ciò che odio solo sotto quelli di chi ci vive: parlo di un vento di rassegnazione costante, non delle persone, ma di un fenomeno sociale.

Svelati i primi ospiti delle serate finali del Festival

Fabio Concato, Ermal Meta, Santi Francesi, Paola Turci, Chiara Francini e Dardust sono i nomi dei primi ospiti che Musicultura annuncia oggi in vista della fase conclusiva della XXXIV edizione del Festival della Canzone Popolare e d’Autore. Le loro performance si intrecceranno sul palco dello Sferisterio, il 23 e 24 giugno, con le esibizioni degli otto giovani artisti vincitori del Concorso, la cui rosa e attualmente in via di formazione definitiva.

A dare il la all’atmosfera speciale e composita che caratterizza da sempre le
serate finali di spettacolo della manifestazione sarà Flavio Insinna, per la prima volta alla conduzione di Musicultura.
Venerdì 23 giugno andranno in scena Fabio Concato, Santi Francesi (già vincitori
assoluti di Musicultura 2021 con il nome The Jab e recenti vincitori di X Factor), Paola Turci e Chiara Francini. Nella finalissima di sabato 24 giugno sarà la volta di Ermal Meta e Dardust.

“Presto comunicheremo i nomi di altri ospiti, altri li lasceremo scoprire direttamente sul palco dal pubblico, perché non abbiamo perso il gusto della sorpresa – commenta il direttore artistico Ezio Nannipieri – Agli ospiti che annunciamo oggi va la mia sincera gratitudine: come sempre faremo il massimo per metterli artisticamente e umanamente a loro agio. Tra loro ci sono graditi ritorni e prime volte a Musicultura; in tutti c’è una sostanza espressiva e di contenuti di cui il pubblico afferra l’importanza, perché alla prova dei fatti è quella che fa la differenza tra un’emozione che vibra e un’emozione che latita.”

Gli otto artisti vincitori del concorso si esibiranno tutti e otto sia venerdì 23 sia sabato 24.
La somma dei voti del pubblico delle due serate consacrerà il Vincitore assoluto della XXXIV edizione, al quale andrà il Premio Banca Macerata di 20.000 euro.

I biglietti per assistere alle serate finali di Musicultura sono disponibili alla biglietteria dei Teatri di Macerata, in tutte le biglietterie Vivaticket e online su vivaticket.com.

Il sogno di un cassetto: Nervi tra i finalisti di Musicultura 2023

Il rock underground, il pop, l’elettronica, il cantautorato. Il disordine, le cianfrusaglie sparse per la scrivania, la timidezza, la ricerca di sé. Eppure, proprio dalla consapevolezza di non potersi definire e da quel continuo oscillare e correggere bozze che è il mestiere dell’artista, emerge il ritratto di una
personalità nitida. Quella di Elia Rinaldi, in arte Nervi, un cantautore versatile e ricco di sfumature: le “sfumature emozionali”, quelle che si possono leggere in controluce nei suoi testi; le sfumature acustiche, quelle dei diversi generi che la sua musica ha attraversato e fatto proprie. Dice di non avere sogni nel cassetto, ma di sognare il cassetto. Forse perché le idee e le esperienze che ha alle spalle sono
già molte e difficili da contenere: dai Finister all’esordio da solista, dal Rock Contest Controradio al Concertone del Primo Maggio, dalla vittoria del contest Musica da Bere a quella del Premio Buscaglione, da X Factor a Musicultura. Tutto questo confluisce nel “Tragicpop”, il genere inventato con cui definisce scherzosamente la sua musica.
Sapessi che cos’ho è il titolo del brano con cui è stato selezionato per il Concerto dei Finalisti di Musicultura. E questa è l’intervista rilasciata alla redazione di “Sciuscià”.

Partito dall’underground fiorentino, hai suonato per dieci anni con la band Finister, per poi esordire come solista nel 2019 al Rock Contest Controradio. Più volte premiato dalla critica, l’anno scorso sei approdato sul palco di X Factor come frontman di una band e quest’anno su quello di Musicultura come solista. Raccontaci della tua evoluzione artistica: c’è un filo conduttore che tiene insieme tutte queste esperienze?
Non c’è un filo conduttore. Sono un ragazzo di 27 anni, come per tutti i miei coetanei, il Covid ha colpito in un’età fondamentale e alcune scelte che ho fatto sono state dettate dalla paura e dalla eccezionalità della circostanza. Ho vissuto comunque alcune esperienze bellissime e mi sento fortunato ad aver fatto più di venti concerti nell’estate 2021. Adesso finalmente mi sento più maturo e anche più
stabile emotivamente, sono contento che Musicultura coincida con questo periodo.

La tua musica risente di diverse influenze: rock underground, pop, elettronica, cantautorato. Se dovessi coniare un nuovo genere musicale per descrivere la tua identità artistica, quale sarebbe?
Un po’ per divertimento in occasione del mio esordio per descrivermi ho coniato il termine “Tragicpop”. È così difficile definirsi che il modo migliore è farlo con dei canoni inventati. In questi mesi sto cercando di sintetizzare le mie influenze, credo di aver capito che tra le cose che ho fatto ce ne sono alcune che mi piacciono più di altre.

Un tipo timido è il titolo del tuo primo EP. Nella vita ti consideri così, un tipo timido? E nella musica credi che la timidezza sia un limite o una ricchezza?
Mi definisco un tipo timido, anche se in molti contesti non lo sono. Solo le persone che mi conoscono bene sanno quanto sono timido. Credo che per la musica qualsiasi sfumatura emozionale sia una ricchezza, poi per la “carriera” musicale è un altro paio di maniche.

Sei stato selezionato dalla giuria di Musicultura per il Concerto dei finalisti con il brano Sapessi che cos’ho. Chi è l’interlocutore – reale o ideale – a cui racconti la tua fragilità in questo dialogo intimo e malinconico?
Sembra strano, ma chi sia il mio interlocutore in questa canzone non l’ho mai capito! Mi piace pensare che qualcuno si possa rivedere nelle mie parole, farle proprie e leggerci ciò che sente più personalmente. Le interpretazioni migliori sono quelle lontane da me.

Sogna baby sogna è il tuo ultimo singolo. Hai qualche altro progetto in cantiere o – per restare in tema – un sogno nel cassetto per il futuro?
Sto lavorando al mio primo disco e sono felice, perché dopo tanti anni di sperimentazione sento di avere un suono in cui mi sto identificando. Dove vivo in questo momento, ho una scrivania senza cassettiera che si è riempita di cianfrusaglie. Non riesco a trovare mai nulla. In questi giorni il mio sogno nel cassetto è il cassetto.

Musica “a un passo dalla frenesia”: Frenesi tra i finalisti di Musicultura 2023

La carriera dei Frenesi è agli inizi eppure già densa di esperienze: l’apertura di concerti di Marlene Kuntz e La Rappresentante di Lista al Climate Social Camp, il workshop di scrittura con Willie Peyote, quest’anno la partecipazione a Musicultura. Il progetto, inizialmente solista – della cantante Martina -,
nel 2022 si trasforma in collettivo, con una ricerca stilistica che trae linfa dalla mitologia classica e norrena: un’alchimia di suoni e immagini richiamata spesso nei testi, che sono ricchi di simboli, riferimenti mitologici e giochi linguistici in latino. Ogni fonte di ispirazione esterna è sapientemente resa propria e cucita sul vissuto personale. Il repertorio della band è infatti permeato da una grande
sensibilità e dalla volontà dei componenti di mostrarsi veri, autentici, intensi. Vivono le emozioni in maniera viscerale e le rilasciano attraverso una musica liberatoria che loro stessi definiscono “a un passo dalla frenesia”. Raccontare la bellezza e l’amore comporta perciò il doloroso passaggio attraverso la punizione, la vendetta, la sofferenza. La musica diventa il canale privilegiato per donare all’ascoltatore frammenti autentici di sé e riunirli in un’anima unica, la stessa a cui hanno dato voce in questa intervista con la Redazione di “Sciuscià”.

Per cominciare, raccontateci la vostra storia. Come nasce il progetto Frenesi e qual è il significato del vostro nome?
Frenesi nasce come progetto solista della cantante Martina, che successivamente decide collaborare con altri musicisti per ampliare la sua ricerca sonora, fino a giungere all’identità ormai collettiva del progetto. Così conosce Francesca (batterista), Alessandro (chitarrista) e Guglielmo (bassista). Il nome della band
è dato dall’unione tra Freya, dea molto rinomata nella mitologia norrena e personificazione della bellezza e dell’amore, e Nemesi, dea che nella mitologia greca e latina rappresenta la personificazione della vendetta. Frenesi è un progetto musicale a un passo dalla frenesia: la vendetta e la punizione dell’amore; la giustizia, l’interpretazione della punizione di un estremismo bello, sensuale e fertile.

Nei vostri brani parlate spesso di sofferenza, disturbi mentali, ma anche di cura. Per voi la musica è più una manifestazione di malessere o un processo di guarigione?
Sicuramente il processo di scrittura è in sé lo sfogo, la manifestazione del malessere. Il processo di guarigione si attiva nel momento in cui suoniamo i nostri brani, con la consapevolezza di aver attraversato un periodo difficile che ci ha permesso di crescere e donato esperienze di vita. Poi, lo stare insieme in sala prove e condividere esperienze è già un processo di guarigione!

Avete condotto un workshop di scrittura con Willie Peyote. Vi va di raccontarci come vivete il processo creativo? Quando componete un brano nasce prima il suono o la parola?
Solitamente è Martina, la cantante, a occuparsi della composizione testuale, e tutti gli altri membri del gruppo si occupano della composizione musicale. Martina comincia a scrivere delle frasi “input”, su cui successivamente si lavora tutti insieme in sala prove e lì le parole si creano di pari passo con la musica!

Ecco, Martina: questa domanda è tutta per te. E non sai a chi appartengono le tue emozioni / Falli tuoi tutti questi frammenti: in Deja, il brano selezionato per il Concerto dei finalisti di Musicultura, si parla di identità frammentata, di riconoscimento di sé allo specchio e del dolore che risulta dalla frantumazione dell’io in tante schegge taglienti. Quale frammento di te affidi al tuo progetto musicale e qual è il rapporto tra la vita di Martina e l’arte di Frenesi?

La cosa più bella, ma soprattutto più vera, che mi viene da dire è: con la musica c’è la reintegrazione di tutti i frammenti. Non c’è un unico pezzo che affiderei al progetto, ma è un’anima completa che parla da sé. Sicuramente all’interno dei brani ci sono molte strutture autobiografiche che hanno fatto sì che il progetto Frenesi diventasse una lama. Sta poi all’ascoltatore immaginarla come meglio crede: se affilata o con la punta spezzata.

In passato avete aperto concerti di grandi artisti come La Rappresentante di lista e Marlene Kuntz. Che ricordo conservate di queste esperienze e con quali musicisti vi piacerebbe esibirvi in futuro?

L’apertura di questə grandi artistə è stata un’esperienza a dir poco formativa e bellissima. Abbiamo tantissimi progetti ma soprattutto tantissimi gusti diversi. Sarebbe un sogno aprire artistə di grosso calibro come Paolo Nutini e Blink 182.

“L’apertura a diversi orizzonti è la base per costruire la propria unicità”: Michele Braganti a Musicultura 2023

Michele Braganti, studente, paroliere e polistrumentista nato nel 2002, nonostante la giovane età ha le idee ben chiare: parole e musica sono la sua strada. La sua passione nasce alle elementari: comincia con gli studi di pianoforte e di chitarra moderna, poi, a 15 anni, approccia anche al canto e alla scrittura. Partecipa
al programma Rai Sanremo Young, edizione 2019, e l’anno successivo vince il premio speciale al concorso “Il primo giorno del giorno nuovo” di Simone Cristicchi. Molto importante è la collaborazione musicale con il Professor Andrea Franceschetti, grazie alla quale sono nati diversi brani: il primo, Ma-tu-Maturità?,
dedicato ai maturandi d’Italia del 2020, ha riscosso sui social un successo enorme, tanto da ricevere dei complimenti davvero inaspettati: quelli del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Ora, su quella strada fatta di musica e parole, è tempo di fare tappa a Musicultura.
Questa l’intervista rilasciata alla redazione del Festival.

Sul palco del Teatro Lauro Rossi, in occasione delle Audizioni Live di Musicultura, hai dichiarato di ispirarti a importanti figure del cantautorato italiano come Dalla, de Gregori, Niccolò Fabi, Brunori Sas. In cosa ti senti vicino a loro e dove, invece, emerge la tua individualità creativa?
I grandi cantautori del passato sono da sempre stati dei punti di riferimento per la mia crescita artistica. Artisti come Brunori e Fabi sono delle scoperte più recenti che mi affascinano per il loro modo di scrivere e comporre. Ciò che apprezzo di più in loro e che cerco di fare mia è la scelta delle tematiche, mai banali, sempre di un certo spessore; sono dell’idea che una canzone non vada sentita passivamente come spesso si fa, una canzone va ascoltata e deve lasciare qualcosa su cui riflettere, quel qualcosa che fa sì che l’ascoltatore diventi partecipe tanto quanto l’autore e il compositore. D’altra parte sto cercando di far emergere la mia vena creativa dal bagaglio di esperienze di vita, e dalla mia attitudine al non essermi mai
limitato a un solo pensiero, un solo genere di ascolti, di letture, di interessi; credo fermamente che l’apertura a tanti e diversi orizzonti sia la base per costruire la propria unicità, la propria originalità.

Negli ultimi anni di scuola è iniziata la tua collaborazione con un insegnante del liceo scientifico “Città di Piero” che hai frequentato. Quanto è stato importante, soprattutto nel periodo del lockdown, il sostegno e il coinvolgimento da parte del Professore Andrea Franceschetti, alias DJ Prof, per la tua crescita personale e artistica?

Frequentando la facoltà di lettere all’università, ho molto a cuore la figura del professore e dell’importante ruolo che ha nella formazione dei ragazzi in un momento di crescita determinante. Credo che il ruolo più difficile di un insegnante sia quello di trasmettere ai propri studenti quello che nessun libro di scuola
contiene e il professor Andrea Franceschetti è una di quelle persone che mettono a disposizione tutta la loro anima e il loro impegno per riuscirci. E ci riescono. Posso affermare che la nostra è un’amicizia, nonostante io non riesca ancora a distaccarmi dalla formalità del “lei”; un’amicizia che ci ha portato a collaborare per la realizzazione di ben tre inediti, il primo in particolare durante gli anni della pandemia da COVID. Sicuramente la ricorderò per sempre come un’esperienza straordinaria di rinascita e di confronto, specialmente considerando che la nostra collaborazione è nata in un momento in cui erano limitate sia la possibilità di vivere l’arte e la musica, sia l’occasione di stare a contatto e in sintonia con le altre persone, due aspetti fondamentali per chi, come me, vive di questo.

Non ti definisci un cantautore, ma un polistrumentista e un paroliere; da cosa deriva questa scissione? Quando componi una canzone nascono prima le parole o la musica?

Tengo molto a scindere i due ruoli di compositore e paroliere, innanzitutto per presentarmi fin da subito sia  come autore che compositore della maggior parte dei miei pezzi, in secondo luogo per distinguere due passioni che ho iniziato a coltivare in due momenti diversi. Infatti i miei studi di musica sono cominciati all’età di sette anni con il pianoforte classico, successivamente mi sono approcciato alla chitarra moderna e all’età di 15 anni ho iniziato a scrivere e comporre le mie canzoni. Nonostante questa scissione, nel momento in cui creo le mie canzoni preferisco sempre avere lo strumento con me e scrivere assieme testo
e musica, lo ritengo il metodo più efficace per rendere il prodotto finale più omogeneo possibile, anche se non ci sono regole e spesso l’approccio dipende anche dalla diversità dei casi.

La canzone con cui sei stato selezionato tra i 16 finalisti di quest’edizione di Musicultura, La migliore soluzione, sembra essere un invito a spogliarsi di tutte le strutture precostituite, e a ricercare “la migliore soluzione” nel “sorriso di un amico”. Che cosa è l’amicizia per te, e quanto, secondo te, può essere difficile trovare un vero amico?

Molto spesso, specialmente oggi, succede che le persone pongano il proprio ego, la reputazione, le maschere che tutti i giorni si costruiscono addosso alla base del loro mondo, dimenticandosi che la felicità sta nelle piccole cose, come il sorriso di un amico. L’amico vero è quello con cui puoi essere sempre te stesso, senza temere alcun giudizio, quella persona che riesce a farti stare bene sia nei momenti di gioia sia in quelli pessimi e per aiutarti a risalire dal fondo è disposto a raggiungerti anche alle 4 di notte. Sono sempre stato convinto di quanto sia alto il valore dell’amicizia, l’amicizia vera, forse ancora più dell’amore, motivo per cui, se è difficile trovare la persona giusta che ti stia accanto per tutta la vita, è ancora più
difficile trovare un amico sincero, che non si definisca tale per i propri interessi.

Aggrapparti con un dito, il secondo brano che hai cantato alle Audizioni Live, è un pezzo che hai definito “più intimo”. Da quale esigenza è nata questa canzone?

Aggrapparti con un dito è la metafora della rivincita sulle occasioni perse e sui legami spezzati, la metafora di quegli sforzi ultimi che si tentano per riprendere in mano ciò che si è ignorato o lasciato andare per troppo tempo. Mi rendo conto che potrebbe sembrare un tema troppo maturo vista la mia giovane età, ma una canzone non nasce sempre e soltanto dalle esperienze di vita di chi scrive: spesso le canzoni sono storie di vita di altre persone. La condivisione di un sentimento, di un momento di vita, è la base da cui nasce il legame invisibile ma altrettanto magico, potente e unico nel suo genere tra l’artista, la sua musica e l’ascoltatore. Dunque potrei affermare che Aggrapparti con un dito nasce dall’esigenza di mettere tante
persone, compreso l’io di domani, di fronte alla possibilità di riprendersi in mano la propria vita e risalire dal fondo dei propri errori.