Con il brano Ghali, Anna Castiglia è la vincitrice assoluta della XXXV edizione di Musicultura. A lei, la Targa Banca Macerata da 20.000 euro.
A Eugenio Sournia vanno sia il Premio PMI – Miglior Progetto Discografico che il Premio della Critica dedicato a“Piero Cesanelli”, ideatore e co-fondatore del Festival.
Ad Anna Castiglia spetta anche il Premio per il Miglior Testo assegnato dalla giuria universitaria composta dagli studenti degli atenei di Macerata e Camerino, per “la qualità stilistica, la capacità di far dialogare ironia e critica in un’analisi lucida del nostro tempo, per aver fatto convivere la leggerezza dei cantastorie e la chiarezza di una voce che non teme di cantare ciò che nella società non funziona”.
Quest’anno è stato istituito un nuovo riconoscimento, il Premio La Casa in riva al mare, assegnato dai detenuti della Casa di reclusione di Barcaglione. “Per la poesia di una canzone, di un testo di una voce che parlano di amore in modo diretto, originale, profondo” hanno deciso di premiare Helle con la sua Lisou.
Spazio poi a un’onorificenza volta a celebrare un incredibile percorso artistico. L’Università di Macerata e l’Università di Camerino premiano Enzo Avitabile, per la qualità e la coerenza della sua arte.
“Ha collaborato e scambiato esperienze con i più grandi artisti italiani e internazionali, componendo canzoni, colonne sonore, brani per orchestra, realizzando progetti discografici che costituiscono punti di riferimento imprescindibili per la nostra musica. La sua voce, le sue parole, i suoi strumenti, hanno disegnato un percorso espressivo unico nel suo genere, rispettato in tutto il mondo. Cantore dell’anima, poeta generoso, ha forgiato uno stile dove sacro e profano, storia e quotidianità si fondono in una visione.”
Una chitarra. “Solo” una chitarra. Può un solo strumento incendiare gli animi? Sì, se a suonarlo è un musicista dal talento incredibile; sì, se a suonarlo è Marcin. Il giovane artista polacco, noto in tutto il mondo come “il chitarrista del diavolo” per la sua tecnica percussiva e per il suo fingerstyle, è stato ospite, ieri, di Musicultura 2024. In serata si è esibito sul palco dello Sferisterio; prima, nel pomeriggio, intervistato dai conduttori radiofonici Marcella Sullo e Duccio Pasqua, ha raccontato della sua vita e della sua carriera al pubblico de La Controra e ha risposto a qualche domanda della redazione di Sciuscià.
Marcin – Musicultura 2024
Il tuo modo di suonare la chitarra si può definire unico: è una commistione di tecniche classiche, di flamenco e percussive. Puoi spiegarci come hai sviluppato questo stile e chi o cosa ha funto da ispirazione?
Il mio background è la chitarra classica: molte delle mie tecniche sono nate da essa; però mi sono stancato velocemente di suonare sempre le stesse cose, così ho iniziato a spaziare verso il flamenco, e più avanti ho sperimentato con la chitarra acustica. Non ho avuto nessun idolo nello specifico, ma ho cercato semplicemente di scoprire vari generi – come il rock, l’elettronica, il pop e il rap – cercando di capire cosa potevo creare di diverso. Se dovessi nominare un mio punto di riferimento, sceglierei Paco De Lucía, un chitarrista spagnolo di flamenco, che ha introdotto questo genere nel mainstream. Cerco così di fare conoscere questa tecnica alla gente, non solo ai fanatici di musica. Voglio suonare per tutti, presentare un nuovo stile al pubblico: questa è la mia aspirazione.
Habanera – Marcin a Musicultura 2024
Non è la prima volta che sali su un palco italiano: qual è il tuo rapporto con il nostro paese?
Beh, in realtà è alquanto speciale. La maggior parte delle persone non sa che, dopo il crollo del comunismo in Polonia, i miei genitori sono andati alla ricerca di fortuna e si sono trasferiti a Roma. Mia madre parla italiano fluentemente; spesso preparava dei piatti come la pasta all’arrabbiata o le pennette al pesto; così ho sempre amato la vostra cucina e la vostra cultura. Poi nel 2018 mi hanno invitato a Tu si que vales; non mi aspettavo nulla, pensavo che fosse solo un’avventura, e invece sorprendentemente ho vinto. Poco dopo ci ha colpiti la pandemia e quindi non sono potuto ritornare, ma ora eccomi di nuovo qui, a Macerata, e chissà se potrò fare l’anno prossimo un tour.
Ancora TV. Un altro snodo importante per la tua carriera è stata la partecipazione ad America’s Got Talent, programma grazie al quale il tuo talento, appunto, è stato apprezzato da un pubblico mondiale. Com’è stato per te suonare su un palco con una risonanza mediatica così grande?
È stato un momento importante per me: ha cambiato un sacco di cose. Soprattutto, è stato fondamentale per il mio successo online: il video della mia esibizione ha raggiunto più di 50 milioni di visualizzazioni su YouTube e questo ha portato su di me molta attenzione. Il mio impegno, poi, è stato quello di trasformare tutta questa visibilità in un vero e proprio seguito. Ho lavorato duro e ora in America ho il mio pubblico più affezionato, cosa che mi fa molto piacere. Insomma, quel programma mi ha veramente aperto infinite porte.
Marcin sul palco dello Sferisterio
Ti hanno soprannominato il “chitarrista del diavolo” per le tue performance elettrizzanti e un controllo apparentemente soprannaturale sulla chitarra. Cosa pensi di questo appellativo? Ti calza a pennello o andrebbe modificato?
È un soprannome che ha scelto il pubblico e io lo rispetto. E devo dire che mi lusinga, visto che Niccolò Paganini veniva chiamato il “violinista del diavolo”: è un onore per me avere una connessione con questo grande genio. In generale, amo quando il pubblico crea sui miei canali soprannomi, meme o commenti come “Ha comprato l’intera chitarra, userà l’intera chitarra”, che è diventato un meme ed è parte della cultura di Internet. Ormai lo sento mio.
Salutiamoci parlando del tuo prossimo, primo album, Dragon in Harmony, da cui è già stato estratto un singolo, Classical Dragon: cosa dobbiamo aspettarci? E cosa ti aspetti tu da questo lavoro?
Finora mi sono limitato a pubblicare piccoli frammenti di musica, su Instagram o su TikTok, oppure singoli da tre o quattro minuti, nulla di più. Questa è la primissima volta in cui mi prendo tempo per creare un vero e proprio album, di quasi 50 minuti, che espande le mie composizioni originali tra influenze classiche e pop rock. Mi piace immaginarlo come il mio primo prodotto veritiero, il futuro della tecnica percussiva. Classical Dragon è frutto della mia collaborazione con Tim Henson. Ha raggiunto molte persone in poche settimane, cosa che mi ha stravolto in senso positivo. Spero che la gente inizi a vedermi più come un artista da album che come una personalità social – non che ci sia nulla di male, ma io non sono solo quello. Ecco, spero che questo nuovo album sia un punto di svolta della mia carriera.
Musicultura 2024, atto conclusivo, in due parti. In scena ieri, la prima delle due serate finali della XXXV edizione del Festival. A fare da padrone di casa un duo al femminile: Carolina Di Domenico, che già lo scorso anno aveva calcato il palco dello Sferisterio in queste vesti, e Paola Turci, alla sua prima esperienza come presentatrice.
Che Vita Meravigliosa: deve aver pensato questo il pubblico presente in arena quando Diodato, primo ospite a esibirsi, ha intonato questo suo brano. «Grande responsabilità – ha affermato il cantante salentino – aprire una serata come questa. La musica è un’opportunità per crescere umanamente e per creare ponti con chi ci ascolta».
Diodato a Musicultura 2024
Diodato a Musicultura 2024
Diodato a Musicultura 2024
Lo sanno bene gli 8 vincitori di Musicultura 2024, i veri protagonisti della serata, che si sono esibiti subito dopo. A rompere il ghiaccio è stata Anna Castiglia con la sua Ghali. «L’ho chiamata così – ha spiegato – perché è un’allegoria della società contemporanea: usando come esempio i cantautori, che a volte se la prendono per i propri insuccessi con chi fa un genere musicale diverso dal loro, come il rap o la trap, volevo ricordare quanto ormai sia più semplice gettare la colpa sugli altri piuttosto che assumersi le proprie responsabilità».
Sono fatto così: a cantare il suo modo di essere, e a sprigionare tutta la sua energia, è stato poi il milanese Nyco Ferrari, che ha dichiarato: «Ho avuto la necessità di raccontare chi sono nel modo più sincero possibile. Un cantautore dovrebbe essere in grado di farsi conoscere in maniera pura e semplice».
Va tutto bene è invece il brano di una giovane cantautrice sarda che ha scelto Bruxelles come casa: Bianca Frau. «È sempre più facile – ha svelato dopo la sua performance – dire che va tutto bene piuttosto che dover spiegare cosa sta veramente accadendo nella nostra vita».
Il viaggio alla scoperta delle nuove tendenze della musica popolare è d’autore ha toccato anche la Toscana, più precisamente Il cielo del livornese Eugenio Sournia, che ha sottolineato come il tema della sofferenza sia centrale nella sua poetica: «Il cielo per me è nostalgia e dolore, ma è anche bellezza da ritrovare».
E a proposito di bellezza: quanta possono contenerne le note di una chitarra? Davvero tanta. Soprattutto se a suonarle è un musicista noto al pubblico mondiale per la sua incredibile tecnica e per il suo finger style, che gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di “chitarrista del diavolo”: Marcin. L’artista polacco, secondo ospite della serata, ha presentato in anteprima il suo nuovo album Dragon in Harmony e dichiarato: «Non vedo l’ora di tornare in Italia il prossimo anno per raccontarvi la mia storia, che è molto legata al vostro Paese».
Marcin a Musicultura 2024
Marcin a Musicultura 2024
Marcin a Musicultura 2024
Riflettori di nuovo puntati sui vincitori. Il pugliese De.Stradis ha descritto al pubblico dello Sferisterio i suoi Quadri d’autore: «Nel mio brano – ha spiegato – parlo di una rottura, del dolore che si prova, ma anche della parte di noi che rimane cristallizzata nell’altro e che resta una “firma”».
Con Lisou, la sesta vincitrice a esibirsi è stata Helle. L’artista bolognese ha parlato della sua canzone come una dedica a una persona con la quale era in contatto in un periodo particolare per tutti: la pandemia. «Allora – ha ricordato – scriversi era l’unico modo per sentirsi. E malgrado io non sia molto romantica, il mio brano è un racconto molto intimo».
Racconti intimi, appunto. Che se condivisi possono diventare anche importanti messaggi di emancipazione. Come successo con la storia della terza ospite, Alessandra Campedelli. L’allenatrice della nazionale di volley femminile dell’Iran e del Pakistan ha regalato allo Sferisterio la testimonianza di un’esperienza di grande intensità: «Credo nello sport – ha affermato – perché come la musica è in grado di creare ponti; credo nello sport come agente di coesione sociale e di aiuto verso gli altri, perché per me è importante sapere di potere aiutare. Per questo, laddove le donne vengono messe in condizione di non poter far sentire la propria voce, malgrado abbia temuto per la mia incolumità, ho cercato di prestar loro la mia».
Spazio, di nuovo, ai vincitori del Festival. Con Nicareddu, Nico Arezzo ha mosso verso sud, verso la sua terra d’origine: la Sicilia. Il cantante ha anche raccontato della genesi del suo brano: «Nella mia isola ci sono tante leggende e io, un po’ per gioco, volevo scriverne una. È un onore e un onere poter portare la mia lingua su un palco del genere».
Da un capo all’altro dell’Italia: i The Snookers sono il duo lombardo composto da Anita Maffezzini e Federico Fabani, approdati a Macerata con i loro Guai – questo il titolo del loro pezzo – e un bagaglio pieno di bei ricordi. Come l’opening del concerto dei Marlene Kuntz, del quale hanno detto: «È stata un’esperienza bellissima, soprattutto perché abbiamo suonato nel nostro paese, aprendo il concerto di una band italiana di alto livello».
Poi un omaggio a uno dei mostri sacri della musica italiana. Imbracciata la chitarra, Paola Turci si è esibita ne L’avvelenata di Francesco Guccini, precedendo così il ritorno sul palco dello Sferisterio di Diodato, che ha incantato l’Arena con La mia terra e Fai Rumore.
Paola Turci a Musicultura 2024
Paola Turci a Musicultura 2024
Paola Turci a Musicultura 2024
E di rumore, applaudendo fortissimo, il pubblico dello Sferisterio ne ha fatto davvero molto, sia per questa che per la performance successiva, quella di Serena Brancale, che subito ha dichiarato: «Musicultura è un evento importantissimo non solo per coloro che sono all’interno del mondo della musica, ma per tutti coloro che credono nella sua potenza».
Potenza che si è palesata immediatamente quando si è esibita dapprima in Andamento lento di Tullio De Piscopo e Passo o tiempo di Pino Daniele, poi in Stu Caffè, ultimo suo singolo, e Baccalà, brano che ha spopolato su ogni piattaforma social.
Serena Brancale a Musicultura 2024
Serena Brancale a Musicultura 2024
Serena Brancale a Musicultura 2024
Serena Brancale a Musicultura 2024
L’ultimo ospite della serata è stato Filippo Graziani, che al pubblico ha proposto alcuni dei brani più celebri della produzione artistica del padre Ivan – Lugano addio, Il chitarrista, Pigro – e un pezzo – La Canzone del marinaio – contenuto nell’ultimo album di inediti uscito postumo. «È un piacere essere qui, in un posto così importante per il cantautorato e per la libera espressione», ha affermato.
Filippo Graziani a Musicultura 2024
Filippo Graziani a Musicultura 2024
Filippo Graziani a Musicultura 2024
Non sono mancati i riconoscimenti, ovviamente. A Eugenio Sournia è andato il Premio PMI – Produttori Musicali Indipendenti per il miglior progetto discografico.
Eugenio Sournia – Premio PMI
Anna Castiglia, invece, si è aggiudicata la Targa per il Miglior Testo, assegnata dalle studentesse e dagli studenti dell’Università di Macerata e dell’Università di Camerino.
Musica, talento e sperimentazione; queste le tre parole che descrivono meglio Serena Brancale, artista pugliese con il Sudamerica e il jazz nel cuore divenuta un fenomeno social con i brani Baccalà e La Zia.
La giornata di ieri l’ha vista protagonista sia de La Controra che della prima delle due serate conclusive allo Sferisterio, dove la cantante si è raccontata in musica, spaziando da Pino Daniele e Tullio De Piscopo al suo nuovo singolo uscito da poche ore, Stu Cafè. «La musica è una sola. I generi si contaminano e creano un unico flusso» ha affermato ieri dopo la sua esibizione sul palco di Musicultura. Ecco cosa ha raccontato alla redazione di Sciuscià.
Serena Brancale al soundcheck di Musicultura 2024
Serena Brancale a La Controra 2024
Serena Brancale a La Controra 2024
La tua produzione artistica è un viaggio tra vari stili, un punto di incontro tra la musica italiana e i generi musicali d’oltreoceano. Quali sono i tuoi punti di riferimento e le tue influenze, e cosa ti guida nella creazione di una melodia?
Nella creazione di un brano mi baso molto sul ritmo che voglio ottenere, e solo dopo su cosa voglio scrivere; penso che questo approccio derivi dalle mie radici sudamericane. Mia madre è di origine venezuelana e quindi quel tipo di musica e di sound, come la Salsa e il BaileFunk, mi hanno sempre accompagnato fin da piccola, e ora sono la base delle mie produzioni. Parto quindi dal ritmo e dalla melodia per arrivare a costruire qualcosa che mi piace. Poi, ho studiato anche violino, e quindi musica classica, prima di avvicinarmi al canto.
Con Baccalà e La Zia sei diventata virale sui social, grazie all’unione del tuo background musicale al dialetto, che usi anche in alcune canzoni dell’ultimo disco, Je so accussí. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Il mio successo in termini social deriva dall’esplosione virale dei brani Baccalà e La Zia, ma in realtà utilizzo il dialetto nelle mie produzioni già da dieci anni. Il primo pezzo che ho scritto in dialetto è Sto Uagnedd, che parla di una ragazza e la sua passione per la musica e la batteria. Mi piace utilizzare la sonorità della parlata della mia terra per come si incastra nella melodia e la accompagna. Ogni dialetto ha poi caratteristiche diverse; il leccese è più vocale, mentre il barese, che uso in Baccalà, è ritmico e quindi perfetto per quel tipo di sonorità. Per me il dialetto è ricchezza, in termini di suono e di espressione. E poi in dialetto le parolacce sono belle.
Serena Brancale a Musicultura 2024
Serena Brancale a Musicultura 2024
Serena Brancale a Musicultura 2024
Guardando indietro, cosa porti con te, oggi, della tua esperienza a Sanremo Giovani nel 2015? Cosa ti ha insegnato quel palco?
Vorrei tornare a Sanremo in realtà. Sono passati quasi dieci anni da quella esperienza che mi ha fatto crescere e maturare; ora sono una persona diversa e più consapevole. Quell’anno partecipavo con un brano Jazz italiano, Galleggiare. Ora tornerei con tutto il mio bagaglio di esperienza.
Nel 2023 hai pubblicato un libro, In bocca al Loop, una guida per l’utilizzo del looper, che amplia le possibilità live di un musicista. Qual è il rapporto tra lo studio della musica e l’utilizzo di strumenti che permettono di arrivare a un buon sound con pochissimo?
La musica elettronica è un’altra mia passione: mi piace utilizzare il looper e la drum machine. Stare sul palco senza la band e con questi strumenti, mi permette di avere sicuramente maggiore autonomia, ma allo stesso tempo maggiore responsabilità, perché durante il live la base, e quindi tutta l’esibizione, partono e dipendono da te. Pensi ai cori, al basso e alle percussioni e poi canti sopra ai campionamenti fatti; è una maniera molto moderna di suonare. Con il libro ho voluto trasmettere tutto quello che so sull’utilizzo del looper, perché è una maniera diretta e fresca per esprimersi, e mi piacerebbe che fosse più conosciuto.
Salutiamoci parlando di Musicultura. Secondo te, quanto – e in che maniera – possono essere importanti eventi del genere nella carriera di un artista emergente?
Mi circondo di artisti emergenti come le coriste e i musicisti che mi hanno accompagnato allo Sferisterio. I giovani artisti hanno un’energia positiva che mi fa bene, la stessa che ho sentito nei vincitori di Musicultura. Quello che mi sento di consigliargli è di pensare alla loro musica come un modo per trasmettere ciò che sentono e non come qualcosa per sfondare sui social o per accaparrare il maggior numero di stream. Prima di arrivare al grande pubblico con Baccalà, ho studiato, ho fatto esperienze in diversi contesti, che mi hanno portato a una nuova consapevolezza. Musicultura è un evento importante per chi crede nella musica.
“Il tipo di televisione che facevamo era così innovativo che è rimasto inciso nel cuore delle persone”: in effetti, Aurelio Ponzoni, in arte Cochi, è una figura emblematica dello spettacolo italiano, celebre per il suo lavoro come attore, sceneggiatore e comico. In coppia con Renato Pozzetto nel duo “Cochi e Renato”, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della comicità italiana. Ospite di Musicultura 2024, intervistato dal giornalista e conduttore radiofonico John Vignola nell’ambito dell’incontro dedicato al suo libro La versione di Cochi, pubblicato lo scorso autunno, ha raccontato al pubblico de La Controra la sua vita, la sua carriera artistica, il suo modo di fare spettacolo. E lo ha fatto anche con noi della redazione di Sciuscià in questa intervista.
Lei ha avuto una carriera molto diversificata, che include teatro, cinema, televisione e musica. C’è un progetto a cui è particolarmente legato e che considera il più rappresentativo del suo percorso artistico?
Quello che mi ha dato la notorietà è stato il cabaret. Il mio debutto professionale è stato nel ’64, quando ho iniziato a fare il primo cabaret con Bruno Lauzi, il mio amico Renato Pozzetto, Felice Andreasi e Lino Toffolo; da lì abbiamo cominciato a vivere di questo lavoro. Quel periodo, fino al ’74, è stato quello che più mi ha formato dal punto di vista professionale, però la mia vera passione è sempre stata il teatro di prosa, che purtroppo ho abbandonato, chiaramente per “ragioni cabarettistiche”, chiamiamole così.
Aurelio Cochi Ponzoni a La Controra 2024
Aurelio Cochi Ponzoni a La Controra 2024
Il suo libro La versione di Cochi non è solo una raccolta di ricordi, ma anche una riflessione sul mondo dello spettacolo. Come vede il cambiamento della comicità italiana dagli inizi della sua carriera a oggi?
Il linguaggio della comicità, del sarcasmo, è sempre legato alla società del momento. Quando facevo cabaret c’era una realtà sociale, politica, anche economica, di un certo livello. C’era un grande fermento culturale in quegli anni, soprattutto al finire della Seconda Guerra Mondiale, quando noi eravamo ancora ragazzi: era un momento particolarmente significativo per tutto quello che riguardava la nostra crescita, determinata soprattutto da incontri importanti che abbiamo avuto con altri artisti, come Iannacci e Dario Fo, ma anche con intellettuali dell’epoca, tra cui Dino Buzzati e Umberto Eco, insomma personaggi che hanno cominciato a considerarci dei possibili professionisti e ci hanno dato anche il coraggio di continuare a fare questo mestiere.
Nel libro parla anche del suo ruolo in film come Cuore di cane e I telefoni bianchi. Come ha affrontato la transizione dalla televisione al cinema e quali sono state le principali sfide che ha incontrato?
Rifacendo le cose che facevamo dal vivo, in un ambiente asettico tipico della televisione, per noi era molto più facile che fare cabaret. Non c’è stato un trauma, anzi, era una passeggiata. Il cinema riguarda, invece, un altro tipo di lavoro che richiede una concentrazione importantissima. Devi ricordare tre cose: quello che devi dire, le battute che devi fare e dove sei a fuoco. Devi, inoltre, ricordarti anche il tipo di espressività che usi, perché se c’è un primo piano devi stare attento a non esagerare con le espressioni facciali.
Televisione, ancora. Parliamo del programma Il poeta e il contadino. Qual è il ricordo più bello che ha di quell’esperienza e come ha influenzato il suo percorso artistico?
L’esperienza è stata molto divertente e interessante perché era un programma che abbiamo inventato io e Renato, dall’inizio alla fine, con l’aiuto di Enzo Iannacci, che curava la parte musicale. È stato per noi un modo di esprimerci liberamente, usando il nostro linguaggio peculiare, mantenendo le caratteristiche originali del nostro lavoro.
Aurelio Cochi Ponzoni a La Controra 2024
Aurelio Cochi Ponzoni a La Controra 2024
Il suo rapporto con Renato Pozzetto, appunto, è stato fondamentale. Come descriverebbe l’evoluzione della vostra collaborazione artistica nel corso degli anni?
Io e Renato siamo cresciuti insieme da bambini e avevamo sempre questa voglia di giocare con le parole e con la musica; infatti, da piccoli avevamo due chitarre e cantavamo canzoni anarchiche, politiche o popolari. Abbiamo cominciato così, esibendoci nelle osterie di Milano del dopoguerra. Quella che poi aprimmo insieme si chiamava L’Oca d’Oro; ci giravano personaggi e intellettuali del momento che ci hanno preso sotto la loro ala protettiva e ci hanno infuso fiducia per continuare questa professione.
Proprio insieme a Pozzetto ha presentato al grande pubblico alcuni brani – pensiamo a Canzone intelligente, per citarne una sola – che fanno parte ancora oggi, e a pieno titolo, dell’antologia della musica italiana. Ma sotto il palco, lontano delle scene, qual è il suo rapporto con la musica? Cosa ascolta Cochi tra le mura domestiche?
Io? Che tipo di musica? Beh, ascolto musica classica, mi piace moltissimo la musica brasiliana e fin da ragazzino ho sempre avuto una grande passione per il jazz. Attualmente mi esibisco in degli spettacoli con un quintetto di jazzisti, dove racconto la vita di Charlie Parker mentre i miei amici musicisti eseguono i suoi brani. Ebbene sì, quindi: il mio rapporto con la musica è molto stretto.
Basti pensare a come inizia ogni partita: con un inno, un seguirsi di note che esprimono in coro il segno di appartenenza a dei colori, a una squadra. La musica ci circonda e ci accompagna in ogni momento della nostra vita; e così anche nello sport, dai cori dei tifosi alle playlist ascoltate dai giocatori durante le trasferte, nello spogliatoio o nel corso del riscaldamento, la musica riesce a essere motivazione, conforto e chiave di concentrazione. Ma non solo: per questa settimana hanno in comune anche il fatto di riempire i vicoli e le piazze del centro storico di Macerata grazie agli eventi de La Controra e le partite degli Europei.
Calciar – Cantando
Calciar – Cantando
Calciar – Cantando
Calciar – Cantando
Dopo una giornata ricca di incontri al cui centro sono stati suoni, note e parole, aspettando la partita Italia-Spagna degli Europei, il sodalizio tra musica e calcio incontra quello tra Musicultura e Banca Macerata, main sponsor del Festival, con Calciar-Cantando. Messi da parte per qualche istante microfoni e chitarre, in Piazza della Libertà una porta, un pallone, un arbitro e un fischietto; e tanti giocatori, grandi e piccini. Tra abbracci e risate, si formano squadre, si sceglie di tirare di piatto o di collo, ci si sfida per vincere i premi messi in palio proprio da Banca Macerata.
Calciar – Cantando
Calciar – Cantando
Calciar – Cantando
Così, tra un calcio di rigore e l’altro, con un quiz si ripercorre la storia della musica italiana in una chiave particolare: quella calcistica. Tra È goal! di Bennato, La leva calcistica della classe ’68 di De Gregori, il “gran Real” citato da Max Pezzali, “la nazionale del 2006” da Tommaso Paradiso e Cuccurucucù di Battiato, si ricordano insieme i grandi successi musicali e le memorabili notti magiche del nostro paese.
E la parola d’ordine è “squadra”, come quella creata nel 2021 da Musicultura e Banca Macerata, da subito vincente. In questa occasione, abbiamo chiesto a Ferdinando Cavallini, Presidente dell’istituto di credito, di spiegarci quali sono i valori alla base di una partnership così riuscita: «Condividiamo con Musicultura la valorizzazione della qualità, dei giovani, di tutto ciò che crea cultura e socialità e che è capace di far crescere una generazione sana. Musicultura punta ai giovani, incentiva la loro creatività, e lo stesso fa Banca Macerata, investendo non solo in musica e cultura, ma anche in tutte le altre attività che andiamo a sostenere, tra cui senza dubbio anche quella sportiva».
Due eventi; due appuntamenti con cui Macerata, ieri, ha voluto ricordare il suo cittadino più celebre: Jimmy Fontana. La vita e le opere del grande artista fra cultura popolare e immaginario collettivo è il seminario che ha aperto la giornata; nel pomeriggio, invece, dopo la cerimonia di intitolazione del loggiato del Palazzo degli Studi all’artista, è stata la volta de Il mondo che sarà, incontro al quale hanno preso parte Luigi, il figlio di Jimmy, John Vignola, giornalista e conduttore radiofonico, e Massimiliano Stramaglia, docente dell’Università di Macerata. Il mondo che sarà, appunto. È il titolo di un libro; è l’omaggio a due celebri canzoni di uno degli artisti più amati dal pubblico italiano; è un racconto, intimo e ricchissimo, che si sviluppa in più di quattrocento pagine, del rapporto che lega un figlio a suo padre.
«Papà – racconta Luigi alla nostra redazione – è stato un uomo estremamente giusto: siamo 4 figli e ci ha sempre trattati in maniera equa. Ci ha trasmesso una grande carica e un grande entusiasmo». Entusiasmo che si traduce anche nell’amore per la musica: «Il nostro è stato un grandissimo rapporto, soprattutto in studio di registrazione, perché la fase creativa di una canzone, che consiste nell’ inventare una melodia, delle parole o un arrangiamento, non è una cosa facile. Secondo me nella produzione musicale c’è una magia ancora più grande di quella che c’è nel cantare poi davanti alla gente. E lì, in studio, io e papà abbiamo passato i momenti più importanti della nostra vita. È stato un tempo meraviglioso». E quel tempo pare continuare: Luigi interpreta ancora – così come ha fatto ieri sera sul palco di Piazza della Libertà, a conclusione del concerto degli 8 vincitori di Musicultura – le canzoni del padre, tra cui quella più nota, Il mondo, brano che, a quasi sessant’anni dalla sua uscita, non smette di essere cantata e interpretata. Ma com’è nato un pezzo capace di riscuotere così tanto apprezzamento? «Papà nel ‘65 aveva scritto la strofa e il ritornello, ma mancava una parte centrale, che il suo produttore gli ha chiesto di aggiungere perché la canzone, seppure bella, suonava come incompleta. I due litigarono per diversi mesi: il produttore rivendicava un’aggiunta; mio padre sosteneva non servisse. Alla fine, quando si decise a scrivere la parte che dice “gira il mondo gira”, il produttore gli disse che finalmente il pezzo era completo. E sin da subito risultò rivoluzionario: all’epoca le canzoni parlavano tutte d’amore, questa invece parlava del mondo. Ed è così che è nato uno dei più grandi successi di Jimmy Fontana, che ancora oggi viene cantato da moltissime persone». Che ancora oggi, è davvero il caso di dirlo, non si è fermato mai un momento.
Luigi Fontana è un artista dalle molteplici sfaccettature artistiche. È un autore a tutti gli effetti, non solo di canzoni, ma recentemente, anche di un libro autobiografico in cui racconta il rapporto che aveva con suo padre, il grande Jimmy Fontana. Il titolo scelto per il libro – Il Mondo che sarà – è un omaggio a due delle canzoni più famose di suo padre. Luigi Fontana afferma di essere molto simile a suo padre e rivela di aver ereditato da lui non soltanto la passione per la musica, ma anche la forza di affrontare gli eventi negativi che la vita può riservare e la capacità di trarre da essi quanti più insegnamenti possibili per andare avanti e dare il meglio di sè. Sin da piccolo Fontana considerava suo padre un idolo e voleva emularlo in tutto, e questo lo ha portato ad essere l’eccezionale cantante che è oggi. La terza giornata de La Controra della settimana finale di Musicultura è stata dedicata proprio al ricordo di Jimmy Fontana. La mattina, all’Auditorium dell’Università degli Studi di Macerata, c’è stato un convegno sulle sue opere, organizzato dal professore dell’Università di Macerata Massimiliano Stramaglia.
Luigi Fontana a La Controra 2024
Luigi Fontana a La Controra 2024
Nel pomeriggio, nel loggiato degli studi c’è stata la cerimonia di intitolazione e scoprimento della Targa Fontana, e subito dopo la presentazione del libro Il Mondo che sarà. Durante quest’ultimo Luigi ha raccontato degli aneddoti sulla sua adolescenza, come per esempio che da ragazzo ha passato molto tempo nel bar di Galleria Scipione, rivelando così di avere molto a cuore la città di Macerata perché era la città di suo papà e dove lui ha passato l’adolescenza.
Durante l’evento ha poi cantato Il mondo è che sarà. La sera si è poi esibito dopo il concerto dei finalisti di Musicultura cantando alcune tra le canzoni più belle di suo padre come La nostra favolae Il mondo, che è stata cantata in diverse lingue e ovunque ed è conosciuta in ogni parte del mondo, L’ultima occasione che Jimmy scrisse in un momento di crisi sentimentale con la moglie e che per Luigi risulta essere la più ispirata della vita di suo padre. Macerata è la città di Jimmy e per Luigi l’esibizione in Piazza della Libertà rappresentata un cerchio che si chiude, perché il padre è vissuto a Macerata. Prima di andare via canta Che sarà. Proviamo a conoscere meglio questo grande artista. Vediamo cosa ha da raccontarci in questa intervista.
Luigi Fontana a La Controra 2024
Luigi Fontana a La Controra 2024
Nello scorso aprile ha pubblicato Il mondo che sarà, libro in cui ripercorre la sua vita, accompagnata sempre dalla presenza di suo padre, il celebre Jimmy Fontana, che tutti conosciamo come il grande artista de Il mondo e Che sarà. Andando oltre alla figura del cantante, che papà è stato Jimmy? Ha un aneddoto in particolare, che le va di raccontarci?
Papà è stato un uomo estremamente giusto, noi siamo 4 figli e non è mai stato preponderante verso un figlio piuttosto che un altro. Ci ha sempre trasmesso una grande carica e un grande entusiasmo nel fare le cose. Lui è stato una persona di una generosità sconfinata fino al punto di trovarsi in difficoltà economica per garantire a noi figli una vita bella.
In altre interviste ha raccontato che suo padre inizialmente non fosse entusiasta della sua volontà di intraprendere la carriera musicale. Pensare che questa opposizione venisse proprio da un artista così affermato sembra un paradosso; che abbia cambiato idea lo si deduce facilmente dal fatto che, per fare un esempio, nel 1982 proprio lui abbia calcato il palco di Sanremo con una canzone, Beguine, la cui melodia era stata scritta proprio da lei. A livello artistico qual è stato il vostro rapporto?
Il nostro è stato un grandissimo rapporto, soprattutto in studio di registrazione perché la fase creativa di una canzone, che consiste nell’inventare una melodia, delle parole o un arrangiamento, non è una cosa facile. Secondo me nella produzione musicale c’è una magia ancora più grande di quella che c’è nel cantare poi davanti alla gente, e lì in studio io e papà abbiamo passato i momenti più importanti della sua e della mia vita, è stato quindi un tempo meraviglioso.
Il mondo non si è fermato mai un momento››, come non si è fermata mai neanche questa canzone, che a quasi sessant’anni dalla sua uscita non smette di essere cantata e interpretata in tutto il mondo, appunto. Come è nato questo grande successo?
Papà che nel 65 scrive la strofa e il ritornello – la parte che dice no stanotte amore non ho più pensato a te – ma mancava la parte centrale che gli è stata chiesta dal suo produttore, perché la canzone seppure bella, era troppo breve e mancava un pezzo. I due litigarono per diversi mesi, perché il suo produttore sosteneva che la canzone era incompleta, mentre mio padre affermava il contrario. Alla fine, quando papà poi scrisse la parte che dice gira il mondo gira, il produttore gli disse che finalmente la canzone era completa e che potevano provare a scrivere il testo, che risultò rivoluzionario, perché all’epoca le canzoni parlavano tutte dell’amore, questa invece parla del mondo. Ed è così che è nato uno dei più grandi successi di mio padre, che ancora oggi viene cantato da moltissime persone.
“Non sono una semplice icona, ma anche una donna del popolo”: Serena Grandi ci guida attraverso la sua straordinaria carriera, tra retroscena ed emozioni che l’hanno accompagnata. Da giovane ventenne in cerca di ruoli prestigiosi fino a diventare un’icona del cinema italiano. Il ricordo delle esperienze all’estero, in Bulgaria, in Francia e in America, e poi la dedizione alla scrittura: solo l’inizio della storia di un’artista travolgente e carismatica alla redazione Sciuscià. Eccola.
Lei ha iniziato la sua carriera con il nome d’arte di Vanessa Steiger prima di diventare famosa come Serena Grandi. Quali sono state le motivazioni dietro la scelta di questo pseudonimo e come ha influenzato i suoi primi passi nel mondo del cinema?
Con lo pseudonimo di Vanessa Steiger ho fatto solo un film in Spagna; una volta si assumevano i nomi del cast per far vedere che i film si facevano all’estero. Quindi, dietro la scelta di questo pseudonimo non c’era nessuna motivazione particolare.
Serena Grandi a La Controra 2024
Ennio Cavalli a La Controra 2024
Serena Grandi a La Controra 2024
Il suo debutto cinematografico con “Ring” e le successive collaborazioni con registi come Alberto Lattuada e Roberto Benigni hanno segnato l’inizio della sua carriera. Come descriverebbe quei primi anni nel mondo del cinema italiano?
In quegli anni, ero una giovane ragazza di soli vent’anni; ero in attesa di un ruolo che permettesse di esprimere al meglio la mia vocazione artistica. Fino a quel momento, mi avevano assegnato solo piccoli ruoli, ma crescendo e maturando desideravo delle posizioni più prestigiose. Così, sono andata all’estero, in Bulgaria, in Francia, in America, dove ho riscosso maggiore successo: le televisioni ancora oggi trasmettono nei loro canali alcuni dei miei film.
La sua collaborazione con Tinto Brass in “Miranda” ha cambiato radicalmente la sua carriera, trasformandola in un’icona degli anni ’80. Quali sono stati i momenti più memorabili di quel periodo e come ha gestito l’immagine di sex symbol che le era stata attribuita?
Mi concentravo su me stessa, avevo una sorta di training autogeno. Quando c’era la messa in scena, spegnevo tutto: esistevamo solo io e il mio regista, a volte chiedevo addirittura di uscire al resto della troupe. La mia mente si concentrava solo sul lavoro e non c’era spazio per altro. Il mio unico sforzo era quello di abbandonarmi a 360° a quel ruolo.
Serena Grandi a La Controra 2024
Serena Grandi a La Controra 2024
Una volta affermata come attrice, si è reinventata anche come scrittrice. Cosa l’ha spinta a esplorare questa nuova strada?
Tutto nasce dall’incontro con Carlo Alberto Biazzi, con il quale ho lavorato per un cortometraggio; siamo entrambi figli di partigiani e proprio da questo vissuto comune nasce l’idea di scrivere un libro. La passione per la scrittura mi ha sempre accompagnata: ascoltavo i racconti di mio padre partigiano che era a capo della squadra mobile di Bologna e spontaneamente, a partire da quei momenti, il mio DNA da scrittrice prendeva forma.
Siamo a Musicultura, quindi la domanda con la quale chiudiamo quest’intervista è quasi inevitabile. Durante la sua carriera cinematografica, ha interpretato il brano Rain Climax, caratterizzato da una forte carica sensuale. L’esperienza in ambito musicale di Serena Grandi è ora un capitolo chiuso o le piacerebbe interpretare altri brani in futuro?
Rain Climax era semplicemente un LP tratto da un film. La soddisfazione più grande della mia carriera a livello musicale è il brano Mal Di Te che Pino Daniele mi ha dedicato. Nel corso della mia carriera mi sono resa conto di non poter vivere senza musica, mi ricorderò sempre una massima di Freddie Mercury: “la musica non ti tradisce mai”. Cerco ancora oggi di far tesoro di questa frase; nonostante questo, cantare è un sogno che resterà nel cassetto, perché è nella scrittura che mi sento davvero libera.
La carriera di Fabio Concato è lunga e variegata, ma sempre coerente con una scelta che pare essere una costante della sua produzione artistica: non raccontare storie eccezionali; rivolgere sempre l’attenzione a minuti frammenti di vita quotidiana, che diventano straordinari se narrati con una tenerezza così forte da saper appassionare intere generazioni.
Ospite alla prima serata de La Controra di Musicultura 2024, l’artista milanese ha regalato a una Piazza della Libertà gremita non solo le sue canzoni, ma anche numerosi aneddoti che le riguardano e riguardano, quindi, l’amore, l’amicizia. E ovviamente lei: la musica. E pure la sua genesi e il suo potere catartico. Per esempio: come nasce un brano come Stazione Nord? È stato Concato stesso a svelarlo: il pezzo narra della fine di una sua relazione e del dolore che ha provato. Ma è anche stato utile a capire che con il passare del tempo quel dolore, una volta elaborato, sarebbe servito ad affrontare meglio la storia successiva.
Ad aprire il concerto, però, è stata È festa. Il titolo non avrebbe potuto essere più calzante per la circostanza, perché Macerata si è subito sciolta in un lungo applauso, ha tenuto il ritmo, ha cantato quella e le canzoni successive: Ti ricordo ancora, Troppo vento, Che domenica bestiale, Guido piano, Fiore di Maggio, Prima di cena e M’innamoro davvero, brano che sta vivendo una seconda giovinezza dopo esser stato scelto tra quelli che fanno da colonna sonora a C’è ancora domani, film di Paola Cortellesi.
E poi? Poi il pubblico è diventato protagonista: Concato è sceso dal palco e lo ha raggiunto più volte. Gli si è seduto accanto, ha cantato, fatto battute, riso, parlato da lì, in platea. E come chi si trova di fronte a un vecchio amico, si è abbandonato a una confidenza: “Tra quelle che ho scritto, Gigi è la mia canzone preferita, perché è dedicata a mio padre, a cui ero molto legato. È stato lui a trasmettermi la passione per la musica”.
E visto che di passione per la musica si è parlato, come non dare spazio a un Sexy Tango per chiudere la serata? Come non seguire questo signore della canzone italiana che invita a portare il ritmo con le mani? E come lasciarlo andar via così, senza che abbia intonato almeno altri due pezzi? E allora bis, sì. Con Non smetto di aspettarti e inseguendo Rosalina in sella alla sua bicicletta.
Icona della musica italiana, Gigliola Cinquetti inizia la sua carriera nel 1964, a soli sedici anni, partecipando al suo primo festival di Sanremo. La sua grazia e la sua raffinatezza bucano il piccolo schermo, consentendole di entrare subito nel cuore del pubblico. Prende il via da lì una storia artistica incredibile, costellata di successi e di singoli noti in tutto il mondo e tradotti in otto lingue. Ospite a Musicultura in occasione del primo incontro de La Controra, la cantante –ma anche attrice e conduttrice televisiva– presenta A volte si sogna, libro in cui ripercorre la sua vita regalandocene anche le sfumature più intime e profonde. Terminato l’evento, di qualcuna di quelle sfumature parla anche con la redazione di Sciuscià attraverso questa intervista.
La canzone Non ho l’età, con la quale vinse il festival di Sanremo e l’Eurovision nel 1964, raccontava un modello femminile tipico di quegli anni – decisamente diverso da quello attuale – e faceva riferimento all’importanza di aspettare, appunto, l’età giusta per amare. Oggi, in un’epoca in cui tutto sembra essere esibito (o esibizione), crede che quel pudore potrebbe essere ancora valore aggiunto per l’autenticità di una relazione?
Non so quanto c’entri il pudore con l’età per amare, secondo me non molto. Il pudore uno o ce l’ha o non ce l’ha, in qualsiasi ambito e contesto. Non ho mai condiviso il concetto per cui esiste un’età per amare: l’amore c’è sempre e non ha limiti. Secondo me il fulcro di questa canzone è il rifiuto di una donna davanti a una richiesta; è questo che ha provocato una reazione così forte: nonostante il grande successo, questo brano è stato ampiamente contestato perché l’opposizione di una donna, a quell’epoca, era inconcepibile. L’emancipazione e la libertà sessuale andavano in un’unica direzione: la caduta dei tabù era tutta funzionale al desiderio maschile. E invece la canzone diceva un bel no! E ad oggi potrebbe essere letta, tranquillamente, in chiave femminista.
Gigliola Cinquetti a La Controra 2024
Ennio Cavalli a La Controra 2024
La Controra
Lei ha vissuto la scena musicale italiana, lasciando in essa il suo contributo, dagli anni Sessanta ad oggi. Quali sono i cambiamenti più significativi che ha osservato in quest’arco temporale?
È tutto cambiato, è un altro mondo; è cambiata la struttura stessa della canzone. I brani del Novecento rimarranno i brani del Novecento; quello che c’è adesso è un modo di fare musica veramente diverso, ma anche in questo caso ci sarà qualcosa che lascerà la traccia e qualcosa che non lo farà, come è avvenuto anche nei favolosi anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ricchi di molti capolavori, ma anche di tante canzoni brutte che, giustamente, sono state dimenticate.
Guardando alle nuove generazioni di artisti italiani, c’è – in particolare – qualche proposta o tendenza che trova interessante, promettente?
Non mi appassiono più tanto, non perché non ci sia qualcosa di interessante ma perché sono io a essere cambiata e ad avere poco interesse come fruitrice di musica. Ho sempre amato la musica, soprattutto quella che si ascolta per strada e per caso; amo quando la musica mi viene incontro per sua spontanea volontà. E poi amo anche gli strumenti veri, la musica acustica; amo molto il silenzio e detesto la musica imposta, la musica per vendere, quella dei grandi. Per me la premessa per la musica è il silenzio. Se viviamo in un mondo pieno di rumore, allora non c’è quasi posto per la musica.
Gigliola Cinquetti a La Controra 2024
Gigliola Cinquetti, Ennio Cavalli e Mimmo Locasciulli a La Controra 2024
Musicultura celebra la canzone d’autore e promuove nuovi talenti. Qual è la sua opinione su eventi come questo e quale ruolo pensa abbiano nell’arricchimento e nel mantenimento della cultura musicale italiana?
Sicuramente è già un pregio l’intenzione che sta nel termine “Musicultura”, mi piace. Non è un caso che questo festival abbia avuto successo e sia così longevo: attualmente, parlare di decenni è un’eternità, vuol dire che funziona. E il riscontro di questa cosa sta nel pubblico che ho osservato oggi: la sua attenzione, la sua partecipazione e la sua passione sono fantastiche!
Come donna che ha avuto una carriera di successo in un’epoca in cui l’industria musicale era dominata dagli uomini, quali consigli darebbe alle ragazze che oggi cercano di affermarsi nel mondo della musica?
I consigli li chiederei io! Vorrei chieder loro cosa devo fare, se devo ritirarmi o cosa farebbero se fossero me. Piuttosto che dare, preferisco chiedere consigli ai giovani, perché loro sì che sanno cosa succede e come muoversi nel mondo di oggi.
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